Concessione demaniale porto turistico di Tropea – Consiglio di Stato Sentenza 6488/2012
sul ricorso numero di registro generale 569 del 2012, proposto da Società Porto di Tropea s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Domenico Colaci, con domicilio eletto presso la signor Maria Giuseppina Lo Iudice in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n.55;
contro
Comune di Tropea, rappresentato e difeso dagli avvocati Oreste Morcavallo e Aldo Assisi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Oreste Morcavallo in Roma, via Arno, n. 6;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, SEZIONE I n. 1422/2011, resa tra le parti, concernente concessione demaniale porto turistico di Tropea
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n.6488/2012 del 18.12.2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Tropea;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti gli avvocati Domenico Colaci e Oreste Morcavallo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente contenzioso ha ad oggetto il complesso degli atti con cui il Comune di Tropea:
– ha revocato, nei confronti della società Porto di Tropea s.p.a., a partecipazione mista pubblico-privato (con socio di maggioranza privato (80%) e partecipazione minoritaria del Comune di Tropea (20%)), la concessione del servizio di gestione e valorizzazione del porto di Tropea;
– ha per l’effetto negato il rinnovo della connessa concessione demaniale;
– ha per l’effetto disposto la dismissione della propria partecipazione nella società;
– ha deliberato di internalizzare tale servizio;
– ha concesso a se stesso l’area demaniale.
1.1. Tali atti sono stati impugnati dalla società Porto di Tropea, con il ricorso n. 1429 del 2010 al Tar Calabria – Catanzaro, che è stato accolto in parte con la sentenza in epigrafe (Tar Calabria – Catanzaro, 24 novembre 2011, n. 1422).
1.2. La sentenza ha formato oggetto di appello principale da parte della società Porto di Tropea e di appello incidentale da parte del Comune di Tropea.
La causa, chiamata all’udienza cautelare del 20 aprile 2012, è stata rinviata al merito, fissato per l’udienza del 27 novembre 2012.
2. In fatto giova premettere che, con delibera di consiglio comunale 11 ottobre 2001, n. 29, il Comune di Tropea aveva stabilito di costituire, ai sensi dell’art. 116, d.lgs. n. 267/2000 una società per azioni per la gestione del porto e dei servizi correlati, adottando la procedura prevista dal d.P.R. n. 533/1996 al fine di selezionare un socio privato di maggioranza.
In detta delibera si affermava che “il porto rappresenta un’attività di servizio pubblico volta a promuovere lo sviluppo economico e civile” del Comune di Tropea e dei Comuni limitrofi.
Con tale delibera era stato altresì approvato il bando di gara per la selezione del socio privato di maggioranza, evidenziandosi che “al fine di poter gestire il porto e le strutture annesse dovrà essere richiesta ed ottenuta, da parte della costituenda s.p.a., la relativa concessione demaniale-marittima all’Autorità competente al rilascio. In caso di mancato ottenimento di tale concessione è previsto lo scioglimento della società.”
Nel bando si specificava anche che “il servizio pubblico oggetto del presente bando la cui attuazione è demandata alla costituenda società è costituito da gestione, manutenzione e valorizzazione del nuovo porto turistico di Tropea e dei servizi correlati” e che “la società “Porto di Tropea S.p.a. avrà durata fino al 31 dicembre 2052, con possibilità di proroga espressa”.
2.1. Dopo la procedura selettiva veniva costituita la società Porto di Tropea s.p.a., che, previa apposita istanza, conseguiva dalla Capitaneria di porto di Vibo Marina la concessione demaniale n. 28/03 del 2 luglio 2003 con scadenza al 31 dicembre 2006, in attesa di ottenere la concessione cinquantennale richiesta.
2.2. Scaduto questo primo periodo di concessione quadriennale, poiché l’iter di predisposizione dell’atto formale di concessione cinquantennale, pur conclusosi positivamente in fase istruttoria, non si era del tutto perfezionato, con provvedimento 12 gennaio 2007, n. 1/2007, la concessione veniva ulteriormente rinnovata per quarantotto mesi e cioè per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2007 ed il 31 dicembre 2010, precisandosi, in calce all’atto, che “la presente licenza si intenderà risolta “ipso iure” nel momento in cui verrà approvato l’atto formale, già autorizzato dal superiore ministero, ed in corso di formalizzazione”.
2.3. Con l’art. 9, l. 16 marzo 2001, n. 88 (che ha novellato l’art. 105, comma 2, lett. l), d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), le funzioni in materia di concessioni demaniali marittime per i porti di rilevanza regionale sono state conferite alle regioni e la Regione Calabria le ha subdelegate ai comuni con l.r. 21 dicembre 2005, n. 17.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, direzione generale dei porti, con nota M_TRA/PORTI/5357 del 22 aprile 2010, trasmetteva alla Regione Calabria “l’intero carteggio relativo all’istanza di concessione demaniale marittima prodotta dalla Porto di Tropea s.p.a. per la gestione di parte dello specchio acqueo e delle infrastrutture del Porto di Tropea per destinarli al servizio della nautica da diporto.”, invitando la Capitaneria di Porto di Vibo Valentia Marina, da un lato, “a trasmettere alla Regione gli atti eventualmente giacenti presso i propri uffici, concernenti la pratica in esame, comprensivi della bozza dell’atto formale così come integrata e modificata sulla scorta delle indicazioni fornite da questa Direzione Generale con il dp prot. n. M_TRA/DINFR/6278 in data 29 maggio 2008” e, dall’altro lato, “afornire ogni possibile supporto per la definizione della pratica in esame, anche al fine di non creare un nocumento all’aspirante concessionaria”.
A seguito di questo invito, la Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina trasmetteva tutto l’incartamento al Comune di Tropea e successivamente la Società Porto di Tropea s.p.a. sollecitava, con nota acquisita al protocollo del Comune di Tropea con il n. 30490 del 29 settembre 2010, la definizione dell’atto formale di concessione cinquantennale già istruita dal Ministero.
3. Da tale antefatto sono originati gli atti della complessa vicenda procedimentale, cui si riferisce il ricorso di primo grado, e che sono i seguenti.
3.1. Con delibera 29 settembre 2010 n. 42, pubblicata il 2 ottobre 2010 e comunicata in allegato alla nota sindacale 2 ottobre 2010, prot. n. 30772, pervenuta il 5 ottobre 2010, il consiglio comunale di Tropea ha stabilito:
“1) di revocare, ….., la deliberazione del Consiglio Comunale n. 29 del 11.10.2001 e tutti i provvedimenti amministrativi emessi da questo Comune a seguito ed in esecuzione della deliberazione medesima riguardanti l’affidamento del servizio di gestione, manutenzione e valorizzazione del porto di Tropea e dei servizi correlati alla società Porto di Tropea s.p.a. a far data dal primo gennaio 2011;
2) di revocare di conseguenza, …., l’affidamento del servizio di gestione, manutenzione e valorizzazione del porto di Tropea e dei servizi correlati alla società Porto di Tropea s.p.a. a far data dal primo gennaio 2011;
3) di dare atto che ….., pertanto, non si procederà al rinnovo della concessione demaniale scadente il 31.12.2010;
4) di internalizzare il servizio di gestione del Porto che sarà svolto a far data dal 1° gennaio 2011 direttamente dagli uffici comunali;
5) di dare mandato alla Giunta comunale di adottare i necessari provvedimenti di organizzazione degli uffici per avviare la gestione del servizio portuale;
6) di richiedere, ai sensi dell’art. 2367 c.c., e in ottemperanza all’art. 14 della legge 122/2010, la messa in liquidazione della “Porto di Tropea s.p.a.”, richiedendo all’uopo la convocazione dell’assemblea straordinaria della società;
7) di procedere, in subordine a quanto stabilito al punto 4), alla dismissione dell’intera partecipazione detenuta dal Comune di Tropea, da attuarsi mediante procedura ad evidenza pubblica definendone il relativo valore sulla base di quanto attribuibile al socio in caso di recesso ai sensi dell’art. 2437-ter c.c., ossia in modo da tenere in considerazione la consistenza patrimoniale della società, le sue prospettive reddituali, nonché l’eventuale valore di mercato delle azioni, fermi restando i diritti di prelazione ai sensi di statuto”.
3.2. Con la nota sindacale 2 ottobre 2010 prot. n. 30772 è stato comunicato alla società Porto di Tropea che, in conseguenza della delibera c.c. n. 42 del 29 settembre 2010:
1) le attività di gestione, manutenzione e valorizzazione del Porto di Tropea cesseranno di essere effettuate da codesta Società a far data dal 1° gennaio 2011;
2) viene formalmente richiesta la convocazione dell’assemblea straordinaria della società per procedere alla liquidazione della medesima o, in subordine, alla dismissione delle quote detenute da questo Comune;
3) per quanto sopra non si procederà al rinnovo della concessione demaniale richiesto con nota senza data trasmessa in data 28 settembre 2010 ed acquisita agli atti in data 29 settembre 2010 prot. n. 30490.
3.3. Con determinazione 27 dicembre 2010, n. 419, il responsabile dell’area 5 del Comune di Tropea ha stabilito:
“- di non rinnovare le concessioni demaniali in oggetto alla scadenza del 31 dicembre 2010; ….
– di dichiarare nullo e privo di effetto l’affidamento alla società Porto di Tropea s.p.a. della gestione della infrastruttura portuale e dei servizi annessi al porto per l’assenza di una valida convenzione;
– di risolvere, subordinatamente, l’affidamento della gestione predetta alla Società Porto di Tropea s.p.a., per il venir meno del presupposto della concessione demaniale a partire, giuridicamente dal 1° gennaio 2011;
– di dare atto che, giusta deliberazione del consiglio comunale n. 42/2010, la gestione dell’infrastruttura portuale e dei servizi annessi sarà “internalizzata” a partire, giuridicamente, dal 1° gennaio 2011;
– che i rapporti conseguenti alla scadenza della concessione, non prorogata, sono esclusivamente quelli previsti dal cod. nav. e dal relativo regolamento attuativo ….;
– che, in assenza della rituale e formale convenzione, la nullità dell’affidamento della gestione non è causa di alcun risarcimento ….;
– di accogliere la richiesta avanzata il 20 dicembre 2010 dalla Società Porto di Tropea s.p.a., di prevedere, come ragionevole tempo di riconsegna, un termine dilatorio di novanta giorni ”.
