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Indicatore della situazione economica equivalente (I.S.E.E.) – Campi di applicazione – Corte Costituzionale Sentenza 297/2012

1) dichiara l’illegittimità costituzionale del primo e secondo periodo dell’unico comma dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, nella parte in cui non prevedono che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ivi menzionato sia emanato «d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281»;

Corte Costituzionale Sentenza n. 297 del 19/12/2012

Assistenza e solidarietà sociale – Assistenza e solidarietà sociale – Indicatore della situazione economica equivalente (I.S.E.E.) – Modalità di determinazione e campi di applicazione – Revisione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze – Riassegnazione dei conseguenti risparmi “statali” al Ministero del lavoro per l’attuazione di politiche sociali e assistenziali.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 21 febbraio 2012, depositato in cancelleria il 23 febbraio 2012 ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 2012 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Luca Antonini, Bruno Barel, Andrea Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 21 febbraio 2012 e depositato in cancelleria il 23 successivo, la Regione Veneto ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale di varie norme del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 27 dicembre 2011. In particolare, ha impugnato l’art. 5 del suddetto decreto-legge per violazione degli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione, nonché del «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost. Al ricorso è allegata copia della delibera della Giunta regionale n. 150 del 31 gennaio 2012, con la quale è stata deliberata l’autorizzazione a proporre il ricorso medesimo.

1.1.– La Regione ricorrente rileva che il censurato articolo 5 – nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso e, quindi, anteriormente alle aggiunte introdotte dall’art. 23, comma 12-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 – prevede:

a) l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, per la revisione delle modalità di determinazione ed i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente, ISEE (primo e secondo periodo dell’unico comma);

b) la definizione, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, delle modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE (terzo periodo);

c) la determinazione, sempre con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, delle modalità di riassegnazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dei risparmi, derivanti dall’attuazione delle nuove norme, da destinare all’attuazione di politiche sociali e assistenziali (quarto, quinto e sesto periodo).

1.2.– La ricorrente deduce che tale normativa víola gli evocati parametri sotto tre diversi profili.

1.2.1.– Sotto un primo profilo, viene osservato che l’intero articolo impugnato non fa cenno ad un’intesa con le Regioni o con la Conferenza unificata e neppure menziona la possibilità per gli enti erogatori di modulare diversamente gli indicatori ISEE. In tal modo, secondo la Regione, vengono abbandonate procedure di leale collaborazione già previste per la revisione dell’ISEE dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130 (Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate), a suo tempo emanato sentita la Conferenza unificata, il quale aveva apportato modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 (Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449), istitutivo dell’ISEE. Ad esempio, sottolinea la ricorrente, il comma 1 dell’art. 3 del d.lgs. n. 109 del 1998, quale sostituito dal comma dell’art. 3 del d.lgs. n. 130 del 2000, aveva statuito, nell’àmbito di un piú ampio riconoscimento dell’autonomia regionale, che «Gli enti erogatori, ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione, possono prevedere, ai sensi dell’articolo 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, accanto all’indicatore della situazione economica equivalente, come calcolato ai sensi dell’articolo 2 del presente decreto, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari. Fatta salva l’unicità della dichiarazione sostitutiva di cui all’articolo 4, gli enti erogatori possono altresí tenere conto, nella disciplina delle prestazioni sociali agevolate, di rilevanti variazioni della situazione economica successive alla presentazione della dichiarazione medesima». Ad avviso della Regione Veneto, la norma impugnata, prevedendo invece la modificazione unilaterale da parte dello Stato della determinazione dell’ISEE (cioè di criteri strumentali alla definizione dei requisiti di accesso a prestazioni che ineriscono alla competenza regionale «anche residuale»), restringe senza giustificazione gli spazi di autonomia regionale attribuiti dalla normativa statale anteriore alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione; riforma che, pure, ha ampliato le attribuzioni regionali in tema di servizi sociali, ora di competenza legislativa residuale.

