Condono edilizio per opere realizzate in zona di particolare pregio ambientale – Consiglio di Stato Sentenza n. 5884/2012
sul ricorso numero di registro generale 4459 del 2009, proposto da:
Finance Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Gerbi, Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
contro
Falchi Paola, rappresentato e difeso dagli avv. Maurizio Zoppolato, M. Silvia Sommazzi, con domicilio eletto presso Maurizio Zoppolato in Roma, via del Mascherino 72; Giustozzi Barbara, rappresentato e difeso dagli avv. M. Silvia Sommazzi, Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso Maurizio Zoppolato in Roma, via del Mascherino 72;
nei confronti di
Comune di Genova;
sul ricorso numero di registro generale 4242 del 2012, proposto da:
Finance Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Gerbi, Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
contro
Comune di Genova, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Paola Pessagno, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14/4 Sc.A;
per la riforma
— quanto al ricorso n. 4459 del 2009:
della sentenza del T.a.r. Liguria – Genova: Sezione I n. 01449/2008, resa tra le parti, concernente condono edilizio per opere realizzate in zona di particolare pregio ambientale;
— quanto al ricorso n. 4242 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Liguria – Genova: Sezione I n. 01681/2011, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizio.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n.5884/2012 del 20.11.2012
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Falchi Paola e di Giustozzi Barbara e di Comune di Genova;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Gerbi, Mario Sanino,, Maurizio Zoppolato e Gabriele Pafundi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
___ 1.§: Con il primo gravame è stata impugnata sentenza del Tar Liguria con la quale:
a.- è stato accolto il ricorso proposto dalle appellanti ed annullato il provvedimento emanato ai sensi dell’articolo 32 del d.l. n.296/2003 (conv. in L. n. 326/2003), nella parte in cui il Comune ha condonato quattro manufatti agricoli, nelle more delle vicende in esame trasformati in “piccole costruzioni bifamiliari”;
b.- lo ha respinto per altri due manufatti.
La decisione impugnata è affidata, tra l’altro, ai rilievi per cui:
— le domande relative ai manufatti nn. 1-12- 14 e 15 sarebbero state intempestive;
— ad eccezione della stalla-magazzino in muratura e del locale caldaia, i manufatti oggetto di condono in origine sarebbe stati “serre”;
— il condono sarebbe stato indebitamente esteso dal Comune non solo alla riqualificazione dei manufatti sanati, ma “all’intero compendio”, e comunque esteso anche a diversi manufatti indebitamente esistenti in un’area pacificamente soggetta a vincolo paesaggistico e idrogeologico.
L’appello è affidato alla denuncia di tre profili di censura relativi alla violazione dell’art. 32 della legge 24 novembre 2003 n. 326, anche in relazione all’art. 4 della L.R. Liguria 29 marzo 2004 n. 5; ed all’articolo 39 delle norme di attuazione del PUC di Genova.
Si sono costituiti in giudizio le appellate, le quali, con un’unica memoria ritualmente notificata, hanno contestato le affermazioni dell’appellante e, a loro volta, hanno gravato in via incidentale la sentenza nella parte in cui ha rigettato il motivo diretto all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica dell’11 luglio 2006 n. 4260, in vista della motivazione dell’autorizzazione paesaggistica ritenuta, contrariamente all’assunto del ricorso di primo grado, sufficiente.
Con memoria per la discussione, e con una successiva specificazione delle conclusioni, l’appellante insisteva nelle proprie argomentazioni.
Con memoria per l’udienza, a loro volta, le appellate contestano analiticamente i singoli motivi d’appello insistendo per il rigetto del gravame avverso e per l’accoglimento del proprio incidentale.
___ 2.§. Con il secondo gravame la società Finance srl impugna la successiva sentenza del medesimo Tar, con la quale è stato dichiarato improcedibile il secondo ricorso diretto avverso il parere della sottocommissione edilizia integrata, parzialmente contrario all’accoglimento delle domande di condono relativamente a due manufatti.
Per il TAR avrebbe dovuto essere impugnato anche il successivo provvedimento conclusivo del relativo procedimento.
L’appello è affidato all’assunto circa l’ erroneità della decisione ai sensi dell’articolo 100 del c.p.c., nonché alla riproposizione delle censure del ricorso di primo grado.
Si è costituito in giudizio il Comune di Genova che, con due memorie, ha sottolineato l’esattezza della sentenza impugnata e di conseguenza ha richiesto il rigetto dell’appello.
___3.§. Con memoria unica per entrambi i gravami l’appellante ha insistito nelle sue argomentazioni.
Chiamati all’udienza pubblica di discussione entrambi gli appelli sono stati introitati per la decisione
DIRITTO
____ 4.§. Ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. deve disporsi la riunione degli appelli di cui in epigrafe, essendo evidente la connessione oggettiva e soggettiva di entrambi i gravami.