3.4. Con nota del medesimo responsabile dell’area 5 del Comune di Tropea 27 dicembre 2010, n. 36633, è stata trasmessa la citata determina n. 419/2010.
3.5. Con la delibera della giunta comunale di Tropea 31 dicembre 2010, n. 152, si è stabilito:
“- di prendere atto della determinazione n. 419/2010 ……;
– di prendere atto, altresì, condividendole le ragioni della postergazione dell’efficacia degli effetti determinata dal diniego di proroga, maturato incontestabilmente giuridicamente alla data del 31 dicembre 2010, in quanto la stessa costituisce strumento necessario, urgente ed eccezionale per l’attuazione della determinazione n. 419 del 27 dicembre 2010.
3.6. Con determina esplicativa 31 dicembre 2010, n. 423, il responsabile dell’Area Gestione del Territorio del Comune di Tropea ha trasmesso “l’allegata deliberazione G.M. n. 152 del 31.12.2010 dichiarando che la stessa come contenuto ob relationem della presente determinazione esplicativa del fatto che dal 1°.1.2011 al 31.3.2011 la Società Porto di Tropea s.p.a., è abilitata ad esercitare in via transitoria, provvisoria, eccezionale e per motivi di urgenza legati alle imprescindibili esigenze di interesse pubblico l’attività di gestione del porto di Tropea, oggetto della concessione demaniale scaduta il 31.12.2010 come presupposta determina n. 419/2010.”;
3.7. Con la concessione 28 marzo 2011, n. 2, pubblicata all’albo pretorio comunale in data 29 marzo 2011, il responsabile dell’area gestione del territorio del Comune di Tropea ha autoconcesso per anni uno, a decorrere dal 1° aprile 2011, al Comune di Tropea “l’uso dei beni demaniali, per mantenere le opere portuali e lo specchio acqueo costituenti il Porto di Tropea”.
3.8. Con delibera di giunta comunale 24 marzo 2011, n. 65, è stato provvisoriamente individuato quale responsabile della gestione del porto il dirigente dell’area urbanistica-lavori pubblici del Comune di Tropea.
3.9. Sono stati impugnati anche i seguenti atti, con successivi motivi aggiunti depositati in primo grado:
– la nota del responsabile dell’area gestione del territorio 24 marzo 2011 n. 13796;
– il verbale 25 marzo 2011, prot. n. 5090, di asserita riconsegna delle aree demaniali portuali, mai sottoscritto dal legale rappresentante della società Porto di Tropea;
– la nota-diffida 30 marzo 2011, n. 5414, a firma del Sindaco e del responsabile dell’area 5 del Comune di Tropea, con cui è stata ribadita la volontà dell’ente di assumere la gestione del porto a decorrere dall’1 aprile 2011;
– la nota sindacale 30 marzo 2011, n. 5459, con cui sono stati trasmessi alla società ricorrente gli atti sopra indicati;
– il verbale di riconsegna 31 marzo 2011, prot. n. 5539, sottoscritto, seppur con riserva, dal Presidente della Società Porto di Tropea;
– la nota sindacale 31 marzo 2011, n. 5527.
4. Contro i primi due atti e in particolare la delibera di g.c. 29 settembre 2010 e la nota sindacale 2 ottobre 2010, la società Porto di Tropea ha lamentato, con il ricorso di primo grado:
1) violazione dell’art. 7, l. n. 241/1990, difetto di istruttoria, eccesso di potere per difetto dei presupposti e per travisamento dei fatti. Il Comune di Tropea non avrebbe comunicato l’avvio del procedimento volto alla revoca della delibera consiliare dell’affidamento del servizio alla società Porto di Tropea impedendole di fornire le proprie controdeduzioni e, soprattutto, di evidenziare con anticipo che:
– – la decisione di “internalizzare” l’asserito servizio di gestione, manutenzione e valorizzazione del Porto di Tropea, violerebbe l’art. 3, comma 27, primo periodo, della legge n. 244/2007;
– – il Comune di Tropea avrebbe dovuto dismettere le azioni della società Porto di Tropea, in quanto la gestione di un porto turistico sarebbe un’attività di impresa e non un servizio strettamente necessario al perseguimento delle attività istituzionali dell’ente, che i comuni non potrebbero in alcun modo espletare;
– – pertanto l’atto che ha legittimato l’attività della società Porto di Tropea non sarebbe mai stato l’affidamento del servizio da parte del Comune di Tropea, non essendo rinvenibile nella fattispecie un servizio pubblico locale, ma una vera e propria attività di impresa esercitata in forza dell’atto di concessione demaniale, formalmente ottenuta dalla Società Porto di Tropea dopo la sua costituzione;
– – in tale contesto giuridico, la decisione di internalizzare il servizio, oltre a non essere compatibile con le funzioni tipiche dell’ente comunale, che nella fattispecie si sarebbe arbitrariamente trasformato in imprenditore, avrebbe determinato un’illegittima ed illecita autoassegnazione della concessione demaniale adottata, in contrasto con tutti i principi di massima concorrenzialità di derivazione comunitaria;
– – infine, la società Porto di Tropea s.p.a., una volta costituita, avrebbe acquisito un’autonoma personalità giuridica di diritto privato, del tutto indipendente dalla interferenze comunali, con la conseguenza che il Comune di Tropea, in quanto socio minoritario, non avrebbe potuto chiederne la liquidazione, essendo, anzi, obbligato a dismettere le partecipazioni azionarie che possiede in tale società;
2) inutilità ed impossibilità della revoca della delibera c.c. n. 29/2001, inefficacia ed inammissibilità della revoca dell’affidamento del servizio, eccesso di potere per difetto dei presupposti, eccesso di potere per travisamento dei fatti.
La società Porto di Tropea s.p.a., dopo la sua costituzione, ha assunto una personalità giuridica di diritto privato assolutamente autonoma, di talché, il Comune di Tropea, in quanto socio di minoranza, non poteva disporre d’autorità la liquidazione della società stessa mediante la revoca della citata delibera consiliare n. 29/2001, essendo, di contro, fin dal 1° gennaio 2008, obbligato a cedere le partecipazioni azionarie relative a tale società.
Sarebbe illegittima la revoca dell’affidamento a favore della società Porto di Tropea s.p.a. dell’asserito servizio pubblico locale di gestione del porto turistico di Tropea, in quanto – trattandosi di attività di impresa – la società Porto di Tropea s.p.a. ha potuto finora svolgere la sua tipica attività imprenditoriale di prestazione di servizi per la nautica da diporto soltanto in forza delle concessioni demaniali del 2003 e del 2007 e non certo in virtù di un atto di affidamento di un servizio pubblico locale, trovando, pertanto, la sua fonte legittimante esclusivamente nei provvedimenti di concessione demaniale; sarebbero pretestuose le motivazioni poste a fondamento dell’atto di revoca;
3) violazione dell’art. 3, comma 27, l. n. 244/2007, difetto di istruttoria. eccesso di potere per difetto dei presupposti, eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Il Comune di Tropea, non avendo espletato un’adeguata attività istruttoria, non si sarebbe reso conto che, a norma dell’art. 3, comma 27, della l. n. 244/2007, non solo non avrebbe potuto internalizzare il servizio di gestione del porto, ma, addirittura, avrebbe dovuto necessariamente dismettere le partecipazioni possedute nella società Porto di Tropea s.p.a.
4) violazione del principio di concorrenzialità, difetto assoluto di attribuzione, violazione dell’art. 41 della Costituzione.
La decisione di internalizzare il servizio di gestione del porto sarebbe abnorme sia perché l’attività de qua sarebbe tipicamente imprenditoriale sia perché il Comune non potrebbe autoassegnarsi – in spregio a tutti i principi in materia di concorrenza di derivazione comunitaria – la concessione del bene demaniale allo scopo di far gestire dai propri uffici e dipendenti il porto turistico di Tropea.
5. Nei confronti della decisione di negare la proroga o il rinnovo della concessione demaniale, sono state mosse le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, difetto di istruttoria, violazione del principio del contraddittorio.
A fronte del sollecito riguardante la definizione dell’atto formale di concessione cinquantennale il Comune di Tropea, ha immediatamente rigettato tale sollecito di definizione del procedimento violando l’art. 10-bis l. 241/1990;
2) violazione degli artt. 3, 4 e 7 l. r. n. 17/2005; violazione dell’art 11 del P.I.R. (Piano di Indirizzo Regionale), incompetenza assoluta.
Il Comune avrebbe violato anche la disciplina regionale, in quanto, secondo l’art. 11 di tale piano di indirizzo regionale, le concessioni demaniali marittime di durata superiore a quindici anni sono rilasciate dal dirigente generale del competente assessorato della Regione Calabria, per cui il diniego impugnato, poiché concernente una concessione cinquantennale, avrebbe dovuto essere adottato dal citato organo regionale e non dal Comune di Tropea;
3) violazione degli art. 42 e 107, d.lgs. n. 267/2000, violazione del principio di separazione tra poteri di indirizzo e poteri di gestione, incompetenza relativa.
Nel caso si dovessero ritenere subdelegate ai comuni anche le funzioni concernenti la concessione de qua, il relativo diniego non avrebbe potuto essere adottato dal consiglio comunale, le cui competenze sono tassativamente indicate dall’art. 42 d.lgs. n. 267/2000, ma dal dirigente dell’apposito settore dell’amministrazione comunale, venendo in rilievo nella fattispecie un’attività di gestione tecnico-amministrativa, che non può essere esercitata dagli organi politici;
4) violazione dell’art. 8, comma 3, lett. f, l. r. n. 17/2005; violazione dell’art. 9 l. n. 88/2001, difetto di istruttoria.
