Apposizione di vincolo su collezione quadri antichi di interesse storico-artistico – Consiglio di Stato Sentenza 00619/2013
sul ricorso numero di registro generale 815 del 2009, proposto da:
XX, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Di Lorenzo, Nicolò Paoletti, Raffaella Rampazzo e Claudio Sartori, con domicilio eletto presso Nicolò Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini 34;
contro
XX, nella qualità di erede di XX, rappresentata e difesa dall’avvocato Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
Ministero per i beni e le attivita’ culturali, in persona del Ministro legale rappresentante pro-tempore, non costituito in questo grado di giudizio;
Vianelli Galeazzo, non costituito;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II^ QUATER n. 8824/2008, resa tra le parti, concernente apposizione di vincolo su collezione quadri antichi di interesse storico-artistico
Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Sentenza n. 00619/2013 del 01.02.2013
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di XX, nella qualità di erede di XX;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2013 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti gli avvocati Paoletti e Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La signora Vittoria Vianelli impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 8 ottobre 2008, n. 8824 che, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla signora XX ved. Vianelli, e proseguito dalla di lei erede Maria Luisa Tonel, ha annullato in parte il decreto del Ministero dei beni culturali e ambientali 24 aprile 1995, n. 186002, applicativo, ai sensi dell’art. 5 l. 1 giugno 1939, n. 1089, del vincolo di interesse culturale su una collezione di dipinti presente in Chioggia all’interno di Palazzo Vianelli in Corso del Popolo, 1317, 1318, 1319,1320 (palazzo a sua volta oggetto di vincolo in base alla l. 20 giugno 1909, n. 364, rinnovato ai sensi dell’art. 71 l. n. 1089 del 1939 con d.m. 24 aprile 1996, dove si è disposto che la collezione di dipinti presente nel palazzo è pertinente e parte integrante e inscindibile dell’immobile stesso).
L’appellante Vittoria Vianelli si duole dell’erroneità della gravata sentenza sia perché non ha dichiarato il ricorso inammissibile (essendo l’effetto dell’impugnato decreto 24 aprile 1995 assorbito da questo successivo decreto 24 aprile 1996), sia – nel merito – nella parte in cui, accogliendo in parte quel ricorso, ha ritenuto insussistenti i presupposti per far luogo all’applicazione del vincolo di collezione su una parte consistente della quadreria Vianelli, in particolare sui novantatre quadri presuntivamente non riconducibili all’opera del creatore della collezione (il canonico Giovanni Vianelli, morto nel 1794, noto collezionista), in quanto non censiti nel Catalogo di quadri esistenti in casa del Signor Giovanni Vianelli canonico della Cattedrale di Chioggia, stampato a Venezia nel 1790, in cui compare circa la metà di quella che è l’attuale collezione Vianelli, vale a dire novantadue sugli attuali centoottantacinque quadri (i novantatre in questione essendo, a giudizio del Tribunale amministrativo, stati poi collezionati dalla famiglia e perciò non costituendo espressione del gusto e del collezionismo privato di fine settecento per cui fu dichiarato l’interesse della collezione).
L’appellante deduce che il giudice di primo grado, esorbitando dalla giurisdizione di legittimità ed entrando nel merito della valutazione tecnica propria dell’Amministrazione, avrebbe scisso indebitamente la collezione e indebitamente individuato, come dato per discriminarne una parte dal vincolo, il mero fatto del censimento dei quadri nel detto catalogo: mentre in realtà il catalogo solo prova che i quadri che menziona erano presenti nella collezione alla data (1790) della stampa, ma non esclude che anche altri ve ne fossero (in ipotesi anche acquistati dal canonico nei successivi anni fino alla morte (1794)); e comunque la collezione, nell’attuale consistenza, è unitaria perché – come afferma la relazione al decreto di vincolo – tutte le opere che la compongono esprimono il gusto e lo spirito del collezionismo di fine settecento, anche se eventualmente non acquisite dallo stesso canonico: ivi incluse le circa venti opere del sec. XIX, che per forme e soggetti sono consentanee al resto. Perciò anche quadri non censiti nel catalogo avrebbero potuto essere ricondotti all’opera di acquisizione del fondatore della collezione e, in ogni caso, anche opere acquisite alla collezione dagli eredi Vianelli negli anni successivi alla morte dell’istitutore della quadreria avrebbero dovuto essere ricomprese (come in effetti è avvenuto) nella collezione, quale universalitàritenuta di interesse culturale ai fini della apposizione dello specifico vincolo di tutela del 1995.
Si è costituita in giudizio l’appellata Tonel per resistere al ricorso e per chiederne il rigetto.
