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Il Parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto correttivo della disciplina di liquidazione dei compensi professionali

Schema di decreto ministeriale concernente: “Regolamento recante modificazioni al decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.”.

Consiglio di Stato Sezione Consultiva per gli Atti Normativi,  Adunanza di Sezione del 20 dicembre 2012
NUMERO AFFARE 12463/2012

LA SEZIONE

Vista la relazione con data 3 dicembre 2012 (trasmessa con nota n. 9259.U del 4 dicembre 2012), con la quale il Ministero della giustizia (Ufficio legislativo) ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’ affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore Consigliere Roberto Chieppa;

Premesso:
Riferisce l’Amministrazione che il presente decreto ministeriale introduce modifiche al decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
L’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha espressamente abrogato le tariffe professionali (comma 1) e ha stabilito, al comma 2, che «ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante».
In attuazione di tale disposizione legislativa, è stato adottato il decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, previo parere di questa Sezione consultiva per gli atti normativi, espresso nella adunanza del 21 giugno 2012.
L’Amministrazione evidenzia che le modifiche contenute nello schema in esame mirano a superare alcune criticità emerse dal confronto con gli ordini professionali, con particolare riferimento all’ordine forense.
Lo schema di regolamento in esame si compone di tre articoli e due allegati: l’art. 1 contiene le modifiche al d.m. n. 140/2012; l’art. 2 richiama gli allegati che modificano le tabelle A e B del citato d.m., relative agli avvocati, e nell’art. 3 è inserita la clausola di entrata in vigore.
Considerato:
1. Lo schema di regolamento in esame contiene alcune modifiche al recente decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
Le modifiche riguardano i parametri per la liquidazione dei compensi per gli avvocati e sono giustificate, nella relazione dell’Amministrazione, dall’esigenza di superare alcune criticità emerse nel confronto con gli ordini professionali e, in particolare, con l’ordine forense.
I parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia sono stati introdotti di recente con il citato d.m. n. 140/2012, pubblicato nella G.U. 22 agosto 2012 n. 195.
Le ragioni di un nuovo intervento normativo a così breve distanza dall’entrata in vigore del d.m. non risultano del tutto chiare, anche perché nulla viene precisato con riferimento alle modalità con cui è avvenuto (o sta avvenendo) il confronto con gli ordini professionali, e in base a quali dati o elementi sono emerse le richiamate criticità.
Va ricordato che, superato ormai da tempo il regime tariffario, la determinazione di parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi dei professionisti costituisce solo un elemento di ausilio al giudice nella liquidazione, in alcun modo vincolante per la liquidazione stessa, come prevede espressamente l’art. 2, comma 7, del d.m. n. 140/2012.
Nel precedente parere n. 3126/2012, reso nella adunanza del 21 giugno 2012, questa Sezione aveva segnalato il pericolo che tali nuovi parametri si prestino a fungere da “tariffa mascherata”, formulando alcune osservazioni in relazione alla previsione di un compenso unitario, comprensivo delle spese; alla eliminazione di qualsiasi riferimento a diminuzioni minime del compenso e alla esigenza di contenere il quantum del valore medio di liquidazione.
Nell’adottare il d.m. 20 luglio 2012 n. 140 l’Amministrazione non ha recepito diverse osservazioni del Consiglio di Stato, senza che nelle premesse del decreto siano state indicate le ragioni del mancato recepimento.
Al riguardo, la Sezione, nel richiamare il proprio precedente parere, non può che limitarsi in questa sede ad esprimere il proprio avviso sulle sole modifiche proposte.
2. La prima modifica concerne il comma 2 dell’art. 1 del d.m. n. 140/2012 in materia di spese, attraverso la previsione che al compenso sia aggiunto un importo per “spese forfettarie”, intendendosi quelle spese, cioè, che il professionista inevitabilmente sopporta ma che, per la natura delle stesse, non può documentare o comunque provare precisamente (secondo la relazione, si tratta, tipicamente, delle spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale).
Per tale voce è previsto un incremento del compenso liquidato in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento e la modifica riguarda tutte le professioni, come risulta anche dalla sua collocazione sistematica.
Al riguardo, si deve ribadire quanto affermato nel precedente parere, in cui era stato segnalato che l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 1/2012 fa riferimento, al penultimo periodo, alla misura del compenso che «va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi».
La fonte primaria fa, quindi, riferimento ad un concetto di compenso omnicomprensivo e, per tale ragione, era stato ritenuto preferibile modificare il comma 2 dell’art. 1 nel senso che il compenso è unitario e omnicomprensivo e comprende anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo distinto come componente del compenso stesso.
Prendendo atto della decisione (non motivata) dell’Amministrazione di non recepire tale osservazione, si osserva che la criticità già segnalata si aggraverebbe con la proposta modifica, introducendo un livello di spese forfettarie in misura peraltro rilevante (di regola, tra il 10 e il 20 % del corrispettivo).