Il Comune di Tropea, prima di rigettare l’istanza di concessione demaniale della società Porto di Tropea s.p.a., avrebbe dovuto verificare se la prosecuzione della concessione demaniale in capo a detta società rispondeva alle esigenze di tutela degli interessi marittimi;
5) violazione del principio dell’affidamento, violazione del principio di continuità amministrativa, violazione del principio di leale collaborazione, difetto assoluto di motivazione, difetto di istruttoria.
Alla luce delle indicazioni dell’autorità statale delegante, dinnanzi alla quale si era svolta l’istruttoria procedimentale, il Comune di Tropea non avrebbe potuto negare il rinnovo della concessione demaniale cinquantennale ovvero la formalizzazione del relativo atto, ma avrebbe dovuto adeguarsi alle acquisizioni procedimentali già raggiunte;
6) violazione dell’art. 1, comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in l. 26 febbraio 2010, n. 25, permanenza della concessione demaniale fino al 31 dicembre 2015. In base a detta disciplina la concessione demaniale in essere a favore della società Porto di Tropea s.p.a. dovrebbe comunque intendersi prorogata fino al 31 dicembre 2015, in quanto secondo la sopra menzionata legge regionale le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative non sono diverse dalle concessioni demaniali per i porti turistici.
6. Nel giudizio di primo grado il Comune di Tropea ha controdedotto che:
– il ricorso sarebbe inammissibile, per aver la società ricorrente impugnato un atto di indirizzo politico (la delibera 42 del 29 settembre 2010) insuscettibile di determinare lesioni concrete;
– a fronte della mancata comunicazione di avvio del procedimento, si applicherebbe l’art. 21-octies, l. n. 241/1990, in quanto il provvedimento adottato e impugnato, in virtù dell’articolo 3, comma 27 della legge 244/2007 (legge finanziaria 2008) avrebbe carattere vincolato;
– la gestione dell’infrastruttura portuale non costituisce attività imprenditoriale, ma rientrerebbe tra i servizi pubblici locali a rilevanza economica in quanto si tratterebbe di un servizio (gestione delle stazioni marittime, servizi di supporto ai passeggeri, gestione dei locali destinati all’espletamento di attività anche commerciali, connesse o accessorie al traffico passeggeri) rivolto ad una platea indifferenziata di utenti e diretto ad erogare utilità alla collettività.
7. Nel giudizio di primo grado si è costituita anche la Regione Calabria, affermando il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto in virtù della l.r. n. 17/2005 le competenze e le attività inerenti le funzioni amministrative sulle aree del demanio marittimo sono ora attribuite ai Comuni, compreso il rilascio, il rinnovo, la modifica e la revoca delle concessioni relative ai porti di interesse regionale.
8. Con ricorso per motivi aggiunti depositato in primo grado in data 4 febbraio 2011, è stata impugnata la determinazione n. 419 del 27 dicembre 2010 con cui il Comune di Tropea ha stabilito di non rinnovare la concessione demaniale, di risolvere l’affidamento della gestione del porto, di internalizzare la gestione del porto medesimo, di concedere una proroga di tre mesi per la restituzione dell’area.
E’ stato anche impugnato l’atto consequenziale con cui si dispone l’ambito dei compiti della società Porto di Tropea durante il periodo di proroga.
8.1. Sono stati riproposte tutte le censure di cui al ricorso introduttivo e inoltre le seguenti:
– difetto di istruttoria; eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti; violazione dell’art. 7 l. n. 241/2010; incompetenza; difetto assoluto di motivazione; difetto di istruttoria; travisamento dei fatti; violazione dell’art. 10-bis l. n. 241/1990; contraddittorietà; mancata valutazione degli interessi.
9. Con un secondo atto di motivi aggiunti in primo grado la società Porto di Tropea s.p.a. ha impugnato la concessione 28 marzo 2011, n. 2, con cui il responsabile dell’area gestione del territorio del Comune di Tropea ha concesso per anni uno, a decorrere dal 1° aprile 2011, alla medesima amministrazione “l’uso dei beni demaniali, per mantenere le opere portuali e lo specchio acqueo costituenti il Porto di Tropea” sulla scorta della necessità per il Comune di “realizzare in house il servizio pubblico di interesse economico”.
Si lamenta l’illegittimità della autoconcessione per difetto delle condizioni giuridiche richieste; in particolare non vi sarebbe la differenziazione tra il soggetto concedente e quello concessionario, non sarebbe indicato l’ammontare del canone di concessione e si registrerebbe una violazione dei principi di concorrenza per non aver il Comune indetto apposita gara.
10. Nel corso del giudizio di primo grado ha espletato intervento ad opponendum il Comune di Parghelia, il quale afferma il proprio interesse ad assumere nel giudizio la posizione processuale di contraddittore necessario pretermesso, per essere stato il Porto di Tropea costruito in parte anche sul territorio del Comune di Parghelia.
Il Comune interveniente ha chiesto l’accertamento da parte del Tar che la costruzione del Porto di Tropea ha arrecato un danno ambientale al proprio territorio, consistente in fenomeni di devastante erosione costiera e di grave inquinamento delle spiagge e del mare.
11. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe in punto di rito:
– ha estromesso dal giudizio della Regione Calabria per carenza di legittimazione passiva, essendo stati gli atti impugnati tutti assunti dall’ente comunale al quale è stato delegato l’esercizio delle funzioni amministrative sulle aree demaniali marittime in base alla l.r. n. 17/2005;
– ha dichiarato inammissibile l’intervento ad opponendum proposto dal Comune di Parghelia, con il quale si chiede di accertare che il Porto di Tropea è costruito in parte sul territorio del medesimo, di riconoscere la competenza del Comune di Parghelia a rilasciare la concessione demaniale relativa allo specchio acqueo sul quale si gestisce l’attività di nautica di diporto e di liquidare il danno ambientale arrecato dal Porto di Tropea sia per erosione costiera che per inquinamento marino, trattandosi di questioni che hanno rilievo autonomo per essere solo in via di mero fatto connesse alla vicenda in esame, e che avrebbero, comunque, dovuto essere poste in occasione della contestazione della concessione che il Comune di Tropea si è autorilasciata;
– ha disatteso varie eccezioni di rito sollevate dal Comune di Tropea.
11.1. Nel merito, il Tar ha accolto il ricorso in parte, ritenendo, da un lato, legittima la revoca della concessione e il diniego di rinnovo della concessione demaniale marittima, e dall’altro lato illegittima la internalizzazione del servizio e l’autoaffidamento della concessione al Comune di Tropea.
11.2. In dettaglio il Tar:
a) ha premesso, nel merito, che la gestione di un porto turistico sarebbe attività imprenditoriale priva dei connotati del servizio pubblico locale, nemmeno a rilevanza economica, non trattandosi di un servizio rivolto ad una platea indifferenziata di utenti e diretto ad erogare utilità alla collettività; al fine di individuare le attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico assumerebbe rilievo decisivo, non già la possibilità di considerarle di pertinenza dell’amministrazione pubblica, bensì il fatto che le stesse abbiano una finalità sociale, il cui perseguimento può essere assicurato solo da una particolare disciplina settoriale: solo il conseguimento di questa finalità consentirebbe di sottoporre alcune attività ad un regime giuridico peculiare, quello appunto del servizio pubblico, destinato a soddisfare le esigenze di una pluralità di soggetti accomunati dal fatto di essere residenti nel Comune che tale servizio istituisce, ovvero le esigenze di una cerchia indifferenziata di utenti. Per questo, si giustificano gli obblighi di servizio, imposti al gestore, quali quello di garantire la continuità, la qualità e la regolarità dell’espletamento dell’attività, obblighi, questi, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica;
b) pertanto, nel 2001 il Comune di Tropea avrebbe errato nel qualificare come servizio pubblico locale (di cui, nel 2010, assume la rilevanza economica) le attività di cui trattasi;
c) ai sensi dell’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990 la revoca del provvedimento amministrativo è ammissibile non solo per sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi); la revoca disposta dal Comune di Tropea sarebbe allora legittima perché fondata su una rivalutazione dell’originaria scelta organizzativa (affidamento della gestione del porto a società mista) ritenuta non più “idonea a soddisfare pienamente le contemporanee esigenze di efficace ed economica gestione e di efficiente controllo, tanto da indurre l’amministrazione a valutare il mutamento dell’assetto organizzativo ed istituzionale per la gestione del servizio”; secondo il Tar si sarebbe in presenza di una scelta organizzativa e gestionale, ampiamente discrezionale, che appartiene alla sfera del merito amministrativo, non sindacabile in assenza di profili di sviamento apprezzabili in sede di legittimità; peraltro, la scelta di “abbandonare” il precedente modello organizzativo – gestionale sarebbe nella specie fondata anche su ragioni specifiche che corroborano la decisione di revocare l’affidamento (necessità di un efficace controllo “a salvaguardia dell’interesse pubblico e degli standard di esecuzione del servizio”);
d) la revoca dell’affidamento sarebbe legittima anche perché l’esercizio del servizio era condizionato dalla vigenza della concessione demaniale marittima in scadenza al 31 dicembre 2010, ciò renderebbe la revoca dovuta e avrebbe reso inutile l’avviso di avvio del procedimento;
e) quanto al diniego della concessione marittima della durata di 50 anni e, in subordine, al diniego di proroga ex lege fino al 2015 della concessione in scadenza al 31 dicembre 2010, il Tar, premesso che la disciplina della concessione per i porti turistici si rinviene nel d.P.R. n. 509/1997, nell’art. 01, d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, conv. in l. 4 dicembre 1993, n. 494 (come autenticamente interpretato dall’art. 13 l. 8 luglio 2003, n. 172), nell’art. 1, comma 18, d.l. n. 184/2009, e, quanto alla Regione Calabria, nella l.r. n. 17/2005 (art. 2), ha osservato che non sarebbe violato l’art. 10-bis, l. n. 241/1990 (perché non vi sarebbe un formale diniego della concessione cinquantennale che non sarebbe stata chiesta), non si applicherebbe il regime di proroga legale fino al 2015 perché l’attività finalizzata alla nautica da diporto non rientrerebbe tra le attività soggette a concessioni turistiche ricreative; tra l’altro, la stessa Regione Calabria fa espressamente sua, all’articolo 11 del PIR approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 147/2007, l’interpretazione autentica operata dal legislatore nazionale in tema di concessioni per finalità turistiche ricreative; la competenza al rilascio delle concessioni del demanio marittimo spetta, anche per quelle della durata di 50 anni, al Comune in base all’art. 4 l.r. n. 17/2005;
f) dal difetto di carattere di servizio pubblico locale, discenderebbe l’illegittimità della delibera comunale nella parte in cui decide di “internalizzare” il servizio di gestione del porto turistico; la società Porto di Tropea s.p.a., pur nella riconosciuta legittimità della revoca dell’affidamento e del diniego di proroga della concessione, avrebbe interesse a tale censura perché dal suo accoglimento discenderebbe la messa a gara della concessione e del servizio, con possibilità, per la società, di partecipare alla gara; in parte qua il Comune avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 3, comma 27, l. n. 244/2007 che se impone agli enti locali il divieto di costituire società pubbliche o miste non strettamente necessarie non certo impone di sottrarre al mercato attività economiche che non hanno i connotati di servizi pubblici locali; sicché l’obbligo di dismettere la partecipazione derivante dal citato art. 3, non potrebbe fondare o fare da presupposto alla decisione di internalizzare le attività; semmai, la ratio della norma sarebbe proprio quella opposta di tener fuori il soggetto pubblico dalle attività di produzione di beni e servizi non necessarie ai fini istituzionali;
g) le problematiche sullo scioglimento della società Porto di Tropea esulano dal processo amministrativo e sono di pertinenza del giudice ordinario.