All’udienza del 15 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto.
3. – Va innanzi tutto disattesa la questione, sollevata dall’appellante, dell’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse del ricorso di primo grado, per l’intervenuta adozione, in data 24 aprile 1996, del citato nuovo vincolo ministeriale sul Palazzo Vianelli e, pertinenzialmente, sulla quadreria ivi conservata.
L’appellante assume che tale sopravvenienza eliderebbe l’interesse processuale a base del ricorso, posto che nessun vantaggio deriverebbe dall’annullamento del vincolo del 1995 sulla collezione e oggetto dell’impugnativa, stante la nuova disciplina vincolistica impressa all’intero palazzo e alla stessa quadreria Vianelli con il decreto del 1996.
Osserva il Collegio che la questione non è fondata, stante l’autonomia dei due provvedimenti di vincolo, resa manifesta dalle diverse ragioni che ne hanno ispirato l’adozione e dalla stessa diversità oggettuale dei due decreti. La loro distinta finalità ricognitiva dell’interesse pubblico culturale che si affianca alla e limita la proprietà privata, afferisce da un lato alla collezione in quanto bene unitario, dall’altro al vincolo pertinenziale della collezione con il palazzo. Per quanto entrambi si riferiscano materialmente, per quel che rileva qui, alla collezione, gli effetti giuridici sono distinti e questo fa ritenere sussistente un autonomo interesse dell’originaria ricorrente e della sua erede a censurare il vincolo di collezione sulla quadreria. Questo vincolo, del resto, non verrebbe meno ove mai cessasse il vincolo apposto con il decreto del 1996 sul palazzo e i suoi arredi.
4.- Quanto al merito, va rilevato che il giudice di primo grado, dopo aver dato atto che i quadri censiti nel catalogo del 1790 costituiscono una collezione di opere pittoriche meritevole di tutela vincolistica, ha tuttavia considerato – accogliendo per questa parte il ricorso – l’erroneità della determinazione di assoggettare a vincolo anche i quadri non censiti nel catalogo, perché non coerenti sul piano soggettivo alla ragione fondamentale che aveva giustificato il vincolo sulla collezione, rappresentata dall’essere quelle opere testimonianza del gusto e del collezionismo privato di fine settecento a Chioggia. Il Tribunale amministrativo ha così sostanzialmente escluso che opere di cui non fosse provato il collegamento certo con il fondatore della collezione, quali che fossero le loro intrinseche caratteristiche pittoriche, potessero essere ricomprese nella collezione da vincolare, avuto riguardo alle ragioni espresse nel decreto di vincolo, coincidenti con il legame indissolubile con l’attività collezionistica del suo autore e del suo gusto, testimonianza significativa del collezionismo privato di fine settecento a Chioggia.
5.- Ritiene il Collegio che le considerazioni svolte dalla sentenza non meritino condivisione.
Va ricordato anzitutto che per giurisprudenza costante l’accertamento della qualità culturale di un bene (mobile o immobile) è espressione di discrezionalità tecnica, come tale sindacabile solo sotto il profilo della logicità, della coerenza, della proporzionalità e della completezza istruttoria e motivazionale (es. Cons. Stato, VI, 6 marzo 2009, n. 1332). Questa valutazione tecnico-discrezionale è di pertinenza esclusiva dell’amministrazione e può essere sottoposta a vaglio giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità tali da far emergere l’inattendibilità della valutazione stessa (es. Cons. Stato, VI, 30 giugno 2011, n. 3894). Sarebbe dunque esorbitante dai limiti del giudizio di legittimità, e violerebbe il principio di separazione dei poteri, un sindacato giurisdizionale che esprimesse valutazioni di merito sull’interesse culturale di un bene o, come nel caso che occupa, di un insieme di beni mobili costituiti in collezione.
6.- Ciò posto – ed escluso pertanto, salvo i detti casi, che sia consentito in questo giudizio di legittimità sindacare in sé le valutazioni tecniche dell’Amministrazione nello stimare l’intera attuale raccolta meritevole di vincolo -, ritiene comunque il Collegio che il vincolo apposto nel 1995 sulla collezione di dipinti presente all’interno del Palazzo Vianelli sia immune dai vizi prospettati nel ricorso di primo grado e ritenuti sussistenti dal giudice di prime cure.
Anzitutto, è da condividere la considerazione in fatto dell’appellante che il catalogo stampato nel 1790 se dà una certezza positiva sulle novantadue opere che cita, non esclude che altre opere facessero parte già allora della raccolta, o comunque siano state poi acquisite dallo stesso Giovanni Vianelli: dunque, anche ad assumere il dato soggettivo come dirimente, quel catalogo non è sufficiente per essere utilizzato come elemento di discrimine, per imporre all’Amministrazione di limitarsi ai suoi contenuti e qui per dimostrare l’eccessività materiale del vincolo.
