Amministrativa

Concessione edilizia – Consiglio di Stato Sentenza n. 5865/2012

sul ricorso numero di registro generale 2912 del 2000, proposto da:
S.R.L. Saurus, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Alfredo Bianchini, Enrico Romanelli, con domicilio eletto presso Enrico Romanelli in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
contro
Comune di Mirano, rappresentato e difeso dagli avv. Alberto Borella, Fabio Lorenzoni, con domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, 43; Provincia di Venezia; Niero Marco, Conte Anna Maria, rappresentati e difesi dagli avv. Luigi Manzi, Raffaella Rampazzo, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. II n. 00011/1999, resa tra le parti, concernente concessione edilizia.

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 5865/2012 del 27.11.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mirano e di Marco Niero ed Anna Maria Conte;
Visto l’appello incidentale proposto da Marco Niero ed Anna Maria Conte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2012 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati F. Loria su delega di F. Lorenzoni, G. Pafundi su delega di A. Bianchini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il 9 giugno 1993 il Comune di Mirano rilasciava all’odierna appellante Saurus s.r.l. concessione edilizia per la costruzione di un nuovo fabbricato ad uso direzionale e residenziale previa demolizione del fabbricato preesistente. Detta concessione era stata preceduta dalla deliberazione consiliare n. 51 del 23 aprile 1993, emessa ai sensi dell’art 18 dell’allora vigente legge reg. Veneto n. 61/1985, con cui era stato modificato l’ingombro planivolumetrico così come previsto dall’art. 25 delle norme tecniche di attuazione (n.t.a.) dello strumento urbanistico di Mirano, riguardante appunto l’edificio in questione, la sua ricostruzione, gli oneri di urbanizzazione e la futura istituzione di una servitù di uso pubblico sui percorsi pedonali.
Tutti questi atti venivano impugnati davanti al TAR del Veneto da Marco Niero ed Anna Maria Conte, proprietari di immobili confinanti, e il TAR del Veneto, con sentenza n. 11 del 22 gennaio 1999, accoglieva lo stesso ricorso con riferimento a difformità delle volumetrie assentite.
Con appello notificato il 3 marzo 2000 la s.r.l. Saurus impugnava tale sentenza, sollevando le seguenti censure:
1.Sull’inammissibilità del ricorso in primo grado per decadenza dei termini di ex art. 21 L. 6 dicembre 1971 n. 1034. Il ricorso di primo grado deve essere dichiarato inammissibile per essere stato proposto tardivamente con riferimento alla deliberazione consiliare n. 51/1993, vista e pubblicata nelle forme ordinarie tipiche degli atti urbanistici, così come era necessario a norma della natura dell’atto stesso, e direttamente lesiva della posizione dei ricorrenti.
2.Sulle pretese (ma infondate) censure di merito dedotte e accolte nel ricorso in primo grado. L’art. 25 delle n.t.a. prevede la demolizione dell’edificio esistente e la costruzione del nuovo edificio con ingombro planimetrico di volume non superiore a mc. 2350 e altezza massima non superiore a m. 7 con destinazione mista a seconda dei livelli e la formazione di un porticato ad uso pubblico. La deliberazione n. 51/1993 è consistita nel modificare il confine dell’ingombro arretrandolo e controbilanciandolo con un avanzamento su altro e diverso fronte: la modificazione è sostanzialmente irrilevante e riguarda la conformazione urbanistica dell’edificio che era rimasto inalterato nei volumi e nelle altezze. Né la concessione edilizia impugnata può essere ritenuta una concessione in deroga.
Devono poi ritenersi infondati i motivi accolti nel ricorso di primo grado, secondo i quali il progetto assentito non avrebbe rispettato i parametri di piano: la volumetria massima consentita dallo strumento urbanistico non è stata superata, né il sottotetto può essere computato in questa, vista la sua non abitabilità, la sua inaccessibilità, la sua mancanza di finestrature o luci e la sua funzione di ospitare una serie di impianti tecnici non collocabili in altre zone dell’immobile, come gli impianti di aereazione, termo-idrico, per l’ascensore ed i montacarichi.
Inoltre non vi sono difformità tra le tavole progettuali assentite dal Comune e quelle vistate dalla Commissione Provinciale Beni Ambientali e Culturali, comunque deputata a valutare esclusivamente la compatibilità esteriore delle opere con le esigenze di tutela paesistica.