La Regione deduce, infatti, che la normativa relativa all’ISEE, pur inquadrandosi, tendenzialmente, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali (viene citata, in tal senso, la pronuncia del Consiglio di Stato n. 1607 del 2011), incide fortemente nell’esercizio di funzioni ascrivibili a materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni, anche di tipo “residuale”. Osserva, al riguardo, che detta normativa statale è utilizzata dalla legislazione regionale «per definire l’accesso a prestazioni come asili nido e altri servizi educativi per l’infanzia, mense scolastiche, servizi socio-sanitari domiciliari, servizi socio-sanitari diurni, residenziali ecc. ed altre prestazioni economiche assistenziali». In proposito, la ricorrente richiama l’art. 25 della legge 8 novembre 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), secondo cui «Ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130». Questa circostanza avrebbe richiesto – prosegue la ricorrente – il coinvolgimento delle Regioni attraverso la previa intesa con il Governo, secondo il principio di leale collaborazione, come avviene, del resto, nella determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) e come sottolineato in generale dalla giurisprudenza della Corte costituzionale relativa all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. (viene citata la sentenza n. 88 del 2003).

La ricorrente sottolinea, infine, che, nella specie, non ricorrono i presupposti della chiamata in sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost. e neppure sussiste quella situazione congiunturale di emergenza economica che sola potrebbe temporaneamente legittimare lo Stato ad erogare, in via diretta ed in condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale, una provvidenza a favore di persone bisognose, prescindendo dal coinvolgimento delle Province autonome e delle Regioni (è richiamata la sentenza n. 10 del 2010, relativa alla cosiddetta social card).

Viene perciò dedotta la violazione degli artt. 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione, nonché del «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost.

1.2.2.– Sotto altro profilo, il primo ed il secondo periodo dell’unico comma del medesimo articolo 5 sarebbero viziati, ad avviso della Regione, da eccesso di potere legislativo e da irragionevolezza, perché, senza neppure indicare le disposizioni legislative da abrogare, assegnano ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – decreto non espressamente qualificato come regolamentare – la forza di modificare, genericamente, la disciplina stabilita da fonti primarie in tema, rispettivamente, di: 1) modalità di determinazione e campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE); 2) agevolazioni fiscali e tariffarie nonché provvidenze di natura assistenziale. Per la ricorrente, infatti, tale potere modificativo concreterebbe una «delegificazione spuria», al di fuori della previsione dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), secondo cui: «Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari» (comma risultante dalla modifica apportata dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 5 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile»). Ne conseguirebbe, sempre ad avviso della Regione Veneto, oltre che la violazione dell’art. 3 Cost., anche «una surrettizia violazione dell’art. 117, III e IV comma, in forza della incisione che questo processo di delegificazione opera sulle competenze regionali concorrenti e residuali».

In conclusione, viene dedotta, in parte qua, la violazione degli artt. 3 e 117, terzo e quarto comma, Cost.

1.2.3.– Sotto un ultimo profilo, viene affermato che il quarto, quinto e sesto periodo del medesimo unico comma dell’art. 5 – nel prevedere che i risparmi a favore dello Stato e degli enti nazionali di previdenza derivanti dall’attuazione delle nuove norme sono determinati con decreto ministeriale, senza intesa con le Regioni, e riassegnati al Ministero del lavoro – non considerano «la stretta interconnessione che esiste tra le politiche regionali in materia sociale e socio assistenziale che spesso hanno assunto, o volontariamente o perché tenute a farlo, l’indicatore […] come parametro».