Tenuto conto del principio di omnicomprensività del compenso, stabilito dalla legge, non appare coerente con la richiamata norma primaria introdurre il rimborso delle spese forfettarie, che si aggiungono a quelle documentate, considerato anche che le spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale, richiamate dall’Amministrazione nella relazione, devono ritenersi già incluse nel compenso e prese in considerazione ai fini della liquidazione dello stesso.
3. Due ulteriori modifiche riguardano l’attività stragiudiziale degli avvocati, per la quale viene previsto un compenso forfettizzato che, tenuto conto anche del tempo impiegato dal professionista per lo svolgimento della sua attività, viene quantificato, orientativamente, in una percentuale calcolata tra il 5 e il 20 per cento del valore dell’affare
L’Amministrazione riferisce di aver voluto evitare di ricorrere al criterio del compenso orario, che non sarebbe risultato ancorabile a un parametro di riferimento sufficientemente certo in sede di vaglio giudiziale.
Pur condividendo la ratio della modifica, si segnala l’esigenza di non prevedere un minimo per il compenso, ma solo una misura massima, che peraltro appare elevata.
Viene, inoltre, aggiunta una disposizione, che prevede l’aumento del compenso fino ad un terzo in favore dell’avvocato che assiste una parte nel procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28.
Secondo l’Amministrazione, la disposizione mira ad incentivare in modo significativo il ricorso assistito alla procedura di mediazione e, quindi, in un’ottica deflattiva, a ridurre l’instaurazione di procedimenti davanti all’organo giurisdizionale, così ponendosi nel solco della già normata previsione di un aumento del compenso dell’avvocato in caso di conciliazione.
Tenuto conto della declaratoria di incostituzionalità dell’obbligatorietà della procedura di mediazione (Corte Cost., 6 dicembre 2012 n. 272), appare preferibile non far conseguire l’aumento del compenso solo in ragione dell’assistenza nel procedimento di mediazione, ma di farlo derivare dall’esito e dal contenuto dell’attività svolta in tale fase (specie, se si vuole incentivare la finalità deflativa dell’istituto).
Pertanto, in caso di assistenza stragiudiziale nel procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, il possibile aumento del compenso può essere previsto “tenuto conto dell’esito del procedimento e dell’attività svolta dall’avvocato al fine di favorire il buon esito del procedimento”.
In tal modo, si premia non l’assistenza ad una qualsiasi attività di mediazione, ma l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito, o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon esito.
In tale ottica, potrebbe essere prevista pure una diminuzione del compenso, in caso di una assistenza nel procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche con riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con l’esito del giudizio (a tal fine è sufficiente inserire le parole “o diminuito” dopo “aumentato”).
4. La previsione di un aumento fino al doppio del compenso spettante all’avvocato che difende più persone con la medesima posizione processuale, è sostituita dalla introduzione di un incremento fino al triplo di tale compenso.
La Sezione ritiene di condividere le ragioni della modifica indicate dall’Amministrazione e consistenti nella finalità di evitare l’incentivazione dell’instaurazione di più giudizi aventi identici petita e causae petendi al solo fine di conseguire un maggior compenso sommando la liquidazione prevista per ciascun procedimento.
5. Parimenti condivisibile è la modifica dell’articolo 9 del d.m. n. 140/2012 (Cause per l’indennizzo da irragionevole durata del processo e patrocinio a spese dello Stato) con la soppressione della possibile riduzione a metà del compenso spettante all’avvocato che presta la sua assistenza a soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato nonché a soggetti a questi equiparati dal DPR n. 115/2002 nel procedimento penale.
Infatti, come evidenziato dal Ministero, l’esclusione della riduzione alla metà del compenso ripristina la differenza tra la difesa in ambito civile e quella ambito penale già introdotta dal DPR n. 115/2002 con norma primaria (dove i compensi per la difesa nel procedimento civile dei soggetti sopra citati sono ridotti alla metà) in un’ottica di recupero della funzione sociale dello Stato, che si fa carico per intero di delicate difese di soggetti con insufficienti mezzi economici.
6. Il nuovo comma 6 bis dell’art. 4 del d.m. disciplina la così detta “soccombenza qualificata”: la norma, che prevede un significativo aumento del compenso liquidato a carico della parte soccombente quando le difese della parte vittoriosa siano risultate manifestamente fondate, mira – secondo il Ministero – non solo, a scoraggiare pretestuose resistenze processuali, ma, soprattutto, a valorizzare, premiandola, l’abilità tecnica dell’avvocato che, attraverso le proprie difese, sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie.
Secondo l’amministrazione si tratta, pertanto, di norma che non potrà trovare applicazione in un giudizio contumaciale, non risultando, anche costituzionalmente, corretto aggravare le conseguenze della “mera soccombenza”.
