RICONOSCIMENTO RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO – Consiglio di Stato Sentenza 6153/2012
sul ricorso numero di registro generale 7061 del 2001, proposto da:
XX, rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Limongelli, con domicilio eletto presso Federico Massa in Roma, via degli Avignonesi, 5;
contro
Azienda U.S.L. Le/7 in Liquidazione, in persona del Commissario Liquidatore pro-tempore;
Regione Puglia, in persona del Presidente pro-tempore;
Azienda U.S.L. Le/1, in persona del Direttore Generale pro-tempore;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE II, n. 02639/2000, resa tra le parti, concernente RICONOSCIMENTO RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO
Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n.6153/2012 del 30.11.2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2012 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. Il ricorrente fa parte di un gruppo cui il Comitato di Gestione della U.S.L. Le/7 aveva conferito l’incarico in via convenzionale di psicologo per n. 18 ore settimanali con decorrenza 18 febbraio 1985, nell’ambito dell’istituzione del servizio di medicina preventiva e scolastica. L’incarico veniva successivamente confermato annualmente con apposite delibere e, con delibera n. 1062 del 3.7.1992, venivano confermati gli incarichi a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 1 del DPR 13.3.1992 n. 261, con riconoscimento del servizio svolto in regime convenzionale senza soluzione di continuità a decorrere dal 7.1.1985.
2. Con ricorso al TAR Puglia, Sezione di Lecce, il ricorrente chiedeva il riconoscimento del rapporto di pubblico impiego con decorrenza 18.2.1985 e fino al 3 luglio 1992, ricorrendone gli elementi rivelatori, ed, in subordine, il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo e previdenziale del pubblico dipendente, in applicazione dell’art. 2126 c.c..
3. Con la sentenza appellata il TAR rigettava il ricorso, attribuendo rilievo decisivo alla diversa veste formale del rapporto, non essendo sufficiente la presenza di alcuni tratti caratteristici del pubblico impiego a trasformare il rapporto contrattuale in oggetto. Anche la domanda subordinata di integrazione del trattamento economico e previdenziale veniva rigettata.
4. Propone appello l’interessato deducendo la carente motivazione della sentenza, che non avrebbe valutato in concreto il rapporto intercorso con la USL, con la quale non è mai stata sottoscritta una convenzione, mentre nessun valore decisivo potrebbe, a suo dire, attribuirsi alla natura originaria dell’incarico, considerati gli sviluppi successivi del suo concreto svolgimento, e tenuto conto del divieto di dissimulare un vero e proprio rapporto di impiego con la creazione di plurimi “rapporti professionali autonomi”.
Ribadisce, pertanto, l’esistenza di più elementi caratteristici del rapporto di pubblico impiego, rivelatori del suo inserimento nell’organico della USL, e domanda il riconoscimento dei diritti di natura retributiva e previdenziale propri del lavoratore subordinato.
5. All’udienza del 13 luglio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
2. La sentenza appellata ha correttamente affermato che la giurisprudenza amministrativa si è definitivamente orientata nel senso della inammissibilità dell’instaurazione del rapporto di pubblico impiego in via di mero “fatto”, essendo imperative le norme che prescrivono l’osservanza di specifiche regole formali per l’assunzione dei pubblici impiegati (C.d.S. A.P. n. 2, 5, 10 del 1992).
Anche questa Sezione si è pronunciata nel senso che “la presenza di alcuni tratti caratterizzanti propri del lavoro subordinato non è sufficiente a trasformare il rapporto convenzionale in rapporto di pubblico impiego, giacché, in ragione della complessità del predeterminato assetto organizzativo del sistema sanitario, nella parasubordinazione è implicita la presenza di alcuni degli elementi che connotano il rapporto di lavoro subordinato, come l’inserimento funzionale nell’organizzazione dell’ente, l’osservanza di vincoli di orario e la predeterminazione delle modalità di svolgimento delle prestazioni, trattandosi di elementi strettamente funzionali al detto assetto organizzativo; senza contare che, se il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa si protrae per anni, è normale che i tratti distintivi rispetto al lavoro subordinato si attenuino, senza che ciò, di per sé, non consenta di negare ai rapporti in parola la natura non subordinata” (Consiglio di Stato sez. III, 09 luglio 2012, n. 3976).