Tale interconnessione, osserva la ricorrente, avrebbe dovuto coinvolgere le Regioni, tramite intesa, anche nel processo di riallocazione dei “risparmi statali” ottenuti, con la conseguenza che l’omesso coinvolgimento comporta la violazione degli artt. 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., nonché del «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato l’8 maggio 2012 e, quindi, oltre il termine del 1° aprile 2012, quale risultante in base al comma 3 dell’art. 19 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

3.– Con memoria depositata in prossimità della pubblica udienza, la Regione Veneto ha ribadito le già formulate conclusioni, sottolineando nuovamente che il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, nel prevedere la revisione dell’ISEE, non fa alcun cenno né ad una intesa con le Regioni o con la Conferenza unificata né alla possibilità per gli enti erogatori delle prestazioni assistenziali di modulare diversamente gli indicatori riguardanti la situazione economica equivalente del beneficiario di tali prestazioni.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale di varie norme del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Delle questioni promosse, viene qui in esame quella riguardante l’art. 5 del suddetto decreto-legge, impugnato per contrasto con gli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione, nonché con il «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost. Resta pertanto riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla medesima ricorrente nei confronti dello stesso decreto-legge.

2.– Il resistente Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato l’8 maggio 2012, cioè oltre il termine massimo del 1° aprile 2012, quale determinato in base al comma 3 dell’art. 19 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, secondo il quale «La parte convenuta può costituirsi in cancelleria entro il termine perentorio di trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, con memoria contenente le conclusioni e l’illustrazione delle stesse», e, cioè, entro i trenta giorni successivi al decimo giorno decorrente dalla notificazione del ricorso (comma 4 dell’art. 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, richiamato, per i giudizi promossi in via principale dalla Regione, dal terzo ed ultimo comma dell’art. 32 della stessa legge).

Il mancato rispetto di tale termine comporta l’inammissibilità della costituzione in giudizio della parte resistente.

3.– L’impugnato art. 5 (recante un unico comma, suddiviso in sei periodi) riguarda la disciplina (statale) dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), cioè di un indicatore idoneo a costruire un reddito utilizzabile come soglia per l’accesso a prestazioni agevolate di assistenza sociale. La Regione ricorrente denuncia l’illegittimità dell’impugnata normativa prospettando tre diverse questioni.

Con la prima questione viene dedotta la violazione del principio di leale collaborazione (sia pure con il palesemente erroneo riferimento anche all’art. 120 Cost.) per la mancata partecipazione della Regione alla modifica dell’ISEE. Il primo ed il secondo periodo dell’unico comma dell’art. 5 stabiliscono che: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni. Con il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere piú riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso».

La ricorrente sostiene che, pur rientrando la determinazione di tale indicatore nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), è comunque necessaria in tale determinazione la leale collaborazione con le Regioni a statuto ordinario, in considerazione dell’incidenza della competenza legislativa statale sulla competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di «servizi sociali», ai sensi degli artt. 118, primo e secondo comma, e 119 della Cost., nonché del «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost.

Con la seconda questione viene censurata l’attribuzione ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del potere di realizzare la modifica dell’ISEE attraverso l’abrogazione della precedente legislazione statale in materia. Il terzo periodo dell’art. 5 prevede, al riguardo, che: «Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse».

La Regione afferma che, in tal modo, la norma impugnata opera una surrettizia delegificazione per effetto dell’emissione di un atto privo di forza di legge (il citato decreto del Presidente del Consiglio), neppure qualificato espressamente come «regolamento», il quale si pone al di fuori della disciplina della potestà regolamentare fissata dalla legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), in violazione degli artt. 3 e 117, terzo e quarto comma, Cost.

Con la terza questione viene denunciata la violazione del principio di leale collaborazione (anche qui con il palesemente erroneo riferimento all’art. 120 Cost.) per la mancata partecipazione della Regione alla riassegnazione dei risparmi ottenuti dalla modifica dell’ISEE. Il quarto, quinto e sesto periodo del citato art. 5 stabiliscono, in proposito, che: «Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. I risparmi derivati dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale riassegnazione».

La ricorrente osserva che la riassegnazione ad opera dello Stato dei risparmi derivanti dalla modifica dell’ISEE, senza previa intesa con la Regione, comporta la lesione del principio di leale collaborazione, in contrasto con gli artt. 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., nonché con il «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost.