h) la concessione del demanio marittimo deve avvenire con procedura di evidenza pubblica, e il Comune contravverrebbe a tale principio con l’autoconcessione a se stesso dell’area; singolare sarebbe la giustificazione data dal Comune, fondata sulla mancanza di richieste da parte di altri soggetti di concessione, che tuttavia non avrebbero potuto esservi non essendo mai stata data pubblicità ad alcun intendimento dell’amministrazione di assoggettare a procedura di evidenza pubblica il rilascio della concessione;
i) l’amministrazione ha in concreto inteso “realizzare in house il servizio pubblico di interesse economico” affidando la gestione del porto di Tropea, con delibera n. 65/2011, non già ad un soggetto esterno alla propria organizzazione amministrativo-burocratica e tecnicamente attrezzato, ma a mezzo di diretta attribuzione al dirigente dell’Area urbanistica – lavori pubblici della responsabilità della gestione del porto, costituendo una equipe dirigenziale di supporto al medesimo composta dal segretario generale, dal responsabile della polizia municipale, dal responsabile della ragioneria e da quello dell’area amministrativa, tutti soggetti già deputati a svolgere le funzioni amministrative proprie dell’ente locale. Siffatto modello organizzatorio per il Tar non sarebbe conforme ai modelli di gestione di un servizio pubblico, correttamente inteso, e si sarebbe nei fatti rivelato inidoneo al perseguimento degli obiettivi proposti, essendo stata costretta l’amministrazione, con determina n. 128 del 7 ottobre 2011, ad affidare sia pure per soli due mesi parte delle attività connesse alla gestione del porto a società esterna, a comprova della inefficacia del modello organizzativo perseguito.
12. La sentenza, non notificata, è stata gravata con appello principale parziale della società Porto di Tropea s.p.a., spedito per la notificazione a mezzo posta il 20 gennaio 2012 e depositato il 27 gennaio 2012.
12.1. Il Comune di Tropea ha ricevuto l’appello principale in data 27 gennaio 2012 ed ha proposto appello incidentale ai sensi dell’art. 333 c.p.c., spedito per la notificazione in data 26 marzo 2012 e depositato il 3 aprile 2012.
12.2. La causa è stata chiamata all’udienza cautelare del 20 aprile 2012. In detta udienza l’appellante ha rinunciato alla domanda cautelare e il Collegio ha fissato per la trattazione del merito l’udienza del 27 novembre 2012.
13. Con il primo, articolato, motivo dell’appello principale parziale (da pag. 16 a pag. 26 dell’atto di appello), si deduce “erroneità della sentenza impugnata, inutilità e impossibilità della revoca della delibera c.c. n. 29/2001; inefficacia ed inammissibilità della revoca dell’inesistente servizio pubblico, eccesso di potere per difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, violazione del principio dell’affidamento, violazione del principio di continuità amministrativa, violazione del principio di leale collaborazione, difetto assoluto di motivazione, difetto di istruttoria”.
Si lamenta, in dettaglio, che:
– il Tar non avrebbe tratto le giuste conseguenze dalla giusta premessa che la gestione del porto turistico non è un servizio pubblico locale;
– nel 2001 fu fatta una gara pubblica per la scelta del socio privato di maggioranza della società incaricata della gestione del porto di Tropea; il porto sarebbe stato gestito da detta società grazie alle concessioni demaniali, e non in virtù di un inesistente atto di affidamento di servizio pubblico locale;
– il Tar avrebbe dovuto pertanto affermare la illegittimità dell’atto di revoca, per mancanza di oggetto, perché non vi sarebbe mai stato affidamento di servizio pubblico;
– sarebbero pretestuose le motivazioni poste a base dell’atto di revoca in quanto:
(i) non sarebbe valida motivazione il fatto che le modalità di liquidazione del socio privato fallito ed escluso dalla società, seppur conformi all’art. 17 dello statuto, non sarebbero conformi agli artt. 2437-ter e 2437-quater c.c., attesa la genericità del rilievo e la circostanza che l’interesse a sollevare tale questione spetterebbe solo al curatore fallimentare del socio fallito;
(ii) non risulterebbe conforme al vero che non vi sarebbe stata una corretta ed efficiente gestione della cosa pubblica, in quanto con il 20% delle azioni il Comune avrebbe conseguito utili pari, dal 2004 al 2009, a euro 125.297, mentre per il 2010 avrebbe dovuto percepire euro 87.000; la società Porto di Tropea avrebbe operato in modo efficiente ed efficace, trasformando il Porto di Tropea in uno dei migliori porti turistici d’Italia partendo da una situazione iniziale di assoluto degrado e abbandono (premiato porto dell’anno 2005; v. inoltre nota 25 luglio 2006 prot. 0020243 dell’Uver MEF, unità di verifica degli investimenti pubblici del Ministero dell’economia e delle finanze);
(iii) irrilevante sarebbe la mancata sottoscrizione della convenzione di servizio tra il Comune di Tropea e i soci privati, perché lo schema di convezione sarebbe allegato all’atto notarile contenente l’atto costitutivo e lo statuto della società e perché i contenuti della convenzione di servizio sarebbero riportati nell’atto costitutivo e nello statuto;
(iiii) quanto alla asserita impossibilità per il Comune di Tropea di esercitare un concreto e fattivo controllo sul servizio e sulla gestione della società, si ribatte che in base all’atto costitutivo e allo statuto il Comune di Tropea, con il solo 20% delle azioni, ha il potere di nominare due membri del consiglio di amministrazione della società, il presidente del collegio sindacale e un componente supplente del collegio sindacale;
(iiiii) non corrisponderebbe al vero che la società avrebbe una disponibilità finanziaria di soli 37.000 euro, trattandosi di importo riferito alla sola disponibilità di contante esistente nella cassaforte della sede sociale, dovendosi invece considerare anche le giacenze di conto corrente e i depositi di titoli, che alla data di approvazione del bilancio 2009 ammonterebbero a euro 887.000 e che alla data del 17 novembre 2010, dopo la distribuzione di utili per un importo pari a 476.269,23, ammonterebbero a euro 870.376,89.
Inoltre avrebbe errato il Tar a ritenere non rilasciata la concessione demaniale per la durata di 50 anni.
La vicenda procedimentale denoterebbe infatti che l’iter istruttorio per la concessione della durata di 50 anni si era concluso favorevolmente, mancando solo la formalizzazione, sicché la concessione sarebbe stata rilasciata in fatto.
13.1. Con il secondo motivo di appello (da pag. 26 a pag. 29) si lamenta, in via subordinata rispetto alle censure precedenti, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene inapplicabile la proroga legale della concessione fino al 2015.
L’art. 1 comma 18 d.l. n. 194/2009 sarebbe applicabile anche alle concessioni per i porti turistici, che non sarebbero una entità diversa dalle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative; dall’art. 2, comma 1, l.r. n. 17/2005 si desumerebbe che tra le attività turistico ricreative rientrano non solo gli stabilimenti balneari ma anche i porti turistici (la citata disposizione menziona ormeggio, alaggio, stazionamento e servizi complementari alla nautica da diporto, attività tipiche in cui si esplica la gestione di un porto turistico).
In secondo luogo l’art. 1, comma 251, l. n. 296/2006 prevede un criterio di calcolo identico per i canoni demaniali sia per le concessioni per stabilimenti balneari sia per le concessioni per i porti turistici. La proroga legale sarebbe stata prevista proprio per assicurare il recupero degli investimenti, a fronte di un aumento ex lege dei canoni, imposto a entrambi i tipi di concessioni.
14. Con l’atto di controricorso e appello incidentale il Comune di Tropea, oltre ad opporsi all’accoglimento dell’appello principale, contesta il capo di sentenza che annulla i provvedimenti nella sola parte in cui dispongono l’internalizzazione della gestione del porto turistico e l’autoconcessione della relativa area demaniale al Comune di Tropea (da pag. 21 a pag. 25).
Si contesta in particolare la sentenza nella parte in cui ha annullato parzialmente la delibera 29 settembre 2010, n. 42, la determinazione 27 dicembre 2010, n. 419 e la concessione di area demaniale 28 marzo 2011, n. 2.
La sentenza viene contestata anche nel capo in cui riconosce l’interesse strumentale della società Porto di Tropea a impugnare la delibera n. 42/2010 quanto alla decisione di internalizzazione del servizio.
Il Comune osserva che il servizio di gestione dei porti turistici, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza gravata, sarebbe un servizio pubblico di rilevanza economica, nel rispetto dell’ampia definizione contenuta nell’art. 112, d.lgs. n. 267/2000.