Sicché è da escludersi che nella fattispecie possa essersi instaurato un rapporto di pubblico impiego nel periodo 1985/1992, poiché le delibere adottate dal Comitato di Gestione della USL Le/7, a partire dalla delibera n. 115 del 1985, conferiscono chiaramente incarichi professionali ai sensi dell’art. 2222 c.c., a tempo determinato, ( come previsto dagli artt. 73 DPR 761/1979 e 3 l. 207/1985 ) e gli elementi, che secondo il ricorrente sarebbero caratterizzanti la sua prestazione lavorativa ( obbligo di osservanza di un orario di servizio, sottoposizione al rapporto gerarchico nei confronti del personale direttivo, corrispettivo su base oraria, etc.) non sono incompatibili con la natura prettamente “professionale autonoma” della prestazione, così come qualificata nelle delibere di incarico, essendo del tutto naturale l’inserimento ed il coordinamento della prestazione nell’organizzazione complessiva del servizio, affinché sia svolta in connessione con i fini istituzionali dell’ente.
3. Quanto alla domanda di attribuzione del medesimo trattamento economico e previdenziale in godimento agli psicologi pubblici dipendenti, va precisato che al ricorrente ed agli altri psicologi incaricati a tempo determinato era stato attribuito il trattamento economico previsto dall’ANUL approvato con D.P.R. 348/1983, rapportato al numero effettivo di ore di lavoro, come risulta dalla delibera del Comitato di gestione del 14 febbraio 1985, n. 115. L’ accordo nazionale unico di cui al citato DPR, previsto dall’articolo 47 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978, nonché dall’art. 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 20 dicembre 1979, disciplina il trattamento economico e gli istituti normativi ad esso espressamente demandati dalle predette disposizioni legislative di tutto il personale addetto ai presidi, servizi ed uffici delle unità sanitarie locali. Il trattamento economico degli psicologi con prestazioni di 18 ore settimanali viene indicato nella citata delibera n. 115 nella misura proporzionale allo stipendio annuo lordo, pari a lire 8.640.000, esattamente corrispondente a quello previsto per il nono livello retributivo ( cui appartengono gli psicologi di ruolo) dal menzionato DPR.
Pertanto, in difetto di puntuali deduzioni e contestazioni circa l’attribuzione di un trattamento economico diverso e deteriore rispetto a quello indicato nella citata delibera di incarico, il Collegio ritiene che sia generica e inammissibile ogni pretesa concernente l’applicazione di principi desumibili dall’art. 36 Cost. o dall’art. 2126 c.c..
4. Inoltre, la normativa specificamente riguardante gli psicologi confermati, ovvero coloro che come il ricorrente, ai sensi dell’art.1 del DPR 13.3.1992 n. 261, sono stati confermati nell’incarico a tempo indeterminato (poichè alla data di sottoscrizione dell’accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con gli psicologi ambulatoriali risultavano titolari di regolare incarico professionale a rapporto orario presso le Unità sanitarie locali per lo svolgimento di attività proprie della professione di psicologo), disciplina espressamente il relativo trattamento economico, disponendo, in via innovativa, che sia corrisposto “mensilmente un compenso forfettario rapportato a lire 18.350 per ora di incarico”(art. 15). La stessa norma precisa quali siano gli incrementi periodici del trattamento economico e l’anzianità valutabile; precisa, infine, che è vietata ( per l’avvenire) la stipula di accordi di carattere locale che prevedano erogazioni economiche aggiuntive o integrazioni normative al medesimo Accordo nazionale, sancendo la nullità di accordi o clausole a livello locale, in violazione di tale divieto. Se ne deduce che, per il passato, non sia possibile l’attribuzione del “nuovo” trattamento economico specificamente introdotto col citato D.P.R. 261/1992 per gli psicologi “confermati” e ciò neppure invocando l’equiparazione delle mansioni svolte dallo psicologo a tempo determinato con le mansioni proprie dello stesso profilo professionale dello psicologo a tempo indeterminato, atteso il carattere chiaramente innovativo della richiamata disciplina, del cui carattere speciale non può dubitarsi, essendo chiaramente finalizzata a conferire stabilità a rapporti di collaborazione professionale precari, sorti per far fronte ad esigenze di carattere temporaneo che si sono trasformate nel tempo in esigenze stabili e continuative.
5. In conclusione, l’appello va rigettato.
6. Le spese del presente grado di giudizio si possono compensare tra le parti, attesa la natura della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 13 luglio e 16 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Botto, Presidente FF
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)