4.– Va premesso che l’impugnato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 è stato modificato, dopo la proposizione del ricorso, dall’art. 23, comma 12-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, il quale ha inserito un nuovo periodo tra gli originari secondo e terzo periodo dell’unico comma del menzionato art. 5.

Detto ius superveniens ha modificato la disciplina originaria nel senso che il nuovo periodo (l’attuale terzo) stabilisce che, «a far data dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica» per la determinazione dell’ISEE, «attuative» del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dal primo periodo dello stesso art. 5, «sono abrogati» il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109 (Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449) ed il d.P.C.m. 7 maggio 1999, n. 221 (recante il regolamento per l’applicazione dell’ISEE). Ne consegue che la modifica incide esclusivamente sul meccanismo abrogativo della previgente normativa e, pertanto, non tocca la prima e la terza delle sopraindicate questioni. Solo la seconda questione, riguardante proprio le modalità di abrogazione della precedente normativa, è direttamente influenzata dal ius superveniens.

È, pertanto, necessario esaminare singolarmente le indicate questioni.

5.– Come sopra visto, la prima questione concerne il primo ed il secondo periodo dell’unico comma dell’art. 5, impugnati per violazione del principio di leale collaborazione in relazione alla mancata previsione della partecipazione della Regione alla modifica dell’ISEE.

La questione è fondata.

A tale conclusione si giunge attraverso due passaggi argomentativi: a) l’inquadramento della disciplina dell’ISEE nella competenza esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in tema di LIVEAS; b) la necessità della collaborazione della Regione nella predisposizione, da parte dello Stato, dei LIVEAS.

5.1.– Con riferimento al primo passaggio argomentativo, si deve constatare che la normativa statale sull’ISEE si è sviluppata con atti normativi che si situano cronologicamente sia prima che dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la quale ha inciso in modo radicale sul riparto costituzionale delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni in materia di «servizi sociali».

5.1.1.– Nella fase anteriore alla suddetta riforma costituzionale, lo Stato e le Regioni, ai sensi del testo allora vigente del primo comma dell’art. 117 Cost., avevano competenza legislativa concorrente nella materia della «beneficenza pubblica» ovvero dei «servizi sociali» (come ridefinita dall’art. 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»). In tale àmbito competenziale, il legislatore statale ha dettato varie norme di principio. Dapprima, ha disciplinato l’ISEE fissando «criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche» (art. 1 del d.lgs. n. 109 del 1998). Successivamente, con la legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), ha indicato i princípi fondamentali della materia (tra cui l’applicazione dell’ISEE per l’accesso al servizio integrato di servizi ed interventi sociali), ha istituito a fini di programmazione il piano nazionale triennale degli interventi e dei servizi sociali (approvato per il triennio 2001-2003 con d.P.R. 3 maggio 2001 e non seguíto da altri piani) ed ha precisato le aree in relazione alle quali il piano deve specificare gli interventi integranti i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sociale (LIVEAS).

In particolare, questa normativa ha stabilito che: a) la verifica della condizioni economiche richieste per accedere a «prestazioni sociali agevolate» (come le definisce la rubrica dell’art. 1 del d.lgs. n. 109 del 1998) si effettua in base all’ISEE, quale determinata dal d.lgs. n. 109 del 1998, nel testo modificato dal d.lgs. 3 maggio 2000, n. 130, recante «Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate» (art. 25 della legge n. 328 del 2000); b) gli enti erogatori del servizio agevolato stabiliscono la soglia ISEE richiesta per l’accesso al servizio ed «i requisiti per fruire di ciascuna prestazione» (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 109 del 1998); c) i medesimi enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, «criteri ulteriori di selezione dei beneficiari», ai sensi dell’art. 59, comma 52, della legge n. 449 del 1997, cioè «criteri differenziati in base alle condizioni economiche e alla composizione della famiglia» (artt. 1, comma 2, e 3 del d.lgs. n. 109 del 1998).

