Realizzazione di un edificio commerciale per la media distribuzione – Consiglio di Stato Sentenza 6081/2012
sul ricorso numero di registro generale 4089 del 2012, proposto da:
Edilsette Mare s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Diego De Carolis, con domicilio eletto presso Cinzia Di Marco in Roma, via Savoia, 78;
contro
Comune di Vasto;
nei confronti di
Ditta M.& A., s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Di Baldassarre, con domicilio eletto presso Alessandra Mattioli in Roma, via Lago Tana, 59; Provincia di Chieti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 00694/2011, resa tra le parti, concernente realizzazione di un edificio commerciale per la media distribuzione.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n.6081/2012 del 29.11.2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ditta M.& A. S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 novembre 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Fabrizio Lofoco (su delega di Diego De Carolis) e Filippo Panizzolo (su delega di Vincenzo Di Baldassarre);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Edilsette Mare s.r.l. – che svolge attività commerciale di vendita nel territorio del Comune di Vasto – ha impugnato i provvedimenti (in data 24 settembre 2010, n. 1938, e 15 novembre 2010, n. 2202) con cui il S.U.A.P. dell’Associazione dei Comuni del Comprensorio Trigno-Sinello ha autorizzato la M.&A. s.r.l. a realizzare un edificio commerciale per la media distribuzione, insieme con gli atti strumentali, alcune delibere del Comune e le norme tecniche di attuazione del medesimo Comune.
Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescare, Sezione I, ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione attiva della Società ricorrente, che non avrebbe dato prova – come invece sarebbe stato suo onere – del titolo legittimante. Non sarebbe, infatti, sufficiente indicare genericamente l’essere proprietaria di un immobile nel comune interessato, quando non ne sia indicata l’ubicazione, e, soprattutto, quando non sia stata provato uno stabile collegamento con la parte di territorio specificamente interessata dall’attività contestata.
La Edilsette Mare s.r.l. ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’esecutività.
Premesso che il T.A.R., all’esito di un altro giudizio, avrebbe successivamente annullato le N.T.A., la Società afferma in primo luogo la propria legittimazione ad agire, sulla base della prossimità degli immobili che risulterebbe dalla documentazione in atti, di cui il Giudice di primo grado avrebbe semmai dovuto chiedere l’integrazione. La Società ripropone quindi come motivi di appello quindici dei sedici motivi del ricorso di primo grado.
1. Il provvedimento conclusivo del procedimento, che tiene luogo del permesso di costruire, non avrebbe potuto essere rilasciato prima dell’entrata in vigore delle nuove N.T.A., all’epoca non efficaci perché non ancora pubblicate sul Bollettino ufficiale della Regione. Prima dell’attuale formulazione, le N.T.A. non avrebbero consentito l’installazione di esercizi di media distribuzione commerciale nell’area.
2. (è omesso il motivo n. 2, non riproposto)
3. Il provvedimento impugnato non sarebbe un vero e proprio permesso di costruire, poiché presso il Comune di Vasto esisterebbe lo sportello unico dell’edilizia, competente a rilasciare il permesso ai sensi dell’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Vi sarebbe poi una inversione delle fasi del procedimento.
4. Come apparirebbe dalla tabella affissa al cantiere, direttore dei lavori e progettista per l’architettonico sarebbe un geometra, in violazione dell’art. 16 del regio decreto 11 febbraio 1929, n. 274.
5. Sarebbe violato l’art. 83 delle N.T.A., per effetto del quale nella zona B2 gli usi complementari – quale la media struttura commerciale – non potrebbero superare il 30 per cento della S.U.N. Nel caso di specie la S.U.N. sarebbe di 730,81 mq.; la superficie assentita di 1159 mq., sia pure poi ridotti a 1059 mq, sarebbe comunque eccedente i limiti di piano.
6. Non sarebbe stato rispettato il parere della Provincia di Chieti in data 9 novembre 2010, che, in relazione alla variante alle N.T.A., prescriveva la necessaria considerazione di tutti i rilievi contenuti nell’allegato. Di ciò vi sarebbe solo una generica indicazione nella delibera consiliare di approvazione del 16 novembre 2010. Vi sarebbe contraddittorietà e difetto di istruttoria; violazione dell’art. 95 delle N.T.A., che per le medie struttura di vendita prevede una S.U.N. inferiore a 1000 mq; sarebbe insufficiente l’area da destinare a parcheggio.
7. Sarebbe violato l’art. 1, comma 43, della legge della Regione Abruzzo 16 luglio 2008, n. 11, che esclude l’applicabilità dei parametri urbanistici nei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti (come nel caso di specie) limitatamente alle superfici fino a 600 mq di area di vendita. Si dovrebbe dunque applicare l’art. 95 delle N.T.A., che pone limiti alla S.U.N. (superati nella specie, come detto prima). La legge sarebbe poi violata anche perché nel provvedimento mancherebbe l’indicazione della specifica destinazione d’uso: non sarebbero sufficienti le generiche indicazioni del progetto esecutivo.
8. La nota comunale del 15 febbraio 2010, di comunicazione delle somme da versare, avrebbe natura provvedimentale e annullerebbe senza motivazione le risultanze istruttorie della precedente nota del 5 febbraio.
9. La nota del 15 febbraio sarebbe sottoscritta da un funzionario diverso da quello che ha sottoscritto la nota precedente; non proverrebbe comunque dal dirigente responsabile del settore.
10. Vi sarebbe intrinseca contraddittorietà fra tali note. L’annullamento in autotutela della relazione tecnica del 25 gennaio 2010 – per effetto della nota del 15 febbraio successivo – comporterebbe la reviviscenza della precedente relazione del 30 novembre 2009, che aveva ritenuto l’incompatibilità del progetto, e comporterebbe inoltre caducazione dell’atto conclusivo della conferenza di servizi del successivo 27 gennaio, che richiamava espressamente la relazione del 2010.
11. Negli atti impugnati non emergerebbe la specifica destinazione d’uso, necessaria per il rilascio del provvedimento abilitativo. Ne seguirebbe violazione di legge (art. 1, comma 21, della legge regionale n. 11 del 2008; art. 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114) ed eccesso di potere.
12. Vi sarebbe violazione dell’art. 1, commi 42 e 43 della legge regionale n. 11 del 2008, perché il provvedimento (si intenda: la delibera comunale 5 ottobre 2009, n. 81) recherebbe al n. 2 meccanismi premiali non consentiti per le medie superfici, anche alla luce dell’art. 95 delle N.T.A., che non consentirebbe meccanismi del genere.
13. Mancherebbe il necessario coordinamento tra destinazione commerciale, destinazione d’uso e parametri edilizi previsti negli strumenti urbanistici. In particolare gli artt. 102 e 86 delle N.T.A. non menzionerebbero la media struttura di vendita con destinazione commerciale, cosicché il Comune non avrebbe potuto autorizzare la nuova struttura.
14. Premesso il riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di urbanistica e di commercio, gli atti impugnati pretenderebbero di aggirare le N.T.A. e le procedure previste dalla legislazione regionale.
15. Sarebbe stato violato l’art. 1, comma 46, della legge regionale n. 11 del 2008, nella parte in cui prescrive ai Comuni, nella predisposizione degli indirizzi programmatici e nell’adeguamento degli strumenti urbanistici, di individuare le zone e le aree da destinare agli insediamenti commerciali delle medie e delle grandi superfici di vendita, sottoponendo le previsioni alle procedure in materia di valutazione ambientale strategica (VAS). Ciò non sarebbe avvenuto.
16. Le previsioni del P.R.G. di Vasto non sarebbero aderenti agli standard previsti dalla legge regionale. In particolare il Comune, disattendendo i suggerimenti ricevuti, non avrebbe adeguato le N.T.A. in relazione agli insediamenti commerciali.
La M.& A. s.r.l. si è costituita in giudizio per resistere all’appello, dichiarando preliminarmente di opporsi alla richiesta formulata dalla Società appellante perché sia valutata l’eventuale incidenza sugli atti impugnati dell’intervenuto annullamento delle N.T.A. del Comune di Vasto. L’annullamento non potrebbe comunque esplicare effetti su provvedimenti già rilasciati; si tratterebbe di domanda nuova, dunque inammissibile.
L’appellata insiste poi sull’eccezione di difetto di legittimazione attiva della controparte, che avrebbe essa stessa ammesso di aver prodotto una documentazione lacunosa. La “vicinitas” e l’appartenenza allo stesso bacino di utenza non fonderebbero comunque la legittimazione, per la quale occorrerebbe invece dimostrare lo sviamento di clientela e la potenziale diminuzione di profitto.
Osserva poi che l’appello, riproponendo i motivi del ricorso di primo grado, ad eccezione di uno, sarebbe viziato da una ricostruzione generica e confusa e mancherebbe della specificità prescritta dall’art. 40, comma 1, lettera c), c.p.a..
Ritiene tardiva l’impugnativa in relazione alla maggior parte degli atti gravati (la delibera comunale n. 81 del 2009 e la normativa comunale in materia di pianificazione urbanistica, atti di portata generale, non sarebbero stati impugnati a tempo debito; quanto agli altri atti, è verosimile che la Società appellante ne fosse a conoscenza anche prima della richiesta di accesso agli atti – 23 novembre 2010 – e questa conoscenza coincidesse con l’inizio dei lavori, avvenuto il 27 settembre 2010).
Una impugnativa di analogo tenore, proposta da soggetti formalmente diversi dall’appellante (la Sapi s.r.l. e la Modulo Quattro s.r.l.), ma sottoposti al medesimo controllo societario, nei confronti della ditta Immobiliare “C” di Cerella Natalia Gabriella, dante causa della Società appellata, sarebbe stato definitivamente respinto dal Consiglio di Stato.
Nel merito, la M.& A. s.r.l. rinvia alle difese di primo grado, che comunque richiama sinteticamente.
Sarebbe irrilevante l’argomento relativo alla mancata entrata in vigore delle nuove N.T.A., posto che l’intervento in questione non si sarebbe mai posto in contrasto né con la precedente, né con l’attuale normativa urbanistica.
Il provvedimento conclusivo del S.U.A.P. – a norma dell’art. 1, comma 39, della legge regionale n. 11 del 2008 – avrebbe carattere di titolo abilitativo all’edificazione e di autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale.
L’intero progetto coinvolgerebbe in ogni sua fase, anche esecutiva, un ingegnere, che avrebbe firmato tutti gli elaborati.
I parametri insediativi sarebbero stati definiti con il provvedimento del 24 settembre 2010, non impugnato tempestivamente. La variante del successivo provvedimento sarebbe solo riduttiva. In ogni caso occorrerebbe prendere in considerazione non l’art. 83 delle N.T.A. (relativo a edifici a destinazione mista), ma l’art. 95 (concernente le strutture a carattere autonomo e principale). Si applicherebbe di conseguenza il parametro che rende ammissibili le medie strutture di vendita con superficie compresa tra 250 e 1000 mq.
Sarebbero infondate le censure circa l’insufficiente dotazione di parcheggi. La relazione tecnica del 25 gennaio 2010 attesterebbe la compatibilità e l’ammissibilità della proposta progettuale. Sarebbe rispettata la normativa regionale, in relazione all’art. 1, comma 38, della legge regionale n. 11 del 2008.
I motivi dal 7 al 16 sarebbero “confuse e miscellanee censure, alcune delle quali esulano anche dall’oggetto di gravame”.
In vista della camera di consiglio del 3 luglio 2012, l’appellante ha formulato istanza di riunione al merito.
All’udienza pubblica del 23 ottobre 2012, su richiesta della difesa della Società appellata, la causa è stata rinviata al successivo 20 novembre.
In quella data, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
La sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per non avere il ricorrente fornito la prova della propria legittimazione attiva.
La decisione si fonda sul presupposto – del tutto condivisibile, in quanto conforme a una costante giurisprudenza – che l’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo modificato dalla legge dall’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765), non abbia introdotto un’azione popolare, che consentirebbe a qualsiasi cittadino di impugnare il provvedimento che prevede la realizzazione di un’opera per far valere comunque l’osservanza delle prescrizioni che regolano l’edificazione. Piuttosto, la norma ha riconosciuto una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di “stabile collegamento” con la zona medesima.
In via preliminare, l’appello insiste molto – come è naturale – sulla legittimazione ad agire, che emergerebbe da un complesso di documenti depositati nel giudizio di primo grado (una planimetria di piano; una visura catastale; l’autorizzazione al commercio rilasciata al legale rappresentante della Società appellante; il contratto di affitto d’azienda), dei quali il Tribunale regionale avrebbe potuto comunque chiedere l’integrazione. Sostiene poi la tesi della sufficienza, ai fini della legittimazione, del solo elemento della “vicinitas”.
In relazione a tale requisito, il Collegio è consapevole dell’esistenza di orientamenti giurisprudenziali difformi (per un esame dettagliato della questione si veda Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2010, n. 7591).
Secondo una tesi più liberale, la legittimazione a impugnare una concessione edilizia non postulerebbe necessariamente l’adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2010 , n. 1535).
Per una concezione più restrittiva, invece, ai fini dell’impugnazione di una concessione edilizia la condizione della “vicinitas” andrebbe valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell’opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2849).
Nel caso di specie, peraltro, la Sezione ritiene di non avere motivo di discostarsi da una propria precedente decisione (23 settembre 2011, n. 5353), resa su una controversia avente sostanzialmente il medesimo oggetto di quella attuale (rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione di un edificio commerciale in Vasto) e intercorrente tra parti delle quali, come emerge dalla documentazione in atti:
la Società appellante (Modulo Quattro s.r.l.) aveva la stessa sede sociale, analogo oggetto sociale, proprietà e amministrazione largamente sovrapponibili a quella della Società odierna appellante; in particolare il signor Giovanni Cirotti, titolare dell’autorizzazione al commercio depositata in primo grado, appare comproprietario e amministratore (insieme con altri soggetti) di entrambe le società.
la Società appellata (Immobiliare “C” di Cerella Natalia Gabriella) era l’originaria proprietaria dell’area in discussione, dante causa dell’odierna Società appellata.
Aderendo per implicito alla tesi più restrittiva fra quelle prima ricordate, la sentenza citata ha ritenuto mancante la legittimazione dell’appellante, che non sarebbe riuscita a offrire prova o indizio di prova dello sviamento della clientela e della conseguente futura diminuzione di profitto, in ragione dell’identità, quanto meno parziale, dei generi merceologici trattati nelle due strutture commerciali in argomento.
Tale prova manca, peraltro, anche nel presente giudizio. Di conseguenza, deve ritenersi che bene abbia fatto il Tribunale territoriale a dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione.
L’appello dunque è infondato e va perciò respinto.
Apprezzate le circostanze, le spese di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)