concessione edilizia – Consiglio di Stato Sentenza 6192/2012
sul ricorso numero di registro generale 10060 del 2005, proposto da:
Comune di Bitetto, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Di Cagno, con domicilio eletto presso Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Gennariello Giuseppina, rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Casareale, con domicilio eletto presso Cons. Di Stato Segreteria in Roma, p.za Capo di Ferro 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della PUGLIA – Sede di BARI – SEZIONE III n. 03040/2005, resa tra le parti, concernente di concessione edilizia.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza 6192/2012 del 04.12.2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gennariello Giuseppina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2012 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’Avvocato Maurizio Di Cagno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado corredato da motivi aggiunti era stato chiesto dalla odierna appellata Gennariello Giuseppina l’annullamento della ordinanza n.53 prot.7861 del 4.10.1993 emessa dal comune di Bitetto odierno appellante recante annullamento della concessione edilizia n.40/87 rilasciata in data 11.9.1990, nonché l’ingiunzione di demolizione delle opere edilizie nel frattempo realizzate e degli atti presupposti, connessi e consequenziali.
La originaria ricorrente, nel sostenere che il provvedimento gravato era meramente reiterativo di precedente provvedimento di annullamento in autotutela annullato dal medesimo Tribunale Amministrativo regionale della Puglia- Sede di Bari- con sentenza n.279/93 del 22 luglio 1993 ( per carenza di indicazione dell’interesse pubblico e della comparazione tra interesse pubblico e interesse privato contrapposto) aveva prospettato numerosi motivi di violazione di legge ed eccesso di potere.
Aveva evidenziato tra l’altro, il vizio di eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e difetto di istruttoria in quanto tra la costruzione assentita e l’alveo della Lama Sinata esisteva una distanza di circa 500 metri, sui quali insistevano sia la circonvallazione che la linea ferroviaria Bari Taranto (come attestato nel progetto di risanamento territoriale delle aree degradate approvato con delibera commissariale n. 187 del 30.9.1993, che tra gli interventi prevedeva anche la sistemazione dell’alveo della Lama Sinata nel tratto compreso tra il Convento del Beato Diacono e il ponte sulla strada provinciale Bitetto Modugno).
L’appellata aveva poi fatto presente di avere completato l’opera e presentato istanza di condono edilizio (e che pendeva altro ricorso avverso il diniego di condono).
L’amministrazione comunale odierna appellante aveva depositato in giudizio la sentenza del Tribunale di Bari sezione staccata di Modugno n.90 dell’11.12.2001, emessa nel giudizio a carico di Gennariello Giuseppina imputata del reato di cui agli artt.l e 1 sexies l. 431/85. in relazione all’abuso paesaggistico in questione
L’adito Tribunale amministrativo regionale della Puglia- Sede di Bari- ha in primo luogo posto in risalto che il provvedimento impugnato di annullamento della concessione edilizia rilasciata alla originaria ricorrente era basato su due ordini di motivi( l’uno di natura urbanistico edilizia, per contrasto con la destinazione E2 della zona e l’altro perché la costruzione era in contrasto con l’interesse pubblico alla salvaguardia di aree di rilevante interesse paesistico, vincolate ai sensi della 1. 1497/39 e tutelate dalla 1. reg. 30/90 e infine perché insisteva sull’area di rispetto della Lama Sinata).
Ha quindi evidenziato che, quanto ai rilievi di natura urbanistica — edilizia, posto che era stata presentata domanda di condono, era venuto meno l’interesse a valutare la legittimità dell’annullamento in autotutela( spostandosi l’interesse della parte sulla controversia in materia di condono edilizio). Ha dichiarato quindi, quanto a tale profilo, la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
Quanto invece agli aspetti paesaggistici, ha ravvisato la fondatezza della censura dedotta con motivi aggiunti di eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto, difetto di istruttoria, erroneità della motivazione.