Da tale disciplina si desume che la normativa citata, avendo natura di principio, non ha determinato in concreto le prestazioni integranti i LIVEAS, ma si è limitata ad indicare un metodo di calcolo del reddito da prendere in considerazione, da parte degli enti erogatori, per l’accesso a servizi agevolati, lasciando liberi tali enti di individuare la soglia reddituale e di far ricorso a criteri ulteriori (sentenza n. 296 del 2012).

5.1.2.– La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte II della Costituzione), ha profondamente modificato il precedente assetto delle competenze legislative in materia di servizi sociali. Essa infatti, da un lato, ha attribuito allo Stato la competenza esclusiva in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. (nel presente giudizio di costituzionalità vengono in rilievo i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti all’assistenza sociale, cioè i cosiddetti LIVEAS o LEPS); dall’altro, con norma desumibile a silentio (art. 117, quarto comma, Cost.), ha assegnato alle Regioni la competenza residuale in materia di «servizi sociali» ovvero di «assistenza e beneficenza pubblica» ovvero di «politiche sociali» (sentenze n. 121 e n. 10 del 2010; n. 124 del 2009; n. 287 del 2004). Piú precisamente, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., pone, in tema di LIVEAS, una riserva di legge che deve ritenersi rinforzata (in quanto vincola il legislatore ad apprestare una garanzia uniforme sul territorio nazionale) e relativa (in quanto, considerata la complessità tecnica della determinazione dei livelli delle prestazioni, essi possono essere stabiliti anche in via amministrativa, purché in base alla legge). La determinazione dei LIVEAS, poi, non esclude, come piú volte sottolineato da questa Corte, che le Regioni e gli enti locali possano garantire, nell’àmbito delle proprie competenze, livelli ulteriori di tutela (sentenze n. 207 e n. 10 del 2010; n. 322 e n. 200 del 2009; n. 387 del 2007; n. 248 del 2006).

5.1.3.– Quanto alle norme statali successive alla menzionata riforma costituzionale, l’art. 46, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) – tenendo conto della competenza legislativa residuale e non piú concorrente delle Regioni in materia di servizi sociali – ha introdotto una specifica procedura per la determinazione dei LIVEAS, prevedendo che: «Nei limiti delle risorse ripartibili del fondo nazionale per le politiche sociali, tenendo conto delle risorse ordinarie destinate alla spesa sociale dalle regioni e dagli enti locali e nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica dal Documento di programmazione economico-finanziaria, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono determinati i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale». Detto comma, peraltro, non ha mai trovato applicazione.

L’impugnato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 (nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso della Regione Veneto), stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012, «su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze […] previo parere delle Commissioni parlamentari competenti» [senza l’intesa, quindi, con la Conferenza unificata prevista, invece, dal comma 3 dell’art. 46 della legge n. 289 del 2002]: 1) sono «rivisti le modalità di determinazione ed i campi di applicazione» dell’ISEE, al fine sia di «adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico»; sia di «migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative»; sia di «permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni»); 2) sono «individuate le agevolazioni di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere piú riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso».

Mediante l’art. 5, pertanto, a differenza di quanto previsto dal combinato disposto del d.lgs. n. 109 del 1998, nel testo modificato dal d.lgs. n. 130 del 2000, e dell’art. 25 della legge n. 328 del 2000, le soglie di accesso alle agevolazioni (fiscali, tariffarie ed assistenziali) vengono fissate dal Presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto e non piú dagli enti erogatori, ai quali è stata sottratta anche la facoltà di applicare criteri ulteriori rispetto all’ISEE.