La Saurus s.r.l. concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.
Si costituiva in giudizio il Comune di Mirano, sostenendo le tesi dell’appellante.
Con appello incidentale notificato il 19 e il 28 aprile 2000 Marco Niero ed Anna Maria Conte si costituivano anch’essi in giudizio, sostenendo l’infondatezza dell’appello e riproponendo i motivi non accolti in primo grado di seguito esposti:
Violazione degli artt. 79 e 23 legge reg. Veneto 27 giugno 1985 n. 61 e della L. n. 122/1989; eccesso di potere per violazione delle n.t.a. dello strumento urbanistico vigente (artt. 11 e 25), eccesso di potere per difetto di presupposto. La ricostruzione del fabbricato è avvenuta in violazione delle distanze che devono intercorrere fra gli edifici del centro storico senza tenere conto di quello demolito, anteriore al D.M. n. 1444/1968, le cui norme però dovevano essere rispettate per i nuovi edifici.
Gli appellati ed appellanti incidentali concludevano per il rigetto dell’appello della Saurus e l’accoglimento del proprio appello incidentale.
Alla odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Si può prescindere dal primo motivo di censura, concernente l’inammissibilità del ricorso di primo grado, poiché appaiono fondate le seguenti censure concernenti il merito della causa.
Seguendo i rilievi sub 2), la concessione edilizia in questione, rilasciata all’odierna s.r.l. Saurus subentrata ai proprietari originari, è stata preceduta da una deliberazione del consiglio comunale di Mirano emessa ai sensi dell’art. 18, comma 2, legge reg. n. 61/1985 – legge urbanistica regionale veneta vigente all’epoca ed ora abrogata dalla legge regionale 23 aprile 2004 n. 11 – in base al quale “la delimitazione dell’ambito territoriale del Comparto e i termini per la costituzione del Consorzio e per la presentazione dell’istanza di concessione sono stabiliti da un piano urbanistico attuativo o da un Programma pluriennale di attuazione, ma possono essere deliberati o variati anche separatamente con provvedimento del Consiglio Comunale, che diviene esecutivo ai sensi dell’art. 59 della L. 10 febbraio 1953 n. 62”.
Con tale delibera, approvata nelle forme previste dall’ultima parte del suddetto articolo, è stato modificato l’ingombro planimetrico del fabbricato così come previsto in origine dall’art. 25 delle n.t.a. dello strumento urbanistico di Mirano, permettendo il rilascio successivo della concessione; di questa perciò si deve escludere il carattere di concessione in deroga, ipotesi del resto ammissibile per l’ordinamento solamente per gli interventi di interesse pubblico.
Appare quindi del tutto corretto ed esauriente quanto sostenuto dalle difese del Comune, secondo le quali il procedimento è in tutto e per tutto assimilabile alla modifica del perimetro di un comparto e la delibera consiliare va considerata alla stregua di una variante di comparto, nella sostanza tra quelle varianti di impatto secondario per le quali il legislatore regionale non ha ritenuto necessario un successivo procedimento di approvazione regionale.
Infatti la delibera in parola ha approvato il nuovo ingombro planimetrico del fabbricato erigendo con annesse istituzioni di servitù perpetua di uso pubblico e monetizzazione e scomputo di oneri di urbanizzazione degli spazi pubblici e di parcheggio, determinando in mc. 2348/10 la volumetria da realizzare, quindi senza superare o modificare i mc. 2350 previsti dalle n.t.a..
La concessione poi rilasciata ed anch’essa al pari della delibera consiliare oggetto del ricorso al TAR del Veneto, ha rispettato le misure stabilite dal piano – art. 25 n.t.a. – e dalla delibera di modificazione del comparto.
La verificazione disposta nel corso del giudizio di primo grado ha determinato il volume della costruzione, calcolando la superficie lorda dei singoli piani e delle rispettive altezze, da piano utile a piano utile, ad eccezione dell’ultimo piano misurato all’intradosso dell’ultimo solaio pervenendo ad un’entità di mc. 2316,66 oltre al volume del sottotetto misurato in mc. 576,71.
La consistenza di questo ultimo appare essere il vero nucleo della controversia ed ha portato il giudice di primo grado a ritenere l’illegittimità della concessione edilizia impugnata, in quanto il sottotetto doveva essere, a parere di questo giudice, rilevante ai fini urbanistici.