Il primo giudice ha in proposito tratto spunto dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza del giudice penale prodotta dalla difesa del Comune di Bitetto, laddove era stato rilevato che “l’odierna imputata risponde dei reati di cui agli art. 1 sexies L. 431/85 (c.d. legge Galasso) e 20 lett.c) per aver realizzato, come committente e proprietaria, in Bitetto alla Via Beato Giacomo trav. Sinistra 4, il fabbricato a due piani con seminterrato di cui ai capi di imputazione, sito in zona vincolata, perché posto entro i duecento metri dalla Lama Sinata (acqua pubblica tutelata dalla L reg. 30/90) e comunque perché zona vincolata paesaggistica a norma del DAI /.& 1995, nonché per aver realizzato I’opera in questione in assenza del prescritto nulla osta paesistico regionale e con concessione edilizia inefficace perché priva del predetto nulla osta e perché annullata in autotutela”.
Il Tribunale amministrativo ha sul punto evidenziato che nella sentenza di assoluzione penale era stato posto in luce che quanto alla localizzazione del manufatto in zona vincolata “un primo elemento di forte dubbio” riposava “proprio nella esatta collocazione dell’immobile, rispetto alla zona vincolata, in particolare la fascia dei duecento metri adiacente la Lama Sinata ..non sembra con certezza comprendere il suolo su cui sorge il predetto immobile (…). Seguendo un ordine cronologico: secondo l’attestazione del 13.6.1998 del tecnico convenzionato comunale ing. A.Amendolara, la distanza tra il torrente Lama Sinata e l’intervento previsto per la costruzione della casa agricola è pari a circa 500m: secondo l’attestazione del Sindaco di Biletto dell’11.2.1994 la distanza tra il fabbricato della Gennariello e l’alveo della Lama Sinata è pari a circa 500 m; secondo la consulenza di parte a firma del geologo A. Iacobellis in data 11.1.1997 la distanza tra l’intervento edificatorio e il ciglio più elevato della Lama Sinata e del suo affluente è superiore a 200 m; secondo la dichiarazione scritta dell’ing. Sangirardi, responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, datata 11.12.2000, la casa della Gennariello dista circa 150 m da un braccio della linea di naturale deflusso della Lama; secondo la relazione del consulente tecnico d’ufficio ing R. Di Tommaso, datata 20.3.2001, la distanza tra l’immobile della Gennariello (inteso quale corpo di fabbrica,) e il limite superiore dell’alveo della Lama è pari a circa mt 1295.”.
Pertanto, ad avviso del giudice penale, seppure l’immobile ricadeva catastalmente in una zona vincolata paesisticamente e delimitata con apposite planimetrie, era incerto se ricadesse nella fascia dei duecento metri dalla lama oggetto di vincolo paesaggistico ( anzi, secondo la consulenza d’ufficio, era posto a distanza di m.1295 dal limite superiore dell’alveo della Lama).
Inoltre, la decisione del giudice penale di assoluzione della Gennariello, nel ricostruire l’iter amministrativo della concessione edilizia, evidenziava che sia la Soprintendenza che l’Assessorato all’urbanistica della Regione Puglia (questo ultimo in risposta alla nota del Comune del 13.6.1988) avevano confermato che sulla zona non sussistevano vincoli di natura paesaggistica previsti dalla 1. 1497/39 e dalla 1. 431/85, ritenendo di non dover esprimere alcun parere sulla istanza di concessione edilizia.
Da tali emergenze processuali, ad avviso Tribunale Amministrativo regionale della Puglia- Sede di Bari- discendeva la fondatezza della censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità dei presupposti, in quanto non erano state valutate emergenze processuali di segno incompatibile con l’azione amministrativa: il mezzo di primo grado è stato pertanto accolto quanto al petitum demolitorio.
L’amministrazione comunale rimasta soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati ripercorrendo la cronologia degli accadimenti e chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha poi puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate memorie.
Ha in particolare censurato l’acritico ed errato richiamo integrale del primo giudice alla sentenza assolutoria pronunciata dal giudice penale nei confronti dell’appellata.
Ciò perché l’assoluzione era motivata unicamente sulla carenza dell’elemento psicologico del reato, ed il giudice penale aveva espressamente chiarito che, sotto il profilo oggettivo, “i reati potevano essere sussistenti”.