Erroneamente il Tar avrebbe tratto, dal divieto di costituzione di società sancito dall’art. 3, comma 27, l. n. 244/2007, la indebita conclusione che sarebbe vietata anche qualsiasi forma di gestione diretta, diversa dal modello societario.
Il disfavore normativo per la gestione in house non sarebbe nei termini drastici indicati dal Tar, dovendosi tener conto dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 applicabile ratione temporis, della sentenza della Corte cost. n. 325/2010, del più permissivo quadro comunitario, e dovendosi correttamente interpretare la decisione della plenaria n. 10/2011 citata dal Tar.
La gestione diretta dei servizi pubblici locali sarebbe sempre consentita agli enti locali, perché nessuna norma imporrebbe di affidarli all’esterno.
Quanto al riconoscimento dell’interesse della società Porto di Tropea a contestare la internalizzazione, la sentenza sarebbe viziata da violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
15. In via preliminare il Collegio ritiene di dover esaminare l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse dell’appello principale sollevata dal Comune di Tropea con la memoria depositata per l’udienza del 27 novembre (pp. 21-22).
Assume il Comune di Tropea che in base all’art. 4, comma 32, lett. b), d.l. n. 138/2011 conv. in l. n. 148/2011, e successive modificazioni (l. n. 183/2011), comunque la società mista Porto di Tropea dovrebbe essere sciolta entro il 31 dicembre 2012 (recte: 31 marzo 2013).
Non vi sarebbe nemmeno spazio, ad avviso del Comune di Tropea, per la conversione del presente giudizio di annullamento in giudizio risarcitorio.
15.1. L’eccezione è infondata.
Dirimente è la considerazione che l’intero art. 4, d.l. n. 138/2011 è stato eradicato dall’ordinamento in virtù della pronuncia di incostituzionalità resa dalla sentenza della Corte cost. 20 luglio 2012, n. 199.
16. Sia al fine dell’esame dell’appello principale, sia al fine dell’esame di quello incidentale, il Collegio ritiene di ordine prioritario la questione se il servizio di gestione dei porti turistici possa essere o meno qualificato un servizio pubblico locale, e, in caso affermativo, un servizio di rilevanza economica.
16.1. Il Collegio ritiene che la risposta debba essere affermativa e che pertanto sia errata la premessa di fondo su cui si basa la sentenza appellata, che qualifica la gestione dei porti come un servizio non pubblico, di tipo imprenditoriale.
Si impone una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, che, sebbene alluvionale e non organizzato in una disciplina unitaria né della portualità turistica né dei servizi pubblici locali, è sufficientemente chiaro.
16.2. Ai sensi dell’art. 4, l. 28 gennaio 1994, n. 84 i porti marittimi nazionali si dividono in due categorie, la I e la II, quelli di II categoria si dividono in III classi.
Tra i porti di II categoria, III classe, rientrano quelli con finalità turistica e da diporto (art. 4, comma 3, l. n. 84/1994).
16.3. Il d.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509, reca il “regolamento recante disciplina del procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto”.
Il regolamento utilizza, pertanto, la onnicomprensiva espressione “strutture dedicate alla nautica da diporto” nel cui ambito enuclea tre tipologie, dando una puntuale definizione del “porto turistico”:
Sono strutture dedicate alla nautica da diporto:
“a) il «porto turistico», ovvero il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari;
b) l’«approdo turistico», ovvero la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all’articolo 4, comma 3, della legge 28 gennaio 1994, n. 84 , destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari ;
c) i «punti d’ormeggio», ovvero le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto” (art. 2, d.P.R. n. 509/1997).
16.4. Dall’osservazione della prassi e del fenomeno economico e sociale dei porti turistici, si evince che questi ultimi presentano caratteristiche diverse rispetto a quelle dei porti commerciali: mentre in questi ultimi le navi ottengono ricovero per la sosta strettamente necessaria al compimento delle operazioni di carico e scarico, nei porti turistici le imbarcazioni stazionano fino a quando l’utente di esse vuole trattenervisi, eventualmente al fine di usufruire delle infrastrutture turistiche attigue.
16.5. Avuto riguardo alla peculiare finalità del porto turistico, si tratta ora di verificare se le relative opere possano o meno classificarsi opere pubbliche, se la realizzazione e gestione dei porti turistici debba essere affidata esclusivamente a privati, o se invece si tratti di compiti che possano essere assunti dagli enti pubblici e segnatamente dagli enti locali.
16.6. Le aree su cui insistono i porti turistici sono in parte aree del demanio marittimo, in parte porzioni di mare; le aree demaniali vengono affidate a coloro che aspirano a realizzare i porti turistici mediante concessione, preceduta da una gara; il procedimento è compiutamente regolato dal citato d.P.R. n. 509/1997.
16.7. Dal complessivo quadro normativo si evince che, nonostante la finalità turistico-ricreativa dei porti turistici, che soddisfa prevalentemente interessi privati, vi è un rilevante interesse pubblico alla loro realizzazione e gestione, sotto i seguenti profili:
– si tratta comunque di uno strumento di accesso alla via di comunicazione marina, e dunque di vere e proprie “infrastrutture” (non a caso si parla di infrastrutture per la nautica da diporto);
– detti porti sono suscettibili di usi pubblici di interesse generale (fruizione da parte dell’intera collettività, esigenze, anche se in casi eccezionali, del trasporto pubblico);
– sussiste, in ogni caso, un rilevante interesse pubblico allo sviluppo e alla valorizzazione turistica ed economica del territorio, indubbiamente agevolata dalla realizzazione e gestione dei porti turistici.
16.8. Conseguentemente, il legislatore non solo disciplina compiutamente le procedure di evidenza pubblica per l’affidamento delle concessioni del demanio marittimo, ma disciplina in chiave pubblicistica anche il profilo della realizzazione e gestione dei porti turistici.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, sono trasferite alle Regioni le funzioni amministrative (già statali) in materia di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale, per il rispettivo territorio.
Tra tali lavori pubblici di interesse regionale sono incluse, ai sensi del citato art. 2, comma 2, lett. g), “le opere concernenti i porti di seconda categoria dalla seconda classe in poi”.
Sin dal 1972, dunque, il legislatore ha mostrato di includere i porti turistici tra le opere pubbliche.
Questa scelta ha trovato integrale conferma nella successiva evoluzione legislativa.
Il citato d.P.R. n. 509/1997, che disciplina il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione dei porti turistici, prevede che il progetto definitivo del porto turistico sia soggetto al regime della l. 109/1994, ossia delle opere pubbliche (art. 6), e prevede la vigilanza e il collaudo pubblici sull’esecuzione del porto turistico (art. 7).
L’art. 153 d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti), nel testo sostituito dal comma 1 dell’art. 59-bis, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, integrato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, include le strutture dedicate alla nautica da diporto (dunque i porti turistici, gli approdi turistici e i punti di ormeggio) tra le opere realizzabili mediante project financing, vale a dire le opere pubbliche o di pubblica utilità.
Inoltre il citato art. 153, codice appalti, detta una specifica disciplina del project financing quando esso riguardi le strutture per la nautica da diporto, accentuando la connotazione pubblicistica di tali opere.
In particolare:
– i piani dei porti, in cui vengono inseriti i porti turistici, vengono equiparati alla programmazione triennale dei lavori pubblici, al fine del project financing (art. 153, comma 1);
– per le strutture dedicate alla nautica da diporto, l’esame e la valutazione delle proposte sono svolti anche con riferimento alla maggiore idoneità dell’iniziativa prescelta a soddisfare in via combinata gli interessi pubblici alla valorizzazione turistica ed economica dell’area interessata, alla tutela del paesaggio e dell’ambiente e alla sicurezza della navigazione (art. 153 comma 5);
– la pubblicazione del bando, nel caso di strutture destinate alla nautica da diporto, esaurisce gli oneri di pubblicità previsti per il rilascio della concessione demaniale marittima (art. 153 comma 6);
– nel caso di strutture destinate alla nautica da diporto, il progetto preliminare deve definire le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori ed il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire, deve contenere uno studio con la descrizione del progetto ed i dati necessari per individuare e valutare i principali effetti che il progetto può avere sull’ambiente e deve essere integrato con le specifiche richieste nei decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 5 giugno 2009, nn. 10/09, 11/09 e 12/09 e successive modificazioni (art. 153 comma 9);
– il rilascio della concessione demaniale marittima, ove necessaria, avviene sulla base del progetto definitivo, redatto in conformità al progetto preliminare approvato (art. 153, comma 11).
Il legislatore dunque impone per la realizzazione dei porti turistici il rispetto della disciplina pubblicistica in tema di progettazione delle opere pubbliche e relativi livelli (progetto preliminare, definitivo, esecutivo).
16.9. A conferma della natura pubblicistica delle opere portuali turistiche, si consideri che, per una norma comunitaria vincolante per lo Stato italiano, le concessioni del demanio marittimo devono essere affidate con procedura di evidenza pubblica ed avere durata temporale limitata, al fine di consentire un mercato concorrenziale e non sottrarre a tempo indeterminato i beni demaniali al mercato (Corte cost., 20 maggio 2010, n. 180; Id., 26 novembre 2010, n. 340; Id., 18 luglio 2011, n. 213: tali decisioni hanno dichiarato illegittime leggi regionali che prevedevano proroghe ex lege di concessioni del demanio marittimo già rilasciate, sia pure nel distinto settore delle concessioni balneari).
Allo scadere del termine della concessione, per regola generale, le opere realizzate dal concessionario diventano di proprietà del concedente, ossia dell’ente pubblico (v. art. 49 cod. nav.: “Devoluzione delle opere non amovibili.
Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato.
In quest’ultimo caso, l’amministrazione, ove il concessionario non esegua l’ordine di demolizione, può provvedervi d’ufficio a termini dell’articolo 54”.