5.1.4.– Come già osservato, l’art. 23, comma 12-bis, del decreto-legge n. 95 del 2012, sopravvenuto al ricorso, nel modificare il testo originario dell’unico comma dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, non tocca la norma oggetto della questione in esame (cioè i primi due periodi dell’unico comma dell’art. 5) né incide sull’identificazione della competenza esercitata dallo Stato e, pertanto, non rileva ai fini della promossa impugnazione.

5.1.5.– Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato, come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il cómpito di determinare con proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b) introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c) fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa, infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione», che la giurisprudenza di questa Corte ha piú volte indicato come rientrante nella competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso, sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 383 e n. 285 del 2005).

La norma impugnata, pertanto, costituisce espressione dell’esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di LIVEAS, ai sensi dell’art. 117, secondo comma lettera m), Cost., come riconosciuto dalla stessa ricorrente.

5.2.– Con riferimento al secondo passaggio argomentativo – relativo alla necessità della collaborazione della Regione alla predisposizione dei LIVEAS – occorre rilevare che la competenza statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce una competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n. 203 del 2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 162 e n. 94 del 2007; n. 282 del 2002).

Detta peculiare competenza comporta «una forte incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8 del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010; n. 322 e n. 124 del 2009; n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che ricorrano ipotesi eccezionali (nella specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) «non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […] di protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo Stato a disporre in via diretta le prestazioni assistenziali, senza adottare forme di leale collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a proposito della social card, ricondotta ai LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.).

Proprio in ragione di tale impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore statale, nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha spesso predisposto strumenti di coinvolgimento delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a salvaguardia delle competenze di queste.

Nella specie, non è dubbio che la determinazione dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie reddituali di accesso alle prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla competenza residuale regionale in materia di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle finanze della Regione, che sopporta l’onere economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la suddetta determinazione dell’ISEE richiede la ricognizione delle situazioni locali e la valutazione di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni dispongono in via prioritaria.

Ne consegue che è necessaria la leale collaborazione della Regione nell’attuazione della norma impugnata.

5.3.– In base alle argomentazioni che precedono, occorre concludere che l’omessa previsione, nella norma impugnata, di una qualsiasi forma di leale collaborazione con le Regioni comporta la fondatezza della questione in esame. In particolare, in ragione della natura residuale della competenza regionale su cui incide la disposizione denunciata, appare adeguato strumento collaborativo, nella emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, l’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Tale forma di collaborazione è, del resto, prevista da varie disposizioni di legge sia per l’analoga determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sanitaria (ad esempio, dall’art. 54, comma 3, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003»; nonché dall’art. 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005», quale risultante a séguito della sentenza di questa Corte n. 134 del 2006) sia, in generale, in tema di determinazione dei LEP (comma 3 dell’art. 46 della legge n. 289 del 2002).

6.– La seconda questione concerne il terzo periodo dell’art. 5 (nel testo originario), che viene censurato perché introdurrebbe surrettiziamente la delegificazione delle precedenti norme statali sull’ISEE, consentendone la modificabilità mediante un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, non qualificato espressamente come «regolamento».

In ordine a tale questione deve ritenersi cessata la materia del contendere in forza di ius superveniens.

6.1.– Va preliminarmente osservato che il citato decreto del Presidente del Consiglio ha natura evidentemente regolamentare; né la norma impugnata esclude che abbia tale natura. Deve ritenersi, dunque, strumento adatto per determinare i LIVEAS, per le sue caratteristiche, tipiche di tutti i regolamenti, di flessibilità e snellezza nell’acquisizione di informazioni e di collaborazioni con gli enti territoriali ed eventualmente con le associazioni degli utenti. Nella specie, il potere regolamentare spetta allo Stato ai sensi dell’art. 117, sesto comma, primo periodo, Cost., in quanto i LIVEAS sono materia di legislazione esclusiva dello Stato, nell’àmbito – come visto – di una riserva relativa di legge. La legittimità, in generale, di una procedura in cui i LEP siano determinati dallo Stato mediante un regolamento è stata, del resto, sottolineata espressamente dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare, dalle sentenze n. 88 del 2003; n. 134 del 2006; n. 8 del 2011).