___5.§. Secondo l’ordine cronologico deve essere esaminato prioritariamente l’appello di cui registro generale n. 4459/2009.
___5.§.1. Per l’appellante la sentenza gravata è errata nella parte in cui è stato ritenuto che — relativamente ai manufatti 1-12-14-15 — la domanda di condono sarebbe stata integrata successivamente al termine del 10 dicembre 2004 individuato dalla legge a pena di decadenza per la presentazione la domanda di condono. Il Tar non avrebbe tenuto conto che la “integrazione” della domanda di condono dell’8.7.2005 ad opera della società appellante sarebbe stata richiesta, in realtà, dal Comune di Genova; e comunque avrebbe riguardato immobili già valutati come recuperabili e quindi non abusivi, per l’approvazione di un distinto progetto di edificazione, conforme dunque al PUC della città. Pertanto non si sarebbe trattato di sanatoria di opere abusive, ma di un procedimento diretto ad eliminare la maggior parte di edificazioni, incontestabilmente realizzate prima del 1900, ritenute non compatibili con il valore paesaggistico della zona.
Come risulta dal provvedimento del 12 maggio 2006 dello stesso comune di Genova, anche se i manufatti non risultavano né dalle “strisciate della Royal Air Force del 1944” e né dal successivo rilievo topografico del 1959, ciò non escludeva che tali manufatti potessero essere effettivamente esistenti in epoca anteriore al 1942; poi non più esistenti; ed successivamente ricostruiti dopo il 1959. Inoltre nel provvedimento di condono il Comune avrebbe chiarito che gli altri manufatti della richiesta integrativa di sanatoria sarebbero stati “computabili ai fini del riutilizzo delle superfici agibili”, anche se non indicati nei rilievi fotografici agli atti del Comune.
Il Comune di Genova avrebbe sempre potuto chiedere l’integrazione degli elaborati presentati, e ritenuti non completi, e comunque l’integrazione della documentazione sarebbe stata richiesta al fine di accertare l’effettiva esistenza di manufatti “in parte diruti o ricostruiti su diruti”, la cui esistenza sarebbe stata giurata da chi conosceva e frequentava i luoghi fin dagli anni ‘40 del secolo scorso. La domanda di condono quindi doveva ritenersi estesa a tutti gli immobili, comunque risultanti dalle relative fotografie: nella specie, nelle foto sarebbero stati visibili i manufatti indicati con i numeri uno 1,12 e 15, che quindi dovevano ritenersi ricompresi le domande di condono.
Nel caso di unico proprietario che presenta una domanda di condono per un unico compendio immobiliare la domanda avrebbe dovuto intendersi estesa a tutti gli abusi ricompresi al suo interno a prescindere dalla possibilità del frazionamento in distinti abusi.
Il Comune di Genova avrebbe perseguito l’interesse pubblico di riqualificare un’area di circa 15.000 m² in una zona paesaggistica, imponendo l’eliminazione di superfetazioni esistenti per 610 m² e una radicale pulizia e bonifica a totale carico del soggetto privato, non altrimenti perseguibile.
L’assunto è complessivamente privo di fondamento.
In primo luogo, la censura si appalesa logicamente alquanto perplessa, perché, da un lato, la società ricorrente afferma l’erroneità della decisione che ha annullato i provvedimenti di condono edilizio a suo favore e, dall’altro, assume che “non si sarebbe trattato di sanatoria di opere abusive ma di un procedimento diretto ad eliminare la maggior parte delle edificazioni esistenti” per pretese finalità di recupero ambientale.
In realtà, con le quattro domande di condono nn.3385 – 3386- 3387- 3388 l’appellante ha presentato istanza di condono per quelle che — dalle stesse fotografie allegate alle domande — appaiono chiaramente essere un magazzino in cattivo stato e delle fatiscenti serre agricole, solo alcune delle quali certamente esistenti nel 1959 ed altre assolutamente abusive in quanto successivamente realizzate senza titolo, e comunque assenti nelle fotografie aeree del 1973.
A tale proposito del tutto inconferenti appaiono i tentativi di porre in dubbio l’attendibilità dei riscontri aerei e topografici, con l’affermazione della singolare tesi per cui le serre un po’ apparivano ed un po’ scomparivano (guarda caso in occasione dei rilievi aereo fotogrammetrici).
Ai fini della definizione della censura appare anche indicativo il fatto che, in precedenza, per i manufatti de quo, la dante causa della Società odierna appellante aveva presentato il 23 maggio 2002 prot. n. 3188 (cfr. all. 1 deposito appellante del 21.5.2009) un’istanza di concessione edilizia per l’abbattimento e la ricostruzione, la quale non aveva avuto seguito in quanto il Comune non aveva riconosciuto alle strutture metalliche e legno prive di tamponature, la dignità di “edifici”, ritenendole esclusivamente riconducibili alla categoria delle “serre”.
