Amministrativa

Diniego stabilizzazione del rapporto di lavoro – Consiglio di Stato Sentenza n. 5880/2012

sul ricorso numero di registro generale 1095 del 2010, proposto da:
Marco Romano, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Salerno, Enzo Gigante, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I BIS n. 01564/2009, resa tra le parti, concernente diniego stabilizzazione del rapporto di lavoro

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 5880/2012 del 20.11.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Enzo Gigante e Melania Nicoli (avv.St.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con l’appello in esame, il sig. Marco Romano impugna la sentenza 17 febbraio 2009 n. 1564, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I-bis, ha rigettato il suo ricorso proposto avverso il suo mancato trattenimento in servizio, anche a seguito di una istanza a tal fine proposta, onde far constatare l’intervenuto silenzio – assenso su una sua precedente istanza di stabilizzazione..
Il ricorrente a tal fine lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 1, co. 519, l. n. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007), in tema di prioritaria stabilizzazione degli Ufficiali in ferma prefissata di tutte le Forze Armate, attesa la capienza finanziaria per avviare i relativi procedimenti, al fine del progressivo riassorbimento del precariato presente nella pubblica amministrazione.
La sentenza appellata – in disparte ogni considerazione in ordine alla applicabilità del citato art. 1, co. 519, l. n. 296/2006 al personale militare – ha rilevato come il ricorrente non ha maturato, in qualità di ufficiale in ferma prefissata, il requisito dei tre anni di servizio, non essendo computabile a tali fini quanto effettuato in sostituzione del servizio di leva.
Avverso tale sentenza vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando, poiché “è certo” che l’appellante “ha iniziato il servizio come VFA il 15 marzo 2003 e quindi all’entrata in vigore della l. n. 296/2006 aveva mantenuto il tempo determinato di tre anni, richiesto come dato fondamentale per ottenere la stabilizzazione”. Occorre, inoltre, considerare che il servizio di leva (/in sostituzione del quale sarebbe stato svolto il servizio quale Volontario in Ferma Annuale – VFA, ritenuto non utile ai fini del computo del triennio) non era all’epoca più obbligatorio e che allo svolgimento del detto servizio si accedeva mediante selezione;
b) error in iudicando, poiché “il TAR ha violato il principio di diritto per quanto attiene la mancata motivazione della ragione per la quale non è stato applicato il principio del silenzio – assenso pur ricorrendone tutti i presupposti”.
c) riproposizione dei motivi proposti con il ricorso in I grado, con i quali si deducono i vizi di violazione di legge, eccesso di potere per disparità di trattamento, contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione, per mancata applicazione del principio del silenzio assenso.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa.
All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e deve essere, pertanto, rigettato.
E’, innanzi tutto, destituito di fondamento il secondo motivo di appello (sub b) dell’esposizione in fatto), che deve essere esaminato per priorità logica, con il quale si lamenta che la sentenza impugnata non avrebbe considerato l’intervenuta formazione, sul caso in esame, del cd. silenzio – assenso
Orbene, questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di esaminare la questione oggetto del presente ricorso in appello, enunciando considerazioni che devono essere riconfermate nella presente sede, e consistenti, in particolare, nella non applicazione dell’art. 1, co. 519, l. n. 296/2006 alle Forze Armate (Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2009 n. 2601, ; in senso conf., sez. IV, 4 dicembre 2008 n. 5967).
Come è noto, la legge n. 311 del 2004 (art. 1 comma 95) ha vietato alle Amministrazioni statali di assumere, nel triennio 2005-2007, personale a tempo indeterminato, con l’eccezione, però, delle assunzioni connesse con la professionalizzazione delle Forze armate.
Nel contempo, la citata legge n. 311 del 2004 (art. 1 comma 96) ha istituito un apposito fondo con cui finanziare le assunzioni che, in deroga al divieto e previa autorizzazione da rilasciarsi con D.P.R. ai sensi dell’art. 39, comma 3 ter, della legge n. 449 del 1997, si rendevano necessarie per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza ed urgenza.
Successivamente l’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006 ha destinato il 20% del fondo di cui sopra alla stabilizzazione del personale precario, in possesso dei requisiti ivi indicati, che ne facesse domanda.
Orbene, il disposto del citato art. 1 comma 519 non è applicabile alle Forze Armate in quanto la stabilizzazione disciplinata da detta disposizione è solamente quella finanziabile con una quota del fondo ex art. 1 comma 96 della legge n. 311 del 2004 del quale – come si è detto – le Forze Armate stesse non sono destinatarie.
In sostanza le Forze Armate, in quanto interessate dal processo della c.d. professionalizzazione, sono sottratte al blocco delle assunzioni e, specularmente, anche al meccanismo delle autorizzazioni all’assunzione in deroga e a quello della stabilizzazione dei precari che del primo costituisce, per così dire, una variante interna.
Alla luce delle considerazioni ora esposte, non appare configurabile alcuna formazione di silenzio – assenso sulla istanza di stabilizzazione dell’interessato, stante il difetto di previsione normativa e, di conseguenza, di requisiti soggettivi, indispensabili, ai sensi dell’art. 20 l. n. 241/1990, per la formazione di detto silenzio,
Il secondo motivo di appello deve essere, dunque, rigettato.
Pur considerando risolutivo ed assorbente, ai fini del rigetto dell’appello, quanto sinora esposto in relazione alla reiezione del secondo motivo di impugnazione proposto, giova comunque osservare che anche il primo motivo (sub a) dell’esposizione in fatto) è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
Infatti, l’art. 1, co. 519, l. n. 296/2006, individua i propri destinatari tra coloro che, alla data del 31 dicembre 2006, siano in servizio a tempo determinato da almeno tre anni. Tale requisito non è comunque posseduto dall’appellante, non essendo a tutta evidenza equiparabile ad un “rapporto a tempo determinato” il servizio svolto quale volontario in ferma annuale, essendo peraltro irrilevante che, ai fini dell’accesso a tale ferma, sia prevista una selezione tra coloro che vi aspirano.
Per tutte le ragioni sin qui esposte, preclusive anche al positivo accoglimento degli ulteriori motivi di appello (sub c) dell’esposizione in fatto), l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza appellata.
In considerazione della natura della controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Romano Marco (n. 1095/2010 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.
Compensa tra le parti le spese, diritti ed onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Diego Sabatino, Consigliere
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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