6.2.– La ricorrente, nel proporre le sue censure, muove dalla premessa che la norma impugnata preveda un «surrettizio» regolamento di delegificazione, in violazione delle regole stabilite dall’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), il quale – nel testo modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 5 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile» – dispone che: «Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari».

Alla stregua di questa norma, si ha regolamento di delegificazione solo quando (in materia non coperta da riserva assoluta di legge) un atto legislativo preveda che l’effetto abrogativo di disposizioni di legge sia collegato temporalmente alla successiva emanazione di un regolamento.

6.3.– Nel caso di specie, il sopra citato ius superveniens ha mutato il testo impugnato. Come già osservato, infatti, l’art. 23, comma 12-bis, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge del 2012, nel modificare il testo originario dell’unico comma dell’impugnato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, ha inserito un nuovo terzo periodo, in base al quale, «a far data dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica» per la determinazione dell’ISEE, «attuative» del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, «sono abrogati» il d.lgs. n. 109 del 1998 ed il d.P.C.m. n. 221 del 1999, recante il regolamento per l’applicazione dell’ISEE. Ne deriva che l’effetto abrogativo è collegato dal decreto-legge n. 95 del 2012 non al momento dell’«entrata in vigore» del decreto del Presidente del Consiglio, ma ad un momento ulteriore, cioè al trentesimo giorno successivo all’approvazione, nell’àmbito delle norme attuative del medesimo decreto presidenziale, dei nuovi modelli di dichiarazione dell’ISEE.

Per chiarire il senso di tale nuova disposizione, è necessario confrontarla con il precedente testo dello stesso art. 5. Nel testo originario della disposizione impugnata, l’effetto abrogativo – contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente – è conseguenza diretta ed immediata (anche in mancanza di una statuizione espressa in tal senso) del decreto-legge, in considerazione dell’introduzione di una nuova disciplina della materia. L’abrogazione, perciò, decorreva dal giorno successivo alla data di pubblicazione della legge di conversione del medesimo decreto-legge, la quale ha sostituito l’intero art. 5 del decreto-legge (art. 15 della legge n. 400 del 1988). Si tratta, dunque, di una abrogazione tacita che, in quanto tale, opera indipendentemente dall’entrata in vigore del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il menzionato ius superveniens, nell’introdurre il nuovo terzo periodo nell’unico comma dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, invece: 1) ripristina l’efficacia di una normativa (il d.lgs. n. 109 del 1998 ed il d.P.C.m. n. 221 del 1999) già tacitamente abrogata ad opera del testo originario dell’art. 5; 2) dopo aver provocato tale reviviscenza, dispone una nuova abrogazione (questa volta espressa) delle medesime norme, differendo, però, l’effetto abrogativo al trentesimo giorno successivo all’«entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva dell’ISEE, attuative» del decreto del Presidente del Consiglio.

La nuova norma, dunque, è retroattiva e sostituisce il precedente testo dell’art. 5 nell’evidente intento sia di evitare l’immediato effetto abrogativo del d.lgs. n. 109 del 1998 prodotto dalla versione originaria del decreto-legge sia di colmare il vuoto normativo che si sarebbe protratto fino al momento della messa a disposizione del pubblico dei nuovi modelli di dichiarazione ISEE.

6.4.– Cosí interpretato, il suddetto ius superveniens – date la rilevata sua retroattività e la pratica mancanza di effetti, nelle more, della menzionata abrogazione tacita – è l’unico applicabile.

Esso introduce un meccanismo abrogativo sicuramente diverso da quello previsto dalla vecchia normativa impugnata dalla ricorrente. La norma sopravvenuta, in particolare, escludendo l’identità temporale tra effetto abrogativo ed «entrata in vigore» del decreto regolamentare (identità tipica, invece, del regolamento di delegificazione), realizza una fattispecie estranea a quella, presupposta dalla censura formulata dalla ricorrente, del regolamento di delegificazione. Ne derivano, da un lato, l’impossibilità del trasferimento della questione dalla vecchia alla nuova norma e, dall’altro, la cessazione della materia del contendere sul punto, cosí da impedire ogni valutazione circa il merito della questione concernente il testo originario.

