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Revoca assegnazione terreni – Consiglio di Stato Sentenza n. 5924/2012

In materia di assegnazione  di terreni già attribuiti ai sensi dell’art. 21 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge di riforma fondiaria e agraria) il  potere di revoca esercitato dall’Amministrazione non abbisogna di una puntuale espressa previsione nelle fonti che disciplinano il procedimento per l’assegnazione di terreni, trovando questo potere il suo fondamento nella constatata impossibilità di realizzare le finalità di pubblico interesse, perseguite con l’assegnazione di terre, per fatto imputabile all’assegnatario.

Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 5924/2012 del 22.11.2012

FATTO e DIRITTO

I signori Collazzo e Milanese chiedono la riforma della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo della Puglia ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento dei provvedimenti dell’Ente di sviluppo agricolo per la Puglia di revoca dell’assegnazione di terreni già attribuiti ai sensi dell’art. 21 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge di riforma fondiaria e agraria) e della legge 21 ottobre 1950, n. 841 al loro dante causa, signor Carmine Collazzo.

I) La revoca è stata motivata dalla realizzazione di costruzioni abusive sui terreni e dalla conseguente destinazione non agricola ad essi impressa: a seguito di sopralluogo era emerso che su tali terreni era stato realizzato, secondo quanto si legge nel rapporto del 6 settembre 1988, un maneggio per attività equestri ed erano stati costruiti oltre undici manufatti abusivi.
Il Tar, dopo aver accertato, a seguito di istruttoria, che proprio sui terreni in possesso dei ricorrenti risultano realizzate le opere abusive di cui al verbale sopra indicato, ha respinto il ricorso rilevando la violazione degli obblighi derivanti dall’atto di assegnazione, poiché la realizzazione delle opere citate risulta di fatto incompatibile con le finalità agricole originariamente impresse alle aree in questione.

II) Tale sentenza è pienamente condivisibile, essendo infondati i motivi d’appello (pertanto, si può prescindere dall’esaminare l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla difesa resistente).
Ed invero, la legge n. 841 del 1950, “norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini” amplia e generalizza l’applicabilità originariamente prevista dalla legge n. 230 del 1950 per la colonizzazione dell’Altopiano della Sila e dei territori contermini, la quale, a sua volta, prevede specificamente che i terreni espropriati e trasferiti in proprietà dell’Amministrazione pubblica devono essere assegnati “a lavoratori manuali della terra” (art. 16) e che “fino al pagamento integrale del prezzo, qualsiasi atto tra vivi di disposizione o di affitto o comunque di cessione in uso totale o parziale, avente per oggetto il terreno assegnato, è nullo di pieno diritto” (art. 18).

Risulta così evidente che, nella fattispecie in esame, non solo la destinazione originaria dell’area, ma la stessa causa giuridica della sua assegnazione al dante causa dei ricorrenti rimane e doveva rimanere inscindibilmente collegata alle finalità di sviluppo agricolo, dato che le leggi citate assumono tale finalità a proprio scopo e obiettivo e sono le sole che giustificano il meccanismo espropriativo e la successiva assegnazione a soggetto diverso dal proprietario. Di conseguenza, la revoca dell’assegnazione, indipendentemente dalla definizione puramente nominalistica sostenuta nel secondo motivo d’appello, si pone come reazione necessitata dell’ordinamento ad un comportamento che ha stravolto le finalità stesse della norma, indipendentemente e prima ancora dalla sussunzione della fattispecie in una determinata e specifica norma.

Come ha ritenuto il Tar, il potere di revoca esercitato dall’Amministrazione non abbisogna di una puntuale espressa previsione nelle fonti che disciplinano il procedimento per l’assegnazione di terreni, trovando questo potere il suo fondamento nella constatata impossibilità di realizzare le finalità di pubblico interesse, perseguite con l’assegnazione di terre, per fatto imputabile all’assegnatario.

In ogni caso, l’atto di disposizione del terreno assegnato, sanzionato dall’art.18 della legge n.230 del 1950 con la nullità di diritto, rileva quale indicatore della mancata coincidenza del fine perseguito dal titolare con le finalità pubbliche presidiate dalla concessione precaria di riservato dominio, del tutto analogamente al comportamento di chi su tale terreno realizza numerosi interventi senza titolo, come è accaduto nella fattispecie in esame.

E che le opere abusive considerate insistano proprio sull’attuale podere 260, oggetto della revoca e in possesso dei ricorrenti nella consistenza derivante dall’assegnazione del 26 gennaio 1976, e non su quello originariamente costituito dai terreni poi espropriati dall’ASL di Lecce nel 1974 (come si ribadisce nel primo motivo dell’appello) emerge incontestabilmente dalla relazione in data 3 aprile 2007, depositata dalla Regione Puglia in adempimento all’ordinanza istruttoria disposta dal Tar proprio per accertare tale specifica circostanza.

III) Poiché i successivi motivi dell’appello sono inammissibili in quanto non proposti in primo grado, il gravame deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti a rifondere all’Amministrazione resistente le spese del giudizio, nella misura di 4.000 (quattromila) euro, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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