Sotto altro profilo, la gravata sentenza del Tar, nel richiamare la circostanza che “sia la Soprintendenza che l’Assessorato all’urbanistica della Regione Puglia (questo ultimo in risposta alla nota del Comune del 13.6.1988) avevano confermato che sulla zona non sussistevano vincoli di natura paesaggistica previsti dalla 1. 1497/39 e dalla 1. 431/85, ritenendo di non dover esprimere alcun parere sulla istanza di concessione edilizia” non aveva colto che le dette note erano antecedenti alla legge regionale n. 30/90 (art.1) che aveva introdotto il vincolo paesaggistico de quo.
Alla odierna pubblica udienza del 30 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello è infondato e merita la reiezione.
2.Nel rilevare per incidens la tardività della memoria depositata dall’appellata, della quale quindi il Collegio non può tenere conto (art. 73 del codice del processo amministrativo) è opportuno immediatamente rimarcare che, ad avviso del Collegio, l’appellante amministrazione comunale non ha colto l’esatta portata della statuizione del Tribunale amministrativo regionale.
2.1. Invero, tenuto presente che le problematiche di natura urbanistico/edilizia sottese al provvedimento non sono state approfondite dal primo giudice in quanto risultava essere stata presentata richiesta di condono edilizio e che la sentenza ha unicamente vagliato la questione dei profili di incompatibilità paesaggistica del contestato manufatto poste a base del provvedimento di autotutela avversato in primo grado, ritiene il Collegio di potere affermare che, alla stregua della documentazione versata in atti, la decisione del Tribunale amministrativo non avrebbe potuto avere contenuto dispositivo diverso.
Ciò perché, dalla compiuta istruzione svolta nel parallelo processo penale avviato nei confronti della odierna appellata era emerso che quanto alla localizzazione del manufatto in zona vincolata “un primo elemento di forte dubbio riposava “proprio la esatta collocazione dell’immobile., rispetto alla zona vincolata, in particolare la fascia dei duecento metri adiacente la Lama Sinata ..non sembra con certezza comprendere il suolo su cui sorge il predetto immobile”.
Non ritiene il Collegio di dovere soffermarsi oltremisura sulla valenza probatoria di altissimo livello rappresentata dagli accertamenti svolti in sede penale.
La compiutezza degli stessi emerge, peraltro,dalla circostanza che in detta sede il giudicante ha vagliato gli elaborati di numerosi tecnici di parte e del proprio perito d’ufficio, per giungere alla conclusione che, seppure l’immobile ricadeva catastalmente in una zona vincolata paesisticamente e delimitata con apposite planimetrie, era incerto se ricadesse nella fascia dei duecento metri dalla lama oggetto di vincolo paesaggistico (ed anzi secondo la consulenza d’ufficio, era posto a distanza di m.1295 dal limite superiore dell’alveo della Lama).
Laddove si consideri che la motivazione del provvedimento di autotutela avversato innanzi al Tar riposava nella insistenza della stessa sull’ area di rispetto della Lama Sinata,discende la conseguenza che, per “superare” tali emergenze processuali l’amministrazione appellante avrebbe dovuto provare la ricorrenza del presupposto sotteso al provvedimento (e, correlativamente, l’inesattezza, sul punto,degli accertamenti tecnici valorizzati della sentenza di assoluzione penaleo, quantomeno, offrire un principio di prova di tale inesattezza).
Ciò non è avvenuto, né nel gravato provvedimento di autotutela (antecedente alla sentenza assolutoria penale citata) né nel corso del giudizio di primo grado e neppure in sede di giudizio d’appello.
La questione (tenuta presente dal giudice penale) relativa alla circostanza che gli atti della Soprintendenza non avevano valore decisivo in quanto il vincolo era successivo alla emissione delle dette note, non spiega alcuna portata nel presente giudizio: il punto nodale sul quale l’amministrazione avrebbe dovuto contraddire riposava nella compiuta prova che l’immobile fosse ubicato nella fascia di rispetto della Lama (il che costituiva presupposto fondante, sotto il versante paesaggistico, dell’avversato provvedimento di autotutela).
In carenza di tale dimostrazione correttamente la sentenza di primo grado ha rilevato l’endemico vizio di carenza di istruttoria che connotata il provvedimento gravato: l’appello deve essere pertanto disatteso, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione .
3. La natura della controversia e la particolarità delle questioni esaminate legittima la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 10060 del 2005 come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)