7.– La terza questione riguarda il quarto, quinto e sesto periodo dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, impugnato per la violazione del principio di leale collaborazione (sia pure con il palesemente erroneo riferimento anche all’art. 120 Cost.), per la mancata partecipazione della Regione alla riassegnazione dei risparmi ottenuti dalla modifica dell’ISEE.

La ricorrente interpreta correttamente la disposizione impugnata nel senso che sono devoluti al bilancio dello Stato e successivamente riassegnati al Ministro del lavoro e delle politiche sociali – per essere poi destinati a politiche sociali ed assistenziali – solo i risparmi che derivano dall’applicazione della nuova ISEE allo Stato ed agli enti previdenziali («I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio dello Stato e degli enti nazionali di previdenza ed assistenza»: quinto periodo, corrispondente all’attuale sesto, dell’unico comma dell’art. 5). Gli eventuali risparmi a favore delle Regioni e degli enti locali restano, ovviamente, devoluti ai loro bilanci. La Regione ricorrente, tuttavia, pur riconoscendo espressamente che la norma si riferisce solo «a risparmi “statali”», lamenta la violazione del principio di leale collaborazione per la mancata previsione, nel decreto-legge, dell’intesa con le Regioni nella riassegnazione di tali risparmi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e nella loro riallocazione nei territori regionali.

La questione non è fondata.

7.1.– In relazione alla richiesta avanzata dalla ricorrente di un’intesa nella fase di riassegnazione, l’evidente sussistenza della competenza esclusiva statale in materia di sistema contabile (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e finanziario dello Stato, nonché il difetto di incidenza su alcuna competenza della Regione rendono inapplicabile, nella specie, l’invocato principio di leale collaborazione.

In relazione all’ulteriore richiesta di un’intesa nella fase dell’“attuazione” da parte dello Stato di politiche sociali nei territori regionali con le risorse riassegnate («riallocazione dei risparmi», come si esprime la ricorrente), è altrettanto evidente la non fondatezza della pretesa. Non solo, infatti, la norma impugnata nulla prevede in ordine all’«attuazione» delle «politiche sociali e assistenziali» da parte dello Stato genericamente menzionate nell’ultima parte del periodo quinto (ora sesto) dell’unico comma del denunciato art. 5; ma nemmeno risulta che dette politiche incidano in qualche modo sulla competenza regionale.

Sotto il primo profilo, il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed il concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze sono richiesti dal sesto (ora settimo) periodo del suddetto unico comma dell’art. 5 esclusivamente per le modalità attuative della «riassegnazione» dei risparmi “statali” al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, non certo per «l’attuazione di politiche sociali e assistenziali» mediante tali risorse. Si rimane, dunque, all’interno del sistema contabile e finanziario dello Stato, in ordine al quale la Regione non può invocare alcuna forma di collaborazione.

Sotto il secondo profilo, attinente al finanziamento con i risparmi “statali” di «politiche sociali e assistenziali», la norma impugnata non detta alcun precetto né sostanziale né procedurale, lasciando operare le disposizioni previgenti, con conseguente non pertinenza delle censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosse dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale del primo e secondo periodo dell’unico comma dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, nella parte in cui non prevedono che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ivi menzionato sia emanato «d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281»;

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale del terzo periodo (nel testo originario) dell’unico comma dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del quarto, quinto e sesto periodo (corrispondenti agli attuali quinto, sesto e settimo periodo) dell’unico comma dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., nonché al «principio di leale collaborazione di cui all’art. 120» Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 2012.

F.to:

Franco GALLO, Presidente e Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.

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