Ammissione al patrocinio gratuito: la suocera convivente fa reddito Cassazione Penale Sentenza 44121/2012
I fatti – Un contribuente, nell’aprile del 2004, era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato in due procedimenti penali poi riuniti e, riguardo ai quali, il difensore di fiducia chiedeva la liquidazione degli onorari per l’attività svolta. A maggio dello stesso anno, il tribunale di Brindisi, ex officio, emetteva decreto di revoca dei precedenti provvedimenti di ammissione e rigettava l’istanza di liquidazione delle competenze poiché non sussistevano i presupposti per ammettere l’istante al beneficio. Il reddito dell’assistito, infatti, superava il limite previsto dall’articolo 76 del Dpr 115/2002, in quanto doveva cumularsi con quello della suocera more uxorio, coabitando quest’ultima con la figlia e il suo compagno. Il tribunale, adito dal “non abbiente” in sede di opposizione (articolo 99, Dpr 115/2002), ha rigettato l’impugnazione e confermato la revoca. Anche in sede di legittimità, la Corte ha ritenuto che, ai fini della determinazione del reddito complessivo per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, è legittimo computare anche il reddito di una persona convivente con l’istante, sia se tale persona è legata da vincoli di parentela, sia se, convivendo con lui, faccia parte di una realtà sociale (la famiglia di fatto) “che esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia ‘strictu sensu’ intesa …”.
Osservazioni
La Corte, dopo aver precisato che l’articolo 112, comma 1, lettera d), Dpr 115/2002 consente al giudice di revocare, anche d’ufficio, il decreto di ammissione al gratuito patrocinio nel caso in cui sia provata la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito previste dagli articoli 76 e 92, Dpr 115/2002, che legittimano l’accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (nella fattispecie in esame, a seguito di quanto emerso dalle indagini effettuate presso i competenti uffici finanziari, il reddito imponibile per accedere al beneficio era superiore al tetto previsto dall’articolo 76), ha chiarito il significato dei termini “familiare” e “componente della famiglia”, presenti nelle citate disposizioni.
In particolare, l’articolo 76 prevede che “se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia…”.
Il successivo articolo 92, inoltre, al fine dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, tiene conto dei “componenti della famiglia” per elevare i limiti del reddito.
Con riferimento al “coniuge” e ai “familiari”, la Corte ha fornito un’interpretazione evolutiva e sistematica delle norme, anche alla luce dei principi di legittimità elaborati in materia. L’evoluzione dei rapporti interpersonali sulla base delle mutate concezioni che si sono affermate nella realtà moderna conduce a ritenere che la convivenza è ormai una “realtà sociale” nella quale i componenti, convivendo e contribuendo dal punto di vista economico e collaborativo alla vita in comune, evidenziano “caratteri ed esigenze analoghe” a quelle dei componenti del nucleo familiare, uniti da vincoli di parentela o affinità.
A tale riguardo, la Cassazione, dando rilievo sociale e giuridico alla famiglia di fatto, aveva già annoverato il convivente more uxorio tra gli altri familiari previsti dall’articolo 76 del Dpr 115/2002 (Cassazione, sentenze 19349/2005, 109/2005 e 4264/1997), proprio perché il rapporto di convivenza è caratterizzato da tendenziale stabilità, continuativi rapporti d’affetto, costante comunanza d’interessi, reciproche responsabilità con i relativi oneri di assistenza morale e materiale tra i componenti.
Di conseguenza, per determinare il reddito di colui chi non può far fronte al costo economico della difesa in un procedimento penale, il legislatore ha voluto tener conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, concorrono a formare il reddito del nucleo familiare.
Diversamente, se al reddito personale del cittadino che chiede di fruire del patrocinio a spese dello Stato non si cumulassero anche le entrate provenienti dai suoi familiari conviventi (anche in senso allargato), si verrebbe meno ai principi “di solidarietà, equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale”. Graverebbe, infatti, sui contribuenti la spesa della difesa di un cittadino che, pur avendo redditi personali che gli consentano di accedere al beneficio, tuttavia può fruire dell’aiuto economico di chi convive con lui.
L’interpretazione fornita dalla Corte è coerente anche con l’intero sistema. Come precisato nella sentenza, il legislatore ha dato rilievo ai rapporti derivanti da legami naturali o di acquisizione, prevedendo, nell’ambito delle espressioni proprie dei rapporti di natura giuridica e di consanguineità (“congiunti” e “prossimi congiunti”), anche legami diversi da quelli di sangue (ad esempio, tra i prossimi congiunti, la convivente more uxorio dell’imputato ha facoltà di astenersi dall’interrogatorio libero nel processo a carico dell’imputato, ex articolo 199, comma 3, lettera a), codice di procedura penale).
I chiarimenti forniti dalla Corte nella fattispecie sottoposta al suo vaglio, infine, sono conformi alla giurisprudenza di legittimità in materia di verifica dei “presupposti familiari” di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La Cassazione ha escluso dal beneficio, per mancanza dei requisiti reddituali, l’imputato in stato di detenzione protratto nel tempo (Cassazione, sentenza n. 17374/2006). Ciò in quanto, nel computo del reddito complessivo, era stata omessa l’indicazione del reddito dei familiari conviventi: l’imputato aveva erroneamente ritenuto che la convivenza con il coniuge era stata interrotta, senza considerare che il nucleo familiare, caratterizzato da comunanza di vita e interessi, sussiste in presenza di un legame stabile e duraturo, a prescindere dalla fisica coabitazione (Cassazione, sentenze n. 37992/2002 e n. 16160/2001). E si suppone che sussista anche per il cittadino extracomunitario nel cui paese di origine la legislazione non preveda una certificazione anagrafica per attestare la presenza di persone con lui conviventi e che comunque sia nell’impossibilità di produrre una documentazione equipollente (Cassazione, sentenza n. 10827/2010), come pure si ritiene sussista per l’autore di un espatrio clandestino, non provando tale situazione, la perdita definitiva di convivenza con gli altri membri della propria famiglia (Cassazione, sentenza n. 40327/2007).