La Sezione condivide la ratio della modifica, ma non anche tale ultima affermazione in quanto le ragioni di una “soccombenza qualificata” possono sussistere anche se la parte soccombente non si è costituita; appare, quindi, preferibile eliminare la parola “costituito”.
7. Una ulteriore modifica concerne la soppressione del comma 9, dell’art. 1, del d.m. n. 140/2012, che richiamava l’applicazione dei criteri generali di cui all’art. 4, commi da 2 a 5, per la determinazione del compenso nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000.
A tale soppressione fa seguito la introduzione di due ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5.000.000, l’altro oltre euro 5.000.000; è, inoltre, disposto un incremento – in misura oscillante tra il 30% e il 50%, in modo logicamente regressivo – dei valori parametrici previsti per il procedimento di ingiunzione e per il precetto. Tali modifiche sono esposte nelle nuove tabelle A e B che, a norma dell’art. 2 del presente decreto, integrano e modificano le tabelle Avvocati A e B del d.m. n. 140/2012.
Pur prendendo atto della circostanza che la modifica rende più obiettivi i parametri di liquidazione dei compensi nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000, si segnala l’esigenza di contenere nel quantum i parametri per i due nuovi scaglioni, anche in ragione delle esigenze di contenere la misura dei parametri di liquidazione, già segnalate nel precedente parere, e poste in relazione alla crisi finanziaria in atto nel Paese.
Non si ravvisano, infine, ragioni per aumentare i parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per il precetto, giustificati dall’Amministrazione con l’esigenza di riferire anche a tali attività la componente di “studio” (sulla voce “studio” si rinvia a quanto illustrato di seguito in coerenza con la presente osservazione).
8. Per la attività giudiziale penale lo schema introduce una nuova fase che si aggiunge alle altre: quella della investigazione.
Altra modifica relativa alle fasi dell’attività forense è costituita dall’introduzione, nel settore civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare: la voce, inserita con riferimento ad ogni scaglione, contiene valori corrispondenti al 35-50 per cento degli importi previsti per la voce “procedimento”.
Con riferimento a tali due innovazioni si osserva che, nella relazione dell’amministrazione all’originario schema di regolamento, su cui si era espressa questa Sezione con il precedente parere, era stata valorizzata in modo particolare la semplificazione dei parametri di liquidazione rispetto alle abolite tariffe attraverso l’accorpamento delle voci di onorari, diritti, indennità, fondendole in funzione di una suddivisione in fasi dei procedimenti giudiziali, che traeva spunto dalla riforma tedesca del 2004 (Rechtsanwaltsvergütungsgesetz, RVG), che ha sostituito la legge federale sulla retribuzione degli avvocati del 1957.
Sono state così previste cinque fasi: di studio, introduttiva del procedimento o del processo, istruttoria, decisoria, esecutiva, in modo da “ricomprendere anche quest’ultima quale completamento per la realizzazione del bene della vita perseguito nel settore civile, amministrativo, comprensivo del contenzioso contabile, e tributario, e quale segmento terminale nel penale”.
La semplificazione dei parametri attraverso la suddivisione dell’attività in fasi, già condivisa dalla Sezione, comporta che l’attività dell’avvocato venga valutata nel suo svolgimento lineare, in funzione dei risultati raggiunti e con particolare attenzione al contenimento dei tempi dei giudizi.
In tale ottica, l’introduzione di una specifica “fase investigativa” per l’attività giudiziale penale si giustifica con l’esigenza di valorizzare un’attività particolarmente impegnativa e delicata, come quella investigativa appunto, che è stata introdotta al fine di porre su un piano paritario accusa e difesa nel giudizio penale.
Tale importante finalità depone a favore del considerare quella investigativa una fase autonoma.
Una analoga giustificazione non sussiste, invece, per la introduzione, nel settore civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare.
Se la fase esecutiva va intesa in modo da essere ricompresa quale completamento per la realizzazione del bene, come sostenuto dall’Amministrazione nella originaria relazione, non vi è alcuna ragione per inserire all’interno di tale fase una voce “studio”, che finirebbe per costituire una duplicazione della fase di studio, già prevista con dignità autonoma.
Si ritiene, pertanto, che debba essere espunta dal testo dello schema e delle allegate tabelle tale ultima modifica, e si ribadisce quanto osservato in precedenza circa la non necessità di alcun aumento dei parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per il precetto.
9. Va, infine, valutata positivamente la soppressione della possibilità della riduzione alla metà del compenso dell’avvocato che assiste d’ufficio un minorenne.
La modifica consente di evitare che la difesa di soggetti deboli sia considerata di minore dignità, e non le sia attribuito quel riconoscimento che è dovuto per la delicatezza dell’incarico (laddove, invece, la previsione di una ridotta retribuzione potrebbe essere erroneamente ritenuta connessa a un minor impegno, con conseguente svilimento della attività difensiva).
P.Q.M.
Nelle considerazioni che precedono è il parere della Sezione.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Chieppa Luigi Cossu

IL SEGRETARIO
Massimo Meli

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