Interposizione soggettiva in fattura: un serio ostacolo alla rivalsa Iva – Cassazione Civile Ordinanza 19218/2012
Il fatto – Il ricorso in Cassazione è stato proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione dei giudici della competente Commissione tributaria regionale.
La pronuncia impugnata riguardava un avviso di rettifica ai fini Iva, per l’anno 1997, e un avviso di accertamento relativo al 1998, entrambi emessi per supposte operazioni fittizie realizzate al precipuo scopo di ottenere un illecito risparmio di imposta.
Con un unico motivo di doglianza, l’ufficio finanziario denunciava l’erroneità del convincimento del collegio giudicante secondo cui, nel caso concreto, nonostante l’acclarata ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, la detraibilità dell’Iva spettava ugualmente perché si erano realizzati sia la consegna della merce sia l’effettivo pagamento dell’imposta.
Esaminato il ricorso, la Corte suprema ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate decidendo per la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
La decisione
I giudici della Cassazione tornano, quindi, a pronunciarsi in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, intendendosi per esse quelle per cui la fornitura è stata effettivamente acquisita dal controllato, ma proveniente da un soggetto diverso dal fatturante.
La controversia ruota attorno alla problematica della detraibilità dell’Iva, nel caso in esame effettivamente assolta dall’acquirente.
Sul punto, il contribuente accertato sosteneva che, essendo stata la merce realmente acquistata e i relativi costi effettivamente sostenuti, l’Iva connessa all’operazione era legittimamente detraibile, a nulla valendo qualsiasi altra questione relativa alla detraibilità dell’imposta.
A sostegno delle proprie ragioni, l’acquirente richiamava altresì le disposizioni contenute nell’articolo 8 del Dl 16/2012, secondo cui l’indeducibilità non trova applicazione per quei costi e