16.10. Va osservato che, mentre i porti naturali rientrano senz’altro nel demanio pubblico, quelli artificiali o sono da qualificare del pari demanio pubblico ai sensi dell’ampia previsione dell’art. 822 c.c., o comunque sono demanio pubblico se appartenenti a enti territoriali ovvero realizzati su aree demaniali, in virtù del principio dell’accessione (art. 822 c.c.); la natura pubblica dei porti artificiali sembra doversi negare ai soli porti realizzati su aree private, nei pochi casi in cui ciò possa verificarsi (c.d. darsene a secco) [Cons. giust. sic., 5 maggio 2009, n. 346].
E, invero, i porti turistici realizzati e in corso di realizzazione sono censiti al SID (sistema informativo demanio, gestito dal MIT).
16.11. La circostanza che il porto turistico, a differenza degli altri porti, non è aperto indiscriminatamente al pubblico ma consente l’utilizzo di posti barca in via esclusiva, non è sufficiente a escludere la natura pubblica delle opere, atteso che – trattandosi di opere pubbliche sul demanio pubblico – ne deriva la demanialità anche del porto turistico; il che non è incompatibile con un uso del bene demaniale, in virtù del regime concessorio, riservato solo a determinate categorie di utenti.
Sono salvi i diversi casi in cui la concessione di costruzione e gestione del porto turistico preveda specificamente la proprietà superficiaria delle opere in capo al concessionario, proprietà necessariamente a termine, essendo destinata a cessare allo scadere della concessione; si impone all’uopo una interpretazione complessiva della concessione per acclarare se abbia inteso attribuire o meno al concessionario il diritto di superficie sulle opere portuali [Cass. civ., sez. I, 4 maggio 1998, n. 4402].
16.12. Soccorre, ancora, il chiaro dettato dell’art. 60, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616:
“Attribuzioni ai comuni.
Sono attribuite ai comuni, ai sensi dell’art. 118, primo comma, della Costituzione, le funzioni amministrative in materia di:
a) promozione di attività ricreative e sportive;
b) gestione di impianti e servizi complementari alle attività turistiche;
c) rifugi alpini, campeggi e altri esercizi ricettivi extra-alberghieri”.
La giurisprudenza ha puntualmente osservato che il citato art. 60, nell’attribuire ai Comuni le funzioni amministrative in materia di promozione di attività ricreative e sportive, espressamente estese anche alla «gestione di impianti e servizi complementari alle attività turistiche», consente a tali enti anche di espletare il servizio di realizzazione e gestione dei porti turistici, eventualmente anche in forma diretta [Tar Lombardia – Brescia, 8 marzo 1990, n. 285], ovviamente nei limiti in cui l’evoluzione normativa consente la gestione diretta (su cui v. oltre).
16.13. Infine, a riprova dell’interesse pubblico che circonda la portualità turistica, va osservato che l’autorità pubblica esercita sui porti marittimi le funzioni inerenti la sicurezza marittima e la polizia marittima (v. circolare MIT 23 settembre 2009 class. A.2.50, “Infrastrutture al servizio della nautica da diporto e disposizioni per l’ormeggio delle unità in transito”).
16.14. La giurisprudenza si è più volte occupata di opere portuali alla stregua di opere pubbliche, o oggetto di assunzione diretta da parte di enti pubblici [Cons. giust. sic., 19 dicembre 2008, n. 1147; Cons. St., sez. VI, 22 gennaio 2008, n. 126; Id., sez. VI, 18 giugno 2004, n. 4163; Id., sez. II, 15 maggio 2002, n. 767; Id., sez. VI, 28 settembre 2001, n. 5169; Id., sez. II, 2 febbraio 1994, n. 260/93].
16.15. In conclusione, i porti turistici, in quanto realizzati in virtù di concessione su area demaniale, per il principio dell’accessione costituiscono beni demaniali (l’art. 822 c.c. menziona i porti), e dunque beni pubblici, soggetti al regime delle opere pubbliche, e solamente gestiti da soggetti privati per il periodo di durata della concessione, ritornando, allo scadere della concessione, nella disponibilità dell’ente pubblico, e fatti salvi i casi in cui l’atto concessorio preveda a favore del concessionario la proprietà superficiaria a termine delle opere portuali, che è proprietà privata per la sola durata della concessione, consolidandosi, allo scadere della concessione, quale proprietà pubblica demaniale.
17. La natura pubblica delle opere portuali che vengono realizzate sul demanio pubblico induce anche a ritenere che il servizio di gestione del porto turistico sia un servizio pubblico, di indubbia rilevanza economica.
17.1. Mancava (all’epoca dei fatti di causa), e manca tutt’oggi, una puntuale elencazione dei servizi pubblici, di rilevanza economica e non, nell’ambito delle norme primarie.
E, invero:
a) l’art. 23-bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133, in vigore all’epoca di adozione dei provvedimenti impugnati (essendo stato abrogato ex nunc dall’art. 1, d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, a seguito dell’esito del referendum popolare abrogativo indetto con d.P.R. 23 marzo 2011), pur disciplinando la materia della gestione diretta o l’affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, non ne fornisce né una definizione né una elencazione;
b) nemmeno il regolamento attuativo del citato art. 23-bis, vale a dire il d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (in vigore all’epoca e dei fatti e da ritenersi abrogato per effetto dell’abrogazione della disposizione primaria cui dà attuazione), aveva colmato tale lacuna definitoria;
c) nemmeno l’art. 113 t.u. enti locali d.lgs. n. 267/2000 (abrogato dall’art. 23-bis, comma 11, d.l. n. 112/2008, per le parti incompatibili con il citato art. 23-bis), contiene una definizione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
d) a sua volta l’art. 4, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148, e successive modificazioni, che ha reintrodotto la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (in prosieguo dichiarato integralmente incostituzionale da Corte cost. 20 luglio 2012, n. 199, per violazione dell’art. 75 Cost. sotto il profilo del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare), non contiene alcuna definizione o elenco dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) nemmeno l’art. 4, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 135, che detta limiti alle società in house dà una definizione dei servizi pubblici di rilevanza economica, pur menzionandoli.
17.2. Può tuttavia essere di ausilio all’interprete il d.m. 31 dicembre 1983, tuttora in vigore (emanato in attuazione dell’art. 6, comma 3, d.l. n. 55/1983, conv. in l. n. 131/1983, e implicitamente richiamato dall’art. 172, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 267/2000), che reca la “individuazione delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale”, al fine di individuare per quali servizi pubblici l’ente locale deve imporre il pagamento di una tariffa (secondo tale d.m. “per servizi pubblici a domanda individuale devono intendersi tutte quelle attività gestite direttamente dall’ente, che siano poste in essere non per obbligo istituzionale, che vengono utilizzate a richiesta dell’utente e che non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale”).
E’ bene chiarire che la Sezione ritiene che il “servizio pubblico locale a domanda individuale” non si identifica senz’altro con il “servizio pubblico di rilevanza economica”, essendo comprensivo sia di servizi di rilevanza economica, sia di servizi privi di rilevanza economica (p.es. asili).
Però il d.m. in questione reca una ricognizione di ciò che viene considerato servizio pubblico locale, di rilevanza economica e non.
L’articolo unico di tale d.m., al n. 14, elenca tra i servizi pubblici locali i “servizi turistici diversi: stabilimenti balneari, approdi turistici e simili”, così confermando che la gestione del porto turistico ben può essere considerato un servizio pubblico locale.
17.3. La natura di servizio pubblico non è esclusa dal fatto che il porto turistico non è utilizzato da una collettività indifferenziata, ma da una fascia ristretta di utenti, atteso che si tratta comunque di un servizio rivolto ad un numero indeterminato di soggetti, verso corrispettivo.
17.4. Va poi osservato che la rilevanza economica va intesa come possibilità che dalla gestione del servizio si ricavi un profitto e come contendibilità sul mercato del servizio.
Ciò implica che la rilevanza economica del servizio non può essere discettata solo in astratto, ma necessita anche di una verifica caso per caso, avuto riguardo anche al contesto sociale ed economico e alla dimensione del servizio: un medesimo servizio può avere rilevanza economica in un dato comune e non in un altro, avuto riguardo ai dati suindicati (v. ad es. il servizio di illuminazione votiva, che in funzione della maggiore o minore dimensione del Comune può o meno avere rilevanza economica: Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600; Cons. St., sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049; Cons. St., sez. V, 26 gennaio 2011, n. 552; Cons. St., sez. V, 24 marzo 2011, n. 1784).
La giurisprudenza di questo Consesso ha già osservato che il concetto di “rilevanza economica” ha carattere relativo e se ne impone una verifica in concreto caso per caso [Cons. St., sez. V, 27 agosto 2009, n. 5097: “ai fini della qualificazione di un servizio pubblico locale sotto il profilo della rilevanza economica, non importa la valutazione fornita dalla p.a., ma occorre verificare in concreto se l’attività da espletare presenti o meno il connotato della “redditività”, anche solo in via potenziale”; Cons. St., sez. V, 10 settembre 2010 n. 6529, che perviene alla conclusione dell’assenza di rilevanza economica in concreto di un servizio di mensa scolastica, in astratto avente rilevanza economica: “Ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza non si può dunque, alla stregua della riportata giurisprudenza costituzionale e della ivi richiamata giurisprudenza comunitaria – infatti, secondo il diritto comunitario, sono soggetti alla disciplina della concorrenza solo i servizi di interesse economico generale (v. art. 86, ex-art. 90, tratt. Ce.) –, far ricorso all’astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo, o meno, della loro erogazione tramite attività d’impresa svolta nel mercato, la quale garantisca la remunerazione efficace del capitale (i.e. la capacità di produrre utili), nel senso che nell’organizzazione imprenditoriale il corrispettivo desunto dal mercato dei prodotti (beni e servizi) deve remunerare, con un tendenziale margine di profitto, il costo desunto dal mercato dei fattori della produzione. In effetti, qualsiasi attività, anche quella istituzionalmente esercitata da enti pubblici e comunemente considerata priva di rilevanza economica – attività e servizi, per lo più connotati da significativo rilievo socio-assistenziale, gestiti in funzione di mera copertura delle spese sostenute, anziché del perseguimento di profitto d’impresa, le cui spese per lo più fanno carico alla finanza pubblica e la cui disciplina è normalmente diversa da quella dei servizi a rilevanza economica –, può essere svolta in forma d’impresa, purché vi sia un soggetto (in questi casi, un’istituzione pubblica) disposto a ricorrere agli operatori di mercato, ossia alle imprese, per procurarsi le relative prestazioni. Si tratta di distinzione incerta e di differenze di regime non ontologicamente necessarie, come dimostrato dall’esistenza, per un verso, di servizi corrispondenti alla prima definizione, erogati da pubbliche amministrazioni in forma non remunerativa (si pensi all’istruzione o alla sanità), e, per altro verso, di servizi analoghi a quelli del secondo gruppo, erogati da imprese (si pensi agli istituti di patronato o ai centri di assistenza fiscale). La scelta delle modalità di erogazione e del regime giuridico, al quale le varie attività sono sottoposte, dipende, in definitiva, più da valutazioni politiche che dai caratteri intrinseci dei servizi.