Ciò posto, si deve sottolineare che esattamente il TAR ha ritenuto che il termine “di decadenza” per la presentazione di ulteriori istanze o integrazioni sostanziali fosse comunque scaduto.
Al riguardo, va ricordato che, come è noto, il 25° co dell’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 (conv. con modificazioni, in L. n. 326/2003) aveva esteso le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e s.m.i., alle opere abusive ultimate entro, e non oltre, il 31 marzo 2003.
In Liguria la norma si applicava poi nei limiti di cui all’art.3 della L.R. 29.3.2004 n. 5.
In tale quadro normativo i termini — rispettivamente, del 31 marzo 2003 di ultimazione delle opere abusive e del 31.12.2004 per inoltrare la domanda — erano limiti posti a pena di decadenza delle facoltà dei privati. Per privati costoro, per altro, i termini non potrebbero essere qualificati come “ordinatori”, in quanto tale definizione, nel settore in esame, è “predicabile” solo per la P.A. e per di più con riguardo all’antica nozione di “norme di azione”.
La riprova dell’essenzialità della completezza della documentazione ai fini dell’ammissibilità dell’istanza, sta proprio nella successiva previsione, da parte del legislatore, dell’obbligo di integrazione da parte del privato di cui al ricordato 12° comma dell’art. 35 della L. n.47/1985, per cui “Entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, l’interessato integra, ove necessario, la domanda a suo tempo presentata e provvede a versare la seconda rata dell’oblazione dovuta….”.
E’ il privato, quindi, che, per far valere il suo interesse pretensivo al provvedimento di condono, aveva l’obbligo di corredare — ab origine, ovvero nel successivo termine di 120 gg. accordato dal 12° co dell’art. 35 cit. — l’istanza con gli elementi documentali che la norma stessa riteneva necessari ad substantiuam per la valutazione della domanda, quali nella specie:
— la descrizione di tutte le opere per le quali si chiedeva la concessione o l’autorizzazione in sanatoria (lett. a dell’art. 35 cit.);
— l’apposita dichiarazione, corredata di documentazione fotografica, dalla quale risultasse lo stato dei lavori relativi (lett. b dell’art. 35 cit.);
— una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione, redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione, attestante l’idoneità statica delle opere eseguite (lett. c dell’art. 35 cit.).
Pertanto la facoltà di richiedere e produrre integrazioni doveva ritenersi limitata al chiarimento della documentazione presentata e non al completamento di atti che dovevano essere necessariamente acclusi all’istanza.
La legge prefigurava quindi una situazione di stretta doverosità per il richiedente la sanatoria, come dimostrano:
— il verbo al modo indicativo (“…l’interessato integra, se necessario…”), che sta a significare chiaramente che lo stesso “deve integrare” gli allegati carenti;
— la precisa indicazione di un termine di 120 giorni, a carico della parte privata, per completare tale onere.
In base all’espressa disciplina del procedimento di cui all’art. 35 della L. n. 47/1985 e s.m.i, la presentazione dell’istanza di condono nel termine non comportava affatto, in linea di principio, alcun potere/obbligo del Comune di provvedere se la domanda era mancante dei documenti che “devono essere allegati” (terzo comma dell’art. 35 cit.); e ciò, a maggior ragione, con riferimento alla prova che le opere erano state realizzate nel termine decadenziale previsto dalla legge medesima per la condonabilità dell’opera (cfr. Cons. Stato 24 febbraio 2011 n. 1239).
Al di fuori di questo paradigma normativo, né il privato, né, tantomeno, il Comune avevano alcun margine per poter ampliare l’ambito oggettivo dell’istanza di condono e la documentazione essenziale originariamente carente.
Il Comune non poteva affatto chiedere le “integrazioni” relative a ulteriori edifici non compresi espressamente nella documentazione allegata alle istanze di privato, per cui è del tutto illegittimo il richiamo nel provvedimento di condono oggetto del presente giudizio all’ “accettazione della integrazione” di sanatoria anche oltre i termini di legge, per ulteriori manufatti che avrebbero dovuto “necessariamente essere regolarizzati sotto il profilo edilizio”.
Inoltre, l’ ”integrazione”, fornita dalla società in data 8.7.2005 comunque è procedimentalmente inutile anche perché:
— in tale richiesta non si fa nessun riferimento specifico a quale delle quattro istanze di condono si farebbe riferimento;
— concerne ulteriori manufatti rispetto a quelli indicati nelle istanze del 2003;
— riguarda dichiarazioni giurate circa la preesistenza dei manufatti, le quali non solo sono generiche e non circostanziate, ma appaiono in manifesto contrasto con le risultanze storicamente documentate.
