Il rilievo di “ricavi occulti” basta a rettificare il reddito – Cassazione Civile Sentenza 20110/2012
A fronte di un accertamento analitico-induttivo dei redditi d’impresa (articolo 39 del Dpr 600/1973) e basato sul rinvenimento di documenti extracontabili, grava sul contribuente l’onere della prova dei costi e oneri deducibili, concorrenti nella determinazione dell’imponibile, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, senza possibilità di procedere d’ufficio a tale acquisizione.
In questi termini si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 20110 del 16 novembre, dando così continuità a un orientamento da ritenersi oramai consolidato (Cassazione, sentenza 16346/2012, 8615/2012, 29609/2011 e 4554/2010).
I fatti di causa
A una ditta individuale vengono notificati due avvisi di accertamento in rettifica, redditi 1998 e 1999, sulla base del rinvenimento, presso l’abitazione del titolare, di documentazione extracontabile riferita agli effettivi incassi giornalieri, nonchè sull’individuazione di un conto corrente postale sul quale erano stati accreditati importi derivanti da vendite per corrispondenza di articoli per soli adulti.
Il ricorso proposto dal contribuente viene parzialmente accolto dalla competente Commissione tributaria provinciale, attesa l’ingiustificata omessa considerazione, al pari dei maggiori ricavi, dei maggiori costi induttivamente determinabili.
Dello stesso avviso sono i giudici di appello che rigettano il gravame presentato dall’Ufficio finanziario.
Nel successivo ricorso in Cassazione, l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 75 del Tuir e dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973.
Al riguardo, appare opportuno ricordare la differenza tra accertamento analitico e induttivo, previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell’articolo 39 del Dpr 600/1973.
La differenza sostanziale tra le due tipologie impositive riguarda la rilevanza delle presunzioni, ferma restando l’infedeltà e/o l’assenza delle scritture contabili.
Infatti, nell’accertamento induttivo – in forza del quale l’ufficio può rettificare le dichiarazioni prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili e dalle risultanze del bilancio e avvalendosi di notizie e dati comunque in suo possesso – è previsto l’utilizzo di una tipologia di presunzioni più blande (cosiddette semplicissime) rispetto a quelle semplici di cui all’articolo 2729 del codice civile, che non richiedono il requisito della gravità, precisione e concordanza.
Tali presunzioni possono trarre origine “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti…” (articolo 39, comma 2, Dpr 600/1973).
In linea generale, quindi, all’Amministrazione finanziaria è concessa un’ampia facoltà di scelta del modus operandi, che può manifestarsi anche nell’accertamento analitico-induttivo, fondato sul rinvenimento di inesattezze contabili gravi ovvero sul riscontro di situazioni di rilevante infedeltà in fatture, atti e documentazione varia (Cassazione, sentenza n. 1555/2012).
La decisione della Cassazione
Per i giudici di piazza Cavour la doglianza è fondata.
Il giudice d’appello ha affermato che, essendosi nella specie trattato di accertamento induttivo, determinato dal reperimento, presso la residenza dell’imprenditore, di documentazione extracontabile, si sarebbe dovuto tener conto, ai fini della rettifica del reddito d’impresa, anche dei componenti negativi necessari allo svolgimento dell’attività, essi pure determinabili induttivamente.
Tuttavia, secondo la Corte, tale interpretazione “…non è sorretta né dal dato normativo (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 4, Tuir, nel testo che rileva pro tempore), né dall’interpretazione offerta dai più recenti approdi di questa corte”.
Per la Cassazione, infatti, la questione non è tanto connessa alla tipologia di accertamento effettuato, analitico-induttivo (basato sul rinvenimento di contabilità parallela), anziché un induttivo puro (fondato su presunzioni sprovviste dei connotati di gravità, precisione e concordanza), quanto, invece, alla “…struttura del processo che attinge l’accertamento tributario. La quale struttura la tesi della commissione territoriale sembra aver trascurato del tutto”.
Infatti, “…il processo che attinge l’accertamento tributario riguarda – nella specie – il contenuto della dichiarazione del reddito d’impresa. E i dati della dichiarazione sono intangibili in senso favorevole se non in virtù di una rettifica proveniente dallo stesso dichiarante”.In altre parole, secondo l’assunto della Cassazione, è compito del contribuente dimostrare la diretta dipendenza dai costi, di una componente del reddito dichiarato, con le modalità proprie della rettifica della dichiarazione; in caso contrario, sulla base delle previsioni del Tuir, il reddito viene correttamente tassato nella misura conseguente ai ricavi, essendo l’oggetto del processo tributario delimitato dal contenuto dell’atto impositivo impugnato.
Questa, conclude la Corte, è l’interpretazione giurisprudenziale sul “…principio di tipicità degli atti di accertamento, nel cui ambito, fatta eccezione per i provvedimenti adottati in via di autotutela o su richiesta di rimborso, non sono previsti provvedimenti finalizzati alla mera riduzione del debito d’imposta dal contribuente dichiarato (cfr. Cass. n. 12905/2008; n. 23859/2007; n. 4224/2006)”.
Marco Denaro – nuovofiscooggi.it