A fronte della rilevata inidoneità di criteri distintivi di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica a discernere la natura delle due categorie di servizi pubblici in esame, occorre far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio”].
17.5. La rilevanza in concreto della redditività, anche solo potenziale, si desume anche dall’art. 4, comma 1, d.l. n. 138/2011 (l’intero art. 4 è stato dichiarato incostituzionale, tuttavia il comma 1 esprime un principio sotteso al restante quadro normativo), a tenore del quale “Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, dopo aver individuato i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito “servizi pubblici locali”, liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi, l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità”.
17.6. Ciò si desume, inoltre, anche dall’art. 34, comma 13, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (non ancora convertito in legge alla data del passaggio in decisione della presente controversia) a tenore del quale “Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”.
17.7. E’ allora evidente che, individuato un servizio pubblico che possa in astratto avere una rilevanza economica, si impone una verifica in concreto della contendibilità di tale servizio sul mercato avuto riguardo alla specifica realtà locale.
17.8. Venendo al caso specifico, si è già ricostruito il quadro normativo ed evidenziato come esso faccia propendere per la natura di servizio pubblico della gestione dei porti turistici.
Si tratta altresì di servizio pubblico di rilevanza economica, avuto riguardo al normale atteggiarsi del fenomeno “portualità turistica” in Italia.
Tale valutazione, per il Comune di Tropea, non è solo astratta, ma anche concreta, attesa la evidente contendibilità sul mercato locale della gestione del porto turistico di Tropea, come emerge dalle risultanze processuali.
18. Chiarita la natura giuridica del servizio di gestione dei porti turistici, si deve esaminare l’appello principale, nella parte in cui contesta l’atto di revoca dell’affidamento del servizio di gestione del porto turistico e la mancata formalizzazione della concessione demaniale per la durata di 50 anni, anche riproponendo le censure di cui al ricorso di primo grado, non compiutamente esaminate dal Tar, in ordine alla asserita pretestuosità delle ragioni poste a fondamento dell’atto di revoca.
18.1. Si impone però una delimitazione della materia del contendere.
Il Tar ha respinto la censura, articolata in prime cure, di illegittimità della revoca per mancanza dell’avviso di avvio del procedimento e delle garanzie partecipative.
Tale censura non è stata riproposta con l’atto di appello, in quanto la parte in fatto dell’atto di appello ricopia la sentenza di primo grado, ma non ripropone i motivi di primo grado, e la parte in diritto dell’atto di appello non muove alcuna critica al capo di sentenza che ha respinto la censura di violazione dell’art. 7, l. n. 241/1990.
18.2. Le altre censure riproposte in appello sono parzialmente fondate.
Erra, anzitutto, l’appellante, laddove afferma che il Comune non poteva disporre la revoca di un inesistente affidamento di servizio pubblico.
A suo tempo, nel 2001, il Comune di Tropea qualificò la gestione del porto, correttamente, come servizio pubblico, e indisse una gara per la scelta del socio privato maggioritario, al fine di dare vita ad una società mista per la gestione del porto turistico.
Pertanto, al di là dell’approssimazione degli atti amministrativi adottati, sicuramente l’operazione va interpretata secondo la sequenza: gara per la scelta di socio privato di maggioranza; costituzione di società mista; affidamento alla società mista del servizio pubblico di gestione del porto turistico.
19. Ciò premesso, si impone una ricostruzione delle regole normative che governano la revoca di atti amministrativi.
19.1. La revoca è ammissibile se ricorrono i presupposti sostanziali e vengono rispettate le garanzie procedimentali di cui all’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990.
19.2. Sul piano sostanziale la revoca è un provvedimento frutto di valutazioni altamente discrezionali che afferiscono al c.d. merito amministrativo [Cons. St., sez. V, 6 maggio 2011, n. 2713] e può essere disposta sia per c.d. sopravvenienze che comportano una diversa valutazione dell’interesse pubblico, sia per una rivalutazione dell’originaria scelta, anche in difetto di sopravvenienze (c.d. ius poenitendi).
19.3. La revoca si incentra solo sull’interesse pubblico originario o sopravvenuto e può prendere in considerazione anche una soddisfazione dell’interesse privato del destinatario, mediante la liquidazione di un indennizzo.
19.4. La revoca, pur essendo un provvedimento discrezionale, deve però fondarsi su una adeguata istruttoria che comprovi l’effettiva sussistenza delle ragioni di interesse pubblico ad essa sottese, in quanto la mancanza del presupposto, ossia il difetto delle ragioni di interesse pubblico, la rende ingiustificata e dunque illegittima.
19.5. Va poi considerato che la revoca comporta la corresponsione di un indennizzo al privato, e pertanto, essendo onerosa per l’amministrazione, deve rispettare il principio di proporzionalità in ossequio al quale essa deve costituire una extrema ratio, nel senso che l’interesse pubblico non possa essere soddisfatto altrimenti, e che nella valutazione comparativa costi –benefici, i benefici derivanti dalla revoca siano maggiori dai relativi costi (in termini di indennizzo), onde evitare che l’amministrazione revocante incorra in responsabilità per danno erariale.
A fronte, pertanto, di un provvedimento che l’amministrazione ritenga non conforme all’interesse pubblico (o ab origine o per sopravvenienze), l’amministrazione, in ossequio al principio di proporzionalità, e considerata la onerosità della revoca (a causa dell’indennizzo che va corrisposto al privato), deve valutare se non vi siano soluzioni alternative, quali, ad es., la modifica dell’originario provvedimento (esemplificando, nel caso di costituzione di una società mista, ritenuta non conveniente o non più conveniente, prima della revoca si può valutare la possibilità della modifica dell’atto costitutivo e dello statuto in senso più favorevole all’amministrazione).
19.6. Sul versante procedimentale, la revoca, essendo un atto di autotutela, deve seguire un procedimento in contraddittorio con l’interessato, che deve essere previamente avvisato.
20. Alla luce di tali principi, risultano fondate le censure, sollevate con il ricorso di primo grado e riproposte in appello, del travisamento dei fatti, del difetto dei presupposti, e del difetto di istruttoria.
20.1. Il provvedimento di revoca risulta adottato d’ufficio dal consiglio comunale, su proposta del Sindaco, e l’unico atto istruttorio è una consulenza di un commercialista privato, mentre difetta qualsivoglia avviso di avvio del procedimento e conseguentemente qualsivoglia partecipazione della società interessata, nonché qualsivoglia ulteriore attività istruttoria sugli interessi in conflitto da valutare.
20.2. Nel provvedimento di revoca adottato dal c.c. di Tropea si fanno affermazioni sulla non rispondenza della società mista all’interesse pubblico, fondate sui modesti utili conseguiti e sull’insufficiente controllo svolto dal Comune sulla società.
Si fanno poi affermazioni che attengono piuttosto alla decadenza per inadempimento che alla revoca, incentrandosi su asseriti inadempimenti della società (procedura di liquidazione della quota del socio fallito, mancanza della convezione di servizio).
20.3. Nel corso del giudizio la società Porto di Tropea ha controdedotto a tutti tali argomenti osservando che:
– la società ha prodotto utili puntualmente distribuiti ai soci, tra cui il Comune di Tropea;
– il Comune in virtù dell’atto costitutivo e dello statuto dispone di congrui poteri di controllo societario;
– non vi sono vizi della procedura di liquidazione della quota del socio fallito;
– la convenzione di servizio è inglobata nell’atto costitutivo e nello statuto.
20.4. Ritiene al riguardo la Sezione che il problema di fondo non sta nel valutare, in giudizio, se fossero fondati gli argomenti del Comune di Tropea o quelli della società, anche perché si tratterebbe, almeno in parte, di compiere valutazioni di merito amministrativo precluse al giudice amministrativo.
La questione di fondo è che un provvedimento di tale importanza per la vita societaria, quale la revoca dell’affidamento di un servizio che avrebbe dovuto essere espletato per 50 anni (con i conseguenti investimenti effettuati), non poteva non essere preceduto dal contraddittorio con la società interessata e da una adeguata istruttoria che poteva scaturire solo dall’apporto della società destinataria, tanto più che la revoca ha avuto per oggetto un servizio che si espletava sul mercato (mediante una società mista con partecipazione privata dell’80%) e che la società era in attivo.
E l’apporto istruttorio del privato non sarebbe stata una inutile formalità, in quanto la revoca è un provvedimento discrezionale e l’esito del procedimento ben avrebbe potuto essere diverso, con una completa istruttoria.
20.5. D’altro canto neppure è chiara la esatta natura giuridica dell’atto di “revoca” adottato dal Comune di Tropea, atteso che, da un lato, non prevede, a differenza della revoca, un indennizzo e che, dall’altro lato, sembra enunciare inadempimenti del concessionario. Sia che intendesse porre in essere una revoca, sia che intendesse porre in essere una decadenza, il Comune era tenuto a svolgere l’istruttoria con la partecipazione della società interessata.
20.6. Né può sostenersi che l’esito del procedimento di revoca era necessitato alla luce dell’art. 3, comma 27, l. n. 244/2007.
Infatti l’art. 3, comma 27, l. n. 244/2007 non impone senz’altro il divieto di costituzione e il mantenimento di partecipazioni nelle società degli enti locali, ma impone una verifica della loro utilità o meno per i fini istituzionali dell’ente. La disposizione afferma che gli enti non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società, e prevede la dismissione delle partecipazioni entro 36 mesi.