L’appellante ha certamente goduto di un orientamento ingiustificatamente benevolo del Comune, che, in luogo di rigettare istanze, in parte incomplete ed in parte tardive, ha ritenuto di poter rilasciare il provvedimento di condono, ancorché dagli atti (cfr. sopraluogo del 2005 cit.) risultasse che, successivamente alle istanze di sanatoria, sul sito sarebbero stati effettuati ulteriori interventi abusivi.
In ogni caso poi la natura di “serre” dei manufatti abusivamente realizzati impediva la loro condonabilità (ma al riguardo vedi infra).
Come risulta dal sopralluogo del 11.4.2005 — il quale rinvia peraltro al precedente sopralluogo dell’8.10.2003, e che come atto pubblico fa fede fino a querela di falso — gli ulteriori interventi di tamponatura a calce di pareti di legno erano stati effettuati oltre il termine entro il quale avrebbero dovuto essere eseguiti gli abusi. Del resto tale evenienza emerge ictu oculi anche dal confronto tra le diverse fotografie allegate al condono e quelle allegate all’” integrazione” .
Del tutto inconferente e priva di ogni sostegno logico è, pertanto, la pretesa per cui, se un unico proprietario presenta una generica domanda e non specifica completamente gli abusi realizzati in un unico compendio, questa debba essere considerata valida indiscriminata per tutti gli abusi, da specificarsi nel prosieguo del procedimento, comunque realizzati. Si tratta di asserzione priva di fondamento normativo. La disciplina, nelle statuzioni sopra ricordate richiede semmai l’estrema precisione delle domande, onde evitare che i realizzatori di abusi possano ottenere sanatorie complessive amnche laddove dove sia mancata ogni precisa descrizione.
Del tutto esattamente il TAR ha infine rilevato che la dirigente, la quale tra l’altro presiedeva anche la Commissione Edilizia integrata, in presenza di un’istanza parzialmente tardiva, avrebbe dovuto senz’altro adottare le connessei sanzioni previste dalla legge.
In conseguenza il motivo va complessivamente respinto.
___5.§.2. Con il secondo motivo si lamenta che il Tar:
— avrebbe inesattamente concluso che i manufatti oggetto di condono edilizio non potevano essere sanati (fatti salvi i manufatti 1 e 12), perché le aerofotogrammetrie del 1942 e del 1973, le risultanze catastali, ed il sopralluogo comunale del 2003 avrebbero dimostrato che si trattava di “serre”;
— avrebbe erroneamente dato rilievo al sopralluogo del 30 giugno 2003, quando gli stessi funzionari si sarebbero poi pronunciati, successivamente alle integrazioni della società ricorrente, per la “ricostruìbilità” dei fabbricati 1,9,12,14, e del locale “a monte” (n. 8);
— avrebbe concluso per la mancata dimostrazione con certezza dell’epoca delle costruzioni, ed avrebbe erroneamente qualificato come “elementi di prova suggestivi a seminare dubbi ma insufficienti a dar prova della verità delle asserzioni contenute le domande di condono” gli elaborati del Centro di Ricerca per l’urbanistica e l’ingegneria ecologica dell’Università di Genova o la perizia giurata prodotta in primo grado.
Il Comune di Genova, con il provvedimento di condono avrebbe invece esattamente affermato che tutti gli immobili erano già esistenti al 31 marzo 2003 e che i magazzini “agricoli” avrebbero avuto le caratteristiche “di costruzioni”. Le predette perizie e gli elaborati predisposti dall’appellante avrebbero dimostrato che tutti i manufatti valutati dal comune come “sanabili/recuperabili” avevano, fin dagli anni 40 del secolo scorso, caratteristiche costruttive permanenti e dimensioni che ne faceva escludere la loro configurabilità in termini di “serra”.
Inoltre, in Zona AV del PUC, l’articolo 61 consente, a parità di S.A, la demolizione e ricostruzione degli edifici incompatibili con le esigenze di riqualificazione architettonica e ambientale ed ammette la realizzazione di nuove costruzioni connesse con situazioni ambientalmente compromesse. Pertanto, essendo gli edifici in questione magazzini e serre, sarebbero stati, in quanto tali, strutture incompatibili e da abbattere ai sensi dell’articolo 34 delle N.C.C. del PUC.
L’assunto va totalmente disatteso.
Deve, infatti, respingersi il tentativo dell’appellante di datare ex post, come antecedenti al 2003, tutti i manufatti e di qualificarli in termini di “costruzioni” in senso proprio.
