Sanzione della censura per mancato rientro dopo la malattia – Consiglio di Stato Sentenza 6029/2012
sul ricorso numero di registro generale 10605 del 2004, proposto da:
Ministero della Giustizia in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
XX;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – Sez. Staccata di Lecce – Sezione I n. 08981/2003, resa tra le parti, concernente applicazione della sanzione della censura per mancato rientro dopo la malattia.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 6029/2012 del 28.11.2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2012 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Carlo Maria Pisana, avvocato dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La vicenda che viene all’esame del Collegio riguarda il sig. XX, agente del corpo di polizia penitenziaria, all’epoca dei fatti in servizio presso la Casa Circondariale di Brindisi.
Egli, in data 7/7/1998, accusava un malessere che il suo medico curante giudicava guaribile in giorni 6. Il giorno seguente (8 luglio), il medico fiscale si recava presso la sua abitazione e, non trovandolo, lo giudicava idoneo a riprendere il servizio, lasciando comunicazione sotto la porta.
Il sig. Resta, uscito per acquistare dei medicinali, non essendo ancora in condizioni di riprendere l’attività lavorativa chiedeva telefonicamente ulteriori giorni 5 di malattia con decorrenza 8 luglio ’98. Faceva infine rientro in ufficio il 13 luglio.
L’amministrazione apriva un procedimento disciplinare per violazione dell’art. 6, comma 2 lett. g) del d.lgs. 449/92, che si concludeva con la destituzione del dipendente.
Il ricorso del Resta era accolto dal TAR Puglia – Lecce – il quale pur accertando l’arbitrarietà dell’assenza, rilevava una falsa applicazione della norma disciplinare: quest’ultima comminava la destituzione per “omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria”, mentre – secondo il TAR – il ricorrente dopo cinque giorni di assenza, aveva riassunto il servizio.
Propone appello l’amministrazione. La norma citata dovrebbe leggersi in combinato con l’art. 5 della medesima fonte che dispone invece la “sospensione” dal servizio per assenza ingiustificata inferiore a cinque giorni, in guisa che un’assenza di cinque giorni non potrebbe che rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 6, con conseguente legittimità della destituzione.
L’appellato non si è costituito. La causa, alla pubblica udienza del 16 ottobre 2012, è stata trattenuta in decisione.
L’appello non è fondato.
Deve riconoscersi che i motivi del gravame pongono in risalto l’esistenza di un’inestricabile aporia nell’impianto normativo, superabile soltanto attraverso un criterio suppletivo ispirato al favor lavoratoris.
Le norme che vengono in rilievo sono l’art. 5 e l’art. 6 del d.lgs. 449/92: il primo commina la sospensione “per omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore ai cinque giorni”; il secondo commina la destituzione “per omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria”.
Dinanzi a questo quadro, il Giudice di prime, usando un lineare argomento letterale, ha sostenuto che l’art. 6 necessita, per la sua applicazione di due presupposti: 1) l’assenza arbitraria protrattasi per cinque giorni; 2) la mancata riassunzione del servizio dopo i cinque giorni. Se il dipendente riassume servizio dopo i cinque giorni la sanzione della destituzione non potrebbe comminarsi.
L’avvocatura, per converso, utilizzando un solido argomento sistematico sostiene che, se per un periodo “inferiore” a cinque giorni è applicabile la sospensione, allora un periodo “pari” a cinque giorni non può che ricadere nell’ambito della destituzione, a prescindere dalla riassunzione del servizio nel giorno successivo.
Il dubbio esegetico deriva invero dalla tecnica di formulazione delle due norme. Pur avendo lo stesso oggetto, la prima pone in risalto il semplice protrarsi dell’assenza, la seconda l’omessa riassunzione dopo il protrarsi dell’assenza, aggiungendo un quid che tuttavia fa saltare la coerenza sistematica dell’impianto.
Dinanzi a siffatta oggettiva perplessità della norma sanzionatoria, ed avuto riguardo agli effetti esiziali sulla sfera giuridica del destinatario non può che adottarsi un’interpretazione restrittiva della fattispecie disciplinare, ispirata al principio del favor lavoratoris. Del resto, l’adozione del criterio sistematico in luogo di quello letterale (qui accolto) se da un lato sortisce l’effetto di correggere un oggettivo difetto di coordinamento normativo, dall’altro forza vistosamente il tenore letterale dell’art. 6 sul quale il dipendente ha fatto ragionevolmente affidamento nell’orientare la sua (pur inosservante) azione.
Le statuizioni di prime cure possono quindi essere confermate.
La mancata costituzione dell’appellante esonera il collegio dal provvedere sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)