Ma la disposizione in commento, se impone agli enti locali di dismettere le partecipazioni societarie, certo non impone di mettere in liquidazione le società o di impedire ad esse di continuare ad operare sul mercato se affidatarie di un servizio pubblico ottenuto con gara.
Sicché, nel caso specifico, la revoca da parte del Comune non era una scelta obbligata ai sensi del citato art. 3, comma 27, ben potendo il Comune valutare di dismettere la propria partecipazione alienandola con gara, senza per questo revocare l’affidamento del servizio.
Invero la scelta a suo tempo disposta, con la gara del socio privato, ha implicato che la gestione del servizio era già stata affidata mediante ricorso al mercato.
20.7. Né risulta che nell’atto di revoca il Comune abbia compiuto una valutazione, pure possibile, all’epoca di adozione del provvedimento, ai sensi dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008, al fine di verificare se la società mista potesse proseguire nella gestione o se la gestione terminasse alla scadenza indicata dall’art. 23-bis, comma 2, lett. b).
20.8. Si impone, pertanto, l’annullamento del provvedimento di revoca n. 42/2010; in via consequenziale restano caducati tutti gli altri atti impugnati, che hanno a loro necessario presupposto il provvedimento n. 42/2010, con assorbimento logico di ogni altra questione.
Il Comune dovrà pertanto rideterminarsi sulla domanda di concessione cinquantennale, previa valutazione se ricorrono i presupposti per proseguire l’affidamento del servizio alla società Porto di Tropea, se del caso mediante modifica dell’atto costitutivo e dello statuto e delle condizioni di affidamento, o se invece ricorrono i presupposti per l’autotutela e per la dismissione della partecipazione societaria (previa adeguata istruttoria in contraddittorio con la società Porto di Tropea).
21. Quanto alle ulteriori censure contenute nell’appello principale valgano le seguenti considerazioni.
21.1. Sebbene il procedimento per la concessione cinquantennale si fosse, davanti all’Autorità statale, concluso favorevolmente, non è mai stato adottato il provvedimento formale di concessione, di competenza del Comune di Tropea e non dell’Autorità statale a seguito del passaggio di funzioni dallo Stato alla Regione Calabria in materia di concessioni demaniali marittime e della l.r. Calabria n. 17/2005.
Non si può ritenere esistente, contrariamente a quanto sostiene la società ricorrente, una concessione tacita o una concessione di fatto.
Il procedimento concessorio si deve concludere con una concessione espressa.
21.2. La questione, proposta in via subordinata, della proroga ex lege ai sensi dell’art. 1 comma 18 d.l. n. 194/2009 resta logicamente subordinata alla mancanza di un atto di revoca dell’originario affidamento del servizio e alla mancanza di rilascio di una concessione cinquantennale; infatti, ove il Comune decida di revocare (legittimamente) l’originario affidamento del servizio, viene meno anche, ex tunc, la concessione in corso e resta irrilevante la possibilità di proroga ex lege fino al 2015.
21.3. In ogni caso l’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 si applica alle sole concessioni di demanio marittimo con finalità turistico-ricreative, ossia le concessioni “balneari” (tra cui vanno ricomprese, secondo la giurisprudenza, le concessioni per i punti di ormeggio), e non anche alle concessioni per porti turistici e per approdi turistici.
Dispone infatti l’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009: “(…)nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all’articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”.
La previsione contempla dunque una proroga legale nelle more della revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni demaniali marittime a fini turistico- ricreativi; ciò nell’ambito di un contesto in cui pende procedura di infrazione comunitaria nei confronti dell’Italia in quanto tali concessioni non rispettano i principi di evidenza pubblica dell’affidamento.
Tale problematica è stata in prosieguo avviata a soluzione dall’art. 11, l. 15 dicembre 2011 n. 217 (legge comunitaria per il 2010), ma riguarda le c.d. concessioni balneari, non le concessioni per i porti turistici, che sono regolate con la procedura di evidenza pubblica sin dal 1997 in virtù del d.P.R. n. 509/1997.
Pertanto il citato art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009, che prevede una proroga legale delle concessioni giustificata dalla necessità di rivedere il quadro normativo, al fine di prevedere una procedura di evidenza pubblica, non può che riferirsi a quelle concessioni per le quali nel 2009 non era normata una procedura di evidenza pubblica, vale a dire le concessioni balneari e non anche quelle portuali [v. Tar Campania – Napoli sez. VII, 9 luglio 2012, n. 3293, condivisa sotto tale profilo in sede cautelare da Cons. St., sez. VI, 29 agosto 2012, n. 3397, ord.; Tar Puglia – Lecce, sez. I, 24 marzo 2011 n. 546; circolare MIT 6 maggio 2010, n. 6105].
La soluzione trova conferma anche in virtù di una lettura comparata del citato art. 1, comma 18, con il sopravvenuto art. 13-bis, d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, inserito dalla legge di conversione 24 febbraio 2012, n. 12, che prevede una proroga fino al 31 dicembre 2012 delle concessioni del demanio marittimo, lacuale e fluviale, includendovi espressamente anche le concessioni ad uso diverso da quello turistico-ricreativo (v. circolare MIT 21 marzo 2012 prot. 3694).
22. Quanto al ricorso di primo grado e all’appello incidentale, in ordine alla possibilità di gestione diretta del porto turistico da parte del Comune di Tropea, il Collegio osserva che il provvedimento che dispone la gestione diretta risulta caducato per invalidità derivata dalla illegittimità della revoca.
Ne conseguono:
– la improcedibilità per difetto di interesse dei motivi di ricorso autonomi rivolti contro il provvedimento di internalizzazione;
– la caducazione senza rinvio del capo di sentenza che si è pronunciato sulla questione della internalizzazione;
– la improcedibilità per difetto di interesse dell’appello incidentale del Comune di Tropea.
22.1. Solo per completezza il Collegio osserva, sinteticamente, che la sentenza di primo grado, laddove ha affermato il divieto di internalizzazione del servizio, è nel risultato finale corretta, ma a tale conclusione deve pervenirsi sulla scorta di un diverso percorso motivazionale.
22.2. Si deve, sinteticamente, osservare che:
– all’epoca di adozione dell’impugnato provvedimento di “internalizzazione” era applicabile, ratione temporis, l’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 in combinato con i principi desumibili dall’art. 113, t.u. n. 267/2000, nei limiti di compatibilità con il sopravvenuto art. 23-bis d.l. n. 112/2008 (che aveva abrogato le sole disposizioni del citato art. 113 con esso incompatibili);
– già l’art. 113 d.lgs. n. 267/2000, applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008, nel disciplinare “la gestione e l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” prevede tre modelli alternativi: (i) l’affidamento a imprese sul mercato; (ii) la società mista; (iii) la società in house. In sostanza, la gestione diretta non era consentita mediante la ordinaria organizzazione dell’ente locale, ma solo mediante società in house;
– a sua volta l’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 (venuto meno per abrogazione referendaria), aveva confermato queste tre forme di “gestione e affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, ritenendo tuttavia l’affidamento in house modalità eccezionale e non fungibile con le altre due modalità;
– in definitiva all’epoca in cui il Comune di Tropea ha deciso di internalizzare il servizio gestendolo con la propria ordinaria organizzazione, tale facoltà era preclusa dal quadro normativo, da cui si desumeva con chiarezza che la possibilità di gestione diretta del servizio da parte degli enti locali mediante la propria ordinaria organizzazione, prevista in termini generali dall’art. 112, comma 1, d.lgs. n. 267/2000, costituisse un principio di organizzazione e funzionamento degli enti locali solo con riferimento ai servizi pubblici che non hanno rilevanza economica.
Tanto si desumeva già dall’art. 113-bis, d.lgs. n. 267/2000 (che per tali servizi prevedeva anche la gestione in economia, sia pure soggetta a restrizioni, e l’affidamento diretto a istituzioni o aziende speciali o società in house), e non è stato posto in discussione dalla sentenza della Corte cost. 27 luglio 2004, n. 272, che ha dichiarato il citato art. 113-bis incostituzionale perché illegittimamente compressivo dell’autonomia regionale e locale in materia in cui non si pongono esigenze di tutela della concorrenza e del mercato (che invece, ad avviso della Corte cost., giustificano l’intervento del legislatore statale sull’art. 113 d.lgs. n. 267/2000).
Dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati il quadro normativo non coincide più con quello applicabile ratione temporis, a seguito dell’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 (che, secondo la Corte cost. 26 gennaio 2011 n. 24 non comporta la reviviscenza dell’art. 113, t.u. n. 267/2000), e della sopravvenienza dell’art. 4, d.l. n. 138/2011 (poi dichiarato incostituzionale); dell’art. 4, d.l. n. 95/2012, comma 8; dell’art 34, commi 13, 14, 15, d.l. n. 179/2012; dell’art. 3-bis, d.l. 13 agosto 2011 n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011 n. 148.
L’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti impugnati comporta che, ove il Comune di Tropea dovesse riesercitare il potere di autotutela in relazione alla costituzione della società mista Porto di Tropea, e all’affidamento ad essa della gestione del porto, e dovesse addivenire al ritiro di tali atti, dovrà successivamente scegliere la nuova formula di gestione del servizio alla luce del quadro normativo sopravvenuto e vigente – quanto alla gestione e affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – al momento della riedizione del potere.
23. In conclusione, va accolto per quanto di ragione l’appello principale mentre va dichiarato improcedibile quello incidentale e per l’effetto, in accoglimento parziale del ricorso di primo grado, vanno annullati con diversa motivazione i provvedimenti impugnati con il ricorso di primo grado.
23.1. La novità e complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello principale n. 569 del 2012 e su quello incidentale, come in epigrafe proposti:
– accoglie l’appello principale e dichiara improcedibile quello incidentale;
– per l’effetto, in accoglimento in parte qua del ricorso di primo grado n. 1429 del 2010, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado, sia pure per ragioni non coincidenti con quelle già poste a base della sentenza del Tar;
– compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)