Per poter avere un rilievo processuale in questa sede, gli studi dell’Istituto Universitario, le perizie giurate, le ulteriori prove fotografiche, le planimetriche ed gli altri documenti avrebbero dovuto essere tempestivamente allegati alle istanze di condono così come peraltro prescritto anche dal ricordato art. 5 della L.R. 29-3-2004 n. 5, che, relativamente alle modalità di rilascio del parere di cui all’articolo 32 della L. n. 47/1985 e successive modificazioni, per opere abusive ricadenti su immobili soggetti a vincolo paesistico-ambientale, disponeva che “…le istanze di sanatoria di cui al comma 1 devono essere corredate, in aggiunta alla documentazione prevista nell’articolo 32, comma 35, del D.L. n. 269/2003, convertito dalla L. n. 326/2003 e modificato dalla L. n. 350/2003, da elaborati grafici, asseverati da un tecnico iscritto in un albo professionale, recanti la localizzazione dell’opera, e le sue dimensioni rappresentate in piante, prospetti e sezioni in scala 1:100”.
Sul piano sostanziale la tesi dell’appellante è smentita senza ombra di incertezza da un complesso coordinato di elementi concordanti ed univoci, quali in particolare:
— l’accatastamento del 1985 che qualifica i manufatti come “serre”, cioè come impianti che realizzano un ambiente artificiale per l’agricoltura (come del resto sottolineano giustamente le appellate);
— la relazione istruttoria del 8.11.2004 degli ispettori del Comune;
— il rilievo del Comune dell’11.4.2005;
— le foto della RAF del 1942 e la strisciata aereofotogrammetrica a volo basso del 1973;
— il rilievo topografico del 1959;
— infine le diverse fotografie allegate alle prime istanze di condono ed alle ulteriori integrazioni presentate dall’appellante, già ricordate.
Appare sopratutto significativo proprio il richiamo, da parte del TAR, al verbale di sopralluogo del 5.11.2003, perché lo stesso fu effettuato in epoca antecedente agli ulteriori interventi che, dalle foto, constano essere stati successivamente realizzati sugli immobili de quibus e che risultano sia dalle foto, che dai sopraluoghi.
Al di là del tentativo della ricorrente di mimetizzare la realtà delle cose, fatti salvi la stalla-magazzino n.1, con il tetto a tegole, ed il locale caldaia, la natura propria delle strutture, composte per la gran parte di legno e ferro, avevano originariamente la consistenza di serre e di altri manufatti agricoli a struttura precaria, i quali, dunque, come tali, non potevano essere qualificati come costruzioni in senso proprio.
Irrilevante ai fini della loro qualificazione tipologica è poi il fatto che successivamente la L.R. n. 16/2008 abbia richiesto un titolo edilizio per la loro realizzazione, in quanto la necessità di un titolo edilizio non comporta automaticamente la configurazione in termine di “costruzioni” dell’opera, ma solo il il riconoscimento dell’impatto territoriale dei relativi manufatti (come è ad es. nel caso della asfaltatura dei piazzali).
Quindi, contrariamente a quanto affermato dal Comune nel procedimento di condono de quo, il fatto che le strutture siano state realizzate decenni primi e lasciate in sito a deperire non milita per la loro assunzione al rango di “costruzione” e la loro computabilità ai fini della superficie abitabile recuperabile.
Esattamente il TAR ha in definitiva concluso che le serre e le costruzioni in questione non erano comunque in grado di concorrere alla formazione della superficie abitabile (S.A.), ai sensi dell’art. 39 del P.U.C.; e poichè non davano luogo a volumetrie, non erano condonabili ancorché “costruite da strutture stabilmente ancorare al suolo o ad altra costruzione” (art. 39.1 della Norme del P.U.C.).
Dal che si desume anche l’inconferenza del riferimento alla disciplina dell’articolo 61 delle Norme P.U.C., in quanto tale disposizione presuppone la preesistenza di edifici degradati, ma che pur sempre integrino S.A in senso proprio (proprio per questo, ai sensi dell’articolo 34 delle N.C.C., destinati ad essere abbattuti).
Nel caso in esame, si ripete, gran parte dei manufatti in questione non sono “costruzioni” in senso proprio, ma semplici “serre” come tali prive di superficie abitabile in senso urbanistico.
In tali ipotesi le esigenze di recupero delle situazioni ambientamenti compromesse e di riordino delle aree non passano affatto attraverso ulteriori insediamenti antropici, impattanti negativamente sull’ambiente, ma sono perseguibili dagli organi a ciò preposti mediante l’attività sanzionatoria diretta alla semplice rimozione delle strutture, sia pure agricole, abusivamente realizzate.
Di qui il rigetto del motivo.
___5.§.3. Nella medesima scia interpretativa deve dichiararsi parimenti infondata la censura con cui la società appellante lamenta l’erroneità della decisione laddove ha accolto il quinto motivo del ricorso di primo grado, affermando, tale decisione, che, ai sensi dell’articolo 32, VI ° co. del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, il dirigente comunale non può predisporre piani di esecuzione del PUC, ma deve solo valutare le domande di condono per i singoli immobili.