Ma in realtà è lo stesso dato soggettivo a non essere concludente per rappresentare una ragione di incoerenza o di irragionevolezza del provvedimento impugnato.
Invero, come correttamente evidenziato dall’appellante, le ragioni sottese al vincolo culturale di collezione, evidenziate dalla motivazione dell’atto con il riferimento alla capacità evocativa della pinacoteca Vianelli quale testimonianza del gusto e dello spirito del collezionismo privato di fine settecento a Chioggia, non individuano un collegamento necessario ed essenziale tra l’attività collezionistica della persona del canonico Giovanni Vianelli, pur istitutore della raccolta, e le opere pittoriche ora presenti nel palazzo che sono state ricomprese nell’insieme da vincolare.
In altri termini, a quel che è dato desumere mettendo in relazione l’atto impugnato, la relazione che lo accompagna e la fattispecie normativa su cui si fonda (art. 5 l. n. 1089 del 1939), per quanto possa risultare rilevante e determinante nella vicenda che ha condotto alla formazione della raccolta, il profilo soggettivo dell’iniziatore di questa reductio ad unitatem non costituisce un elemento imprescindibile della identità della collezione e dunque ragione del vincolo medesimo. Il dato soggettivo è utile e rilevante a individuare il fatto storico dell’edificazione della collezione, ma non rappresenta la ragione giuridica che oggi presiede al suo vincolo. Il vincolo infatti – che comporta il divieto di smembramento, salvo autorizzazione, dell’insieme – non ha la una ragione esclusiva nel collegamento dei dipinti con il fatto della storia del canonico Giovanni Vianelli (come sarebbe se fosse stato basato sull’allora vigente art. 2 l. n. 1089 del 1939 e solo su di esso); esso fa piuttosto riferimento essenziale – come emerge dalla motivazione e dalla relazione – alla dimensione oggettiva e ambientale della collezione, vale a dire alla capacità testimoniale che la raccolta ha di una certa temperie culturale chioggiotta, e alla rilevanza culturale che rispetto a quella rappresenta l’insieme. È per questo che tutti quegli oggetti rilevano come “complesso di eccezionale interesse artistico o storico” (art. 5 della legge n. 1089 del 1939).
Per la motivazione dell’atto e la relazione, del resto, che pur additano la determinante importanza del ruolo del canonico, le ragioni del vincolo risiedono nel valore d’insieme che ha la sua capacità espressiva di quel gusto e di quella tradizione culturale, piuttosto che nel mero collegamento con quella figura, per quanto significativa e preminente ne sia stata l’attività di acquisizione. In questo riferimento a quell’oggettiva e sociale situazione storica e culturale, e nel suo sviluppo anche in ipotesi successivo alla morte del fondatore, consiste l’omogeneità documentativa di civiltà che presiede al vincolo – vale a dire, il ricordato “eccezionale interesse” – e ivi si fonda l’unitaria destinazione di tutti i dipinti che oggi compongono la collezione e che eleva, dal punto di vista dell’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale, l’universalità di fatto a universalità di diritto. È corretto e lineare dunque che per questa coerente ragione la collezione, considerata in riferimento a tutte le opere presenti al momento dell’accertamento che presiede al vincolo, manifesti un ulteriore valore culturale (ma anche economico) meritevole di tutela, che trascende e supera la mera sommatoria del valore compendiato in ciascuna opera in sé considerata.
7.- Per le considerazioni che precedono, non appare contraddittoria o non coerente la determinazione amministrativa di ricomprendere, in questa universalitàdi interesse pubblico, opere pittoriche non ascrivibili con certezza alla capacità collezionistica del canonico Vianelli: ivi comunque incluse le opere ottocentesche, che per forme o soggetti sviluppano la collezione stessa, o che comunque arricchendo il lascito originario testimoniano l’andamento di quella medesima temperie. Non è dunque incoerente o irragionevole considerare che la prosecuzione, da parte degli eredi del canonico, nei decenni successivi alla sua morte, dell’attività collezionistica iniziata dall’avo documenti l’espressione di quel gusto e di quella tradizione culturale, di cui nel 1995 formava testimonianza da salvaguardare la collezione pittorica nel suo attuale insieme.
8.- Contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, l’atto di vincolo impugnato non è insomma in alcuna parte illegittimo.
Per le suesposte ragioni l’appello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va integralmente respinto il ricorso di primo grado, con compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 815/2009), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)