Cessione d’azienda, plusvalenza in base al principio di competenza – Cassazione Civile Ordinanza 20098/2012.
Il presupposto per la realizzazione di una plusvalenza deve essere individuato nella stipulazione del contratto, sulla base sia della natura intrinseca e della configurazione giuridica dell’atto che opera il trasferimento del bene – prescindendo dalla natura delle clausole inserite nell’atto stesso quando siano estranee agli elementi essenziali del tipo di contratto concluso – sia dell’onerosità del negozio posto in essere, circostanza che ne determina la tassabilità.
In questi termini si è espressa la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 20098 del 16 novembre che, in maniera laconica, ha confermato un orientamento che può ritenersi consolidato (Cassazione, sentenza 4366/2011, 29745/2008, 3370/2004 e 2807/2002).
Il giudizio di merito
Un contribuente propone ricorso in Cassazione contro una sentenza della Ctr che, in accoglimento del gravame proposto dall’Amministrazione finanziaria contro la pronuncia dei giudici di primo grado, aveva rigettato l’opposizione a un avviso di accertamento Irpef 1996.
Nello specifico, i giudici di appello avevano argomentato che l’atto impositivo si basava sullo stesso valore indicato dalle parti per la cessione di azienda nella determinazione della plusvalenza, dovendosi fare riferimento al principio di competenza e non di cassa, a nulla rilevando le vicende successive del rapporto tra le medesime, anche nella considerazione che la causa civile promossa dalla cedente nei confronti del cessionario non era stata più coltivata poco dopo un anno.
In sostanza, nel caso di specie, era accaduto che la cessione di azienda era avvenuta con riserva della proprietà, una particolare tipologia di compravendita, che trova la propria disciplina codicistica nell’articolo 1523 del codice civile, secondo cui “nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”.
Si tratta di uno strumento negoziale che consente – contemporaneamente – al compratore di godere immediatamente del bene oggetto della vendita, senza l’esborso totale del prezzo pattuito, e al venditore di essere garantito della possibilità di “recuperare” il bene qualora il prezzo non dovesse essere interamente pagato.
L’effetto traslativo della proprietà si realizza non prima del pagamento dell’ultima rata, sebbene il compratore acquisti all’istante la disponibilità del bene oggetto di compravendita, con tutti i rischi relativi al suo eventuale perimento o deterioramento.
La mera rateizzazione del prezzo non vale a impedire il trasferimento della proprietà, per cui l’accordo in ordine al riservato dominio deve essere manifestato esplicitamente, tuttavia, l’acquirente trova, comunque, tutela nella norma che ha posto un limite al di sotto del quale non può essere prevista la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore (ossia, l’articolo 1525 del codice civile, secondo cui “nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive”).
Anche il successivo articolo 1526 del codice civile tutela l’acquirente, riconoscendogli il diritto alla restituzione delle rate pagate, fatta salva la corresponsione al venditore di un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
La decisione della Corte suprema
Con un solo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli articoli 81 e 82 del Dpr 917/1986, nonché dell’articolo 1372 del codice civile, laddove i giudici di appello non avevano considerato che lo scioglimento dell’atto di cessione, per mancato pagamento delle rate previste, ne aveva travolto gli effetti, facendo venir meno il presupposto della plusvalenza.
In particolare, secondo il ricorrente, non era stato considerato che il contratto di vendita prevedeva il riservato dominio e la risoluzione automatica dopo il mancato pagamento di due ratei del prezzo, circostanza che si era verificata puntualmente, dal momento che i titoli cambiari e gli assegni non erano stati onorati dalla società acquirente, e quindi non poteva farsi riferimento al principio di competenza, bensì a quello di cassa, per il quale nessuna plusvalenza era mai sorta.
Per i giudici di piazza Cavour, la censura è infondata, “…atteso che in tema di imposte sui redditi, la plusvalenza fiscalmente rilevante collegata alla cessione di un’azienda si realizza al momento della conclusione del contratto, mentre non hanno rilievo alcuno le vicende successive relative all’adempimento degli obblighi contrattuali od all’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione con carattere novativo, ovvero di un negozio di risoluzione del precedente contratto per mutuo dissenso, quest’ultimo essendo, per giunta, ìnopponibile, ai sensi dell’art. 1372, secondo comma, cod. civ., ai terzi e, quindi, anche all’Amministrazione finanziaria (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 4366 del 23/02/2011, n. 29745 del 2008)…”.
Sulla rilevanza fiscale del patto di riservato dominio, l’Agenzia ha precisato – nella risoluzione n. 28/E del 2009, in una fattispecie diversa, riguardante la verifica dell’eventuale sussistenza di una plusvalenza imponibile in caso di vendita di un terreno a suo tempo acquistato con patto di riservato dominio – che l’effetto traslativo della vendita viene a essere differito al momento del pagamento dell’ultima rata del prezzo.
Marco Denaro – nuovofiscooggi.it