Per la società appellante invece il Tar avrebbe dovuto dichiarare il difetto di interesse delle odierne appellate rispetto a tale censura, alla quale avrebbe, al limite, potuto avere interesse la sola Finance srl., obbligata a ripulire il terreno.
La prescrizione, invece, sarebbe stata perfettamente legittima, ai sensi dell’articolo 5, 4° comma della L.R. Liguria n. 5/2004, che consentiva al Comune di apporre le prescrizioni volte al miglior inserimento dell’opera abusiva nel contesto paesistico ambientale.
L’assunto, anche alla luce delle considerazioni che precedono, è privo di pregio.
In primo luogo non vi sono dubbi sulla lesività delle prescrizioni apposte all’illegittimo condono per le ricorrenti in primo grado, perché si tratta di un aspetto comunque incidente negativamente sulla legittimità complessiva del condono.
In vista della concreta situazione in essere, nel caso non ricorrevano affatto i presupposti per l’applicazione dell’art. 5 della L.R. n. 5 cit..
Il 4° co. della predetta disposizione prevede che “L’efficacia del titolo edilizio in sanatoria può essere subordinata all’osservanza di specifiche prescrizioni volte al migliore inserimento dell’opera abusiva nel contesto paesistico-ambientale”; tali prescrizioni sono strettamente legate alle opere abusive oggetto dell’istanza (es. piantumazione di essenze arboree, eliminazione di superfetazioni, creazione di marciapiedi o di altre servitù, prescrizioni dell’utilizzo di coperture, infissi, colorazioni, ecc. ecc.) .
Tuttavia, in nessun caso, in sede di procedimento di sanatoria, tali prescrizioni possono oltrepassare gli stretti limiti del provvedimento di condono delle opere abusive, ed assumere la consistenza di una pianificazione di comparto, o comunque integrare interventi complessi (con sostituzioni edilizie, demolizioni di interi edifici, consolidamenti strutturali, ridistribuzione di volumetrie ecc., ecc.), che finirebbero per dare indebitamente luogo ad un vero e proprio piano di recupero, come è nel caso in esame.
E’ evidente che il Comune, prima richiedendo un “progetto di riordino” e poi approvandolo in sede di provvedimento di condono, aveva di fatto artificiosamente finito per legittimare la trasformazione delle serre preesistenti in villini residenziali.
Qui, l’entità delle prescrizioni apposte al “provvedimento di condono” finivano per dar luogo ad una sorta di ibrido procedimentale tra condono e piano di recupero.
Orbene un piano di attuazione non può essere in contrasto con la pianificazione urbanistica.
Nel caso invece il “progetto di recupero” era comunque in palese e diretto contrasto proprio con il P.U.C., che affermava di voler realizzare, e che all’art. 39 –sottozona AV1 pt. 1., viceversa prevede:
— in linea di principio: la generale funzione di salvaguardia ambientale di una delle zone della città ancora non prevalentemente edificata;
— in particolare: il divieto di ulteriori incrementi di volumetrie nella sottozona AV7- pt. 1.1., ove è ubicato il compendio.
Ha insomma ragione il TAR quando conclude che, in sede di procedimento di condono edilizio, non compete ad dirigente dell’Ufficio Comunale la predisposizione di piani di recupero, ma solo l’esame delle domande di sanatoria.
Il motivo va così respinto.
___5.§.4. In conclusione l’appello n. 4459/2009 è complessivamente infondato.
___6.§. Con il proprio ricorso incidentale le appellate lamentano, a loro volta, il mancato accoglimento della quarta censura da parte del Tar, con cui avevano denunciato l’illegittimità del parere della Commissione Edilizia integrata, che non avrebbe realmente motivato in relazione al fatto che, essendo l’area interessata soggetta a vincolo paesistico ambientale, ai sensi della legge n. 1497/1939 (oggi ai sensi del D. Lgs. n. 42/2004),ed inserita in zona “IS-CE insediamento sparso”, andava rispettato il regime di conservazione” del P.T.C.P..
A fronte di specifici vincoli finalizzati alla preminente esigenza di non alterare l’equilibrio tra gli insediamenti esistenti in un ambiente naturale, l’autorizzazione paesaggistica espressa con il provvedimento del 17 luglio 2006 n. 4269 avrebbe dovuto dare contezza delle ragioni della compatibilità delle opere da mantenersi: in tali casi non si trattava di atti di gestione del vincolo ma, in via di fatto, della deroga all’efficacia del vincolo medesimo.
L’assunto va disatteso.
In primo luogo, in relazione all’annullamento del provvedimento di condono da parte del TAR le appellanti incidentali non hanno alcun interesse a coltivare la predetta censura su un presupposto atto istruttorio, che quindi appare in primo luogo inammissibile.
In ogni caso, come esattamente rilevato dal Primo Giudice, la Sottocommissione edilizia integrata ha esaminato la situazione in esame e ha comunque motivato le sue conclusioni, per cui sul piano procedimentale deve escludersi la sussistenza di un vizio di motivazione.
E’ evidente che le appellanti incidentali in realtà contestano l’illogicità sostanziale – e quindi il merito amministrativo — della valutazione della C.E.I. . Al riguardo, anche se effettivamente le aree verdi degli ex giardini di “Villa Bruzzo” (realizzato dall’arch. Coppedè nella prima decade del novecento) sono inserite in una zona panoramica di grande pregio del Comune di Genova (caratterizzata dalla presenza anche di altre ville “a castello” alla maniera gotico-medioevale realizzate tra Ottocento e Novecento), nondimeno la valutazione della legittimità dell’autorizzazione rilasciata del Comune non può estendersi al merito di una scelta che, in assenza di altri elementi realmente sintomatici, resta preclusa al Giudice amministrativo.
Il motivo, e con esso l’appello incidentale, va pertanto comunque respinto.
___7.§. Con il secondo gravame n. 4242/2012, la Finance srl chiede l’annullamento della decisione che aveva dichiarato improcedibile il secondo ricorso, diretto avverso l’annullamento del parere parzialmente negativo della commissione edilizia integrata del 13.12.2005, che aveva ritenuto non condonabili due dei sei manufatti oggetto di sanatoria sul presupposto per cui le preesistenti serre sarebbero state trasformate oltre il termine stabilito dall’articolo 32 della legge n. 326/2003.
Con tale appello in particolare svolgono le seguenti considerazioni:
___7.§.1. in linea preliminare, sarebbe erronea la dichiarazione di improcedibilità per la mancata impugnazione del provvedimento del 10 settembre 2007 n. 2619 con cui era stata rilasciata la sanatoria per quattro dei manufatti e negata la stessa per i due manufatti oggetto della sentenza impugnata. Per la società appellante il provvedimento di sanatoria non avrebbe compiuto alcuna nuova valutazione in ordine alla sanabilità dei manufatti di cui ai numeri 14 e 18, per cui si sarebbe di fronte ad un atto meramente confermativo del diniego del 13 dicembre 2005 impugnato con il ricorso introduttivo in primo grado. Il Comune di Genova nell’accogliere le domande di condono aveva invece esattamente affermato che, “ferme restando l’esclusione di manufatti 14 e n. 18 per le motivazioni illustrate in premessa”, avrebbe tenuto conto del parere interlocutorio della commissione edilizia del 4 maggio 2006, ed aveva rinviato il giudizio sui manufatti in questione “alle verifiche d’ufficio in merito al ricorso pendente presso il Tar”. La natura confermativa del provvedimento di sanatoria starebbe nel fatto che il comune non avrebbe più compiuto alcuna valutazione in ordine ai fabbricati n. 14 e 18.
Inoltre erroneamente il TAR avrebbe assunto a conferma della lesività dell’atto non impugnato la sua lesività per i terzi.
___7.§.2. In conseguenza con la seconda rubrica la Società appellante ripropone i tre motivi del ricorso di prime cure:
___7.§.2.1. In violazione dell’art.32 , commi 25 e ss. del D.L. n.2692003 (conv. nella L. n. 3262003), la data di realizzazione dell’abuso non poteva essere supportaa:
— dalla semplice affermazione del comune per cui successivamente vi sarebbero stati interventi di trasformazione delle serre;
— dalla assenza dei manufatti sulle strisciature dell’aeronautica del 1942, e sui rilievi del 59;
— dalle fotografie aeree del 1973, ove, per i ricorrenti, comparirebbero i manufatti in questione non potendosi affermare che fossero semplici serre;
— dai rilievi ispettivi del 2003 e del 2005 che affermavano interventi “in epoca recente” .
___7.§.2. Illegittimamente il diniego sarebbe affidato ad un calcolo probabilistico, senza ulteriori accertamenti sulla data di trasformazione delle originarie serre in magazzini in muratura in relazione alla consistenza volumetrica dei manufatti.
___7.§.3. infine non sarebbe stato garantito il contradditorio sul parere impugnato in violazione dell’art. 10 bis della l.n.24190.
___7.§.4. Nell’ordine delle questioni va esaminato, per la sua natura pregiudiziale, il primo motivo relativo alla lamentata erroneità della declaratoria di inammissibilità del gravame.
Ai sensi dell’art. 5, III co. della L.R. Liguria 29-3-2004 n. 5, i Comuni, al fine del rilascio del provvedimento di condono: “… a) sono tenuti ad acquisire il conforme avviso della Commissione Edilizia integrata entro il termine di centoventi giorni dalla data di presentazione della domanda di sanatoria …” . Si tratta, in base alla sua costruzione letterale,di una norma che prevede un sub procedimento di carattere esclusivamente servente all’acquisizione degli elementi istruttori necessari per la decisione.
Il parere della Commissione Edilizia Integrata dunque una condizione procedimentale di natura obbligatoria, che, ai sensi dell’articolo 2,1° co. della L.R. n. 15/1980, era necessaria ma non sufficiente per il perfezionamento del condono
Il suo carattere endoprocedimentale autonomo se, da un lato conferisce l’immediata impugnabilità dell’atto dalla commissione edilizia integrata, dall’altro non vale tuttavia a mutare la natura tipicamente istruttoria dell’avviso delle C.E.I. .
Pertanto, se il parere della C.E.I. può essere impugnato per la sua autonomia sub-procedimentale, ciò non toglie che la parte interessata debba comunque far luogo all’impugnazione con motivi aggiunti del successivo provvedimento definitivo di rilascio totale o parziale del condono.
Del resto, fin dalla riforma della L. n. 205/2000, la necessità di impugnare anche il provvedimento finale dopo l’impugnazione dell’atto preparatorio onerava il ricorrente ad avvalersi dell’istituto dei motivi aggiunti in corso di causa ,ossia dello strumento tipico per gravare gli atti sopravvenuti diversi da quello originariamente gravato (cfr. Consiglio Stato sez. VI 23 ottobre 2007 n. 5559).
Trattandosi di due atti del medesimo procedimento, deve infatti escludersi, sul piano sistematico, che il provvedimento finale di sanatoria possa essere qualificato di atto di “natura confermativa” , di un parere emanato in fase istruttoria dalla Commissione Edilizia Integrata.
Come è noto, l’atto confermativo concerne il riesame, sovente a seguito di un’istanza del privato, di un precedente provvedimento definitivo, del tutto eguale per natura e funzione, ed è attuato mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e degli elementi di fatto e di diritto così come erano stati cristallizzati nel primo provvedimento.
In conseguenza non può mai essere atto meramente confermativo o esecutivo, il provvedimento adottato in fase decisoria dal titolare del relativo potere, che, recependo i risultati del parere obbligatorio previsto dalla legge in funzione istruttoria, e non ritenendo di doversi distinguere dell’organo consultivo, compia una corrispondente valutazione finale di tutti gli interessi pubblici coinvolti nel procedimento.
Per questo, nel caso in esame, è processualmente irrilevante l’assenza di una peculiare ulteriore, autonoma, e differente valutazione in ordine ai fabbricati n. 14 e 18 in sede di provvedimento di rilascio del condono.
Secondo le regole generali, dopo aver impugnato con un primo gravame il parere istruttorio preliminare della Commissione Edilizia Integrata, la società doveva dunque impugnare il provvedimento definitivo dell’Amministrazione nella parte in cui negava il condono per due dei manufatti.
E’ evidente al riguardo il sopravvenuto difetto di interesse dell’appellante, atteso che l’annullamento giurisdizionale del solo parere della Commissione Integrata non sarebbe di alcuna utilità al ricorrente, in quanto non comunque non sarebbe in grado, da solo di far venir meno il provvedimento finale di condono.
E, se anche così non fosse, in ogni modo il rigetto del primo gravame priverebbe la società appellante dell’interesse all’annullamento nella presente fase d’appello.
In ogni caso deve essere dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse, potendo in conseguenza soprassedersi all’esame dei relativi motivi, peraltro meramente reiterativi delle medesime censure già esaminate e respinte in occasione della confutazione dell’appello n.4459/2008.
Anche il secondo appello va dunque respinto.
___8.§. In conclusione devono essere respinti: il ricorso principale n. 4459/2009, il relativo ricorso incidentale delle appellate; ed infine il gravame n. 4242/2012 dell’appellante Finance srl; il tutto con consguente conferma delle sentenze impugnate.
Le spese, secondo le regole generali, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in ragione rispettivamente delle soccombenze, delle attività difensive e dei comportamenti delle parti in sede procedimentale e processuale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
___ 1. Dispone, ai sensi dell’art. 70 del c.p.a. la riunione dei gravami.
____ 2.§. Respinge i ricorsi n. 4459/2009 e n. 4242/2012 dell’appellante Finance srl . .
____3.§ Respinge il ricorso incidentale delle appellate proprosto nel giudizio retto dal ricorso n. 4459/2009.
____4 .§ Le spese per entrambi i giudizi sono liquidate in complessive € 10.000,00, compresi € 1.500 per spese di cui:
— € 2.000,00 (comprensivi di € 500 per spese) possono essere compensate con le appellate;
— € 2.000,00 (comprensivi di € 500 per spese) possono essere compensate con il Comune di Genova.
___ 5.§. Condanna la Finance s.r.l. al pagamento della residua somma di € 6.000,00 (comprensiva di € 500,00 per spese) in favore delle appellate Falchi Paola e Giustizzi Barbara.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)