Il verificatore aveva espresso le seguenti considerazioni: “E’ opinione dello scrivente che al momento la superficie del sottotetto sovrastante le abitazioni, non sia autonomamente utilizzabile in quanto privo delle strutture indispensabili (scale) per potervi accedere e perché l’altezza media nel punto più favorevole è pari a m. 2,56; mentre la superficie del sottotetto sovrastante la banca è totalmente occupata da impianti tecnologici”.
Il Collegio ritiene che il sottotetto non sia da considerarsi rilevante, viste le sue caratteristiche, che non sono contestate, e tenendo conto delle affermazioni espresse dalla giurisprudenza.
Quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno – nel caso di specie impianti di areazione e termo – idrici, l’impianto dell’ascensore e del montacarichi – devono essere considerati volumi tecnici, quindi non computabili nella volumetria generale, a differenza di quanto si deve affermare per le soffitte, gli stenditoi e i locali di sgombero o le mansarde dotate di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Cons. Stato, V, 4 marzo 2008 n. 918).
Inoltre la rilevanza urbanistica, ha ancora affermato la giurisprudenza, deve essere rinvenuta nell’altezza interna, nella praticabilità del solaio, nelle modalità di accesso e nell’esistenza o meno di finestre (Cons. Stato, IV, 30 maggio 2005 n. 2767), con la conseguenza, ad esempio, che un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante con una scala interna deve essere ritenuto abitabile e dunque computabile ai fini della volumetria (Cons. Stato,V, 31 gennaio 2006 n. 354). Nel caso di specie il sottotetto è privo di scale ed anche di finestre o di luci, né l’ipotetica abusiva futura realizzazione di scale, come affermato nella sentenza impugnata, può essere utile per quanto meno delineare la concretezza di un peso urbanistico.
Dunque gli elementi per escludere la rilevanza urbanistica devono essere ritenuti sussistenti.
Altrettanto fondata è la censura inerente la pretesa difformità tra le tavole progettuali assentite dagli uffici comunali e quelle vagliate dagli uffici provinciali competenti ad esprimersi in materia di beni ambientali e culturali.
In realtà, per quanto riguarda il progetto vistato dalla Commissione provinciale di beni ambientali e culturali, si è trattato esclusivamente di difformità di alcuni allegati progettuali rispetto agli altri, del tutto fedeli questi al fabbricato poi realizzato: gli archi previsti dal progetto erano quattro e quattro sono stati quelli costruiti e la difformità riportata dalla tavola 7 (tavola dei materiali) – cinque archi – appare essere del tutto innocua e senza alcuna conseguenza, oltre al fatto di essere stata redatta con largo anticipo rispetto alla domanda e agli altri elaborati progettuali, il che dimostra le incongruenze rappresentate.
E’ infine da respingere l’appello incidentale.
Si dolgono i controinteressati in primo grado, ora appellanti incidentali, che la costruzione di proprietà della Saurus s.r.l. sarebbe avvenuta in violazione delle distanze da mantenere nei centri storici, tra l’altro inferiori a quelle previste dal D.M. n. 1444/1968 data la risalenza della costruzione preesistente.
Soccorrono in questo caso le pregevoli difese svolte dal Comune di Mirano, con le quali viene richiamato l’allora vigente art. 23, comma ottavo, lett. b), della l.r. Veneto n. 61/1985, per il quale gli interventi disciplinati puntualmente dal piano regolatore generale possono comunque definire distanze minori a quelle stabilite dall’art. 9 D.M. n. 1444/1968; l’art. 25 delle n.t.a., più volte richiamato ed oggetto delle sopraddette modificazioni operate dalla deliberazione consiliare n. 51/1993, ha specificamente individuato l’area di sedime dell’intervento costituendo così una sorta di regola del caso singolo, comunque ammessa dalla legge urbanistica regionale e che doveva essere eventualmente oggetto di impugnazione ai tempi dell’emanazione dello strumento urbanistico generale di Mirano.
Per le suesposte considerazioni l’appello principale deve essere accolto con la conseguente riforma della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso di primo grado, mentre l’appello incidentale deve essere respinto.
La peculiarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese di giudizio del doppio grado tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, accoglie l’appello principale e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado, mentre respinge l’appello incidentale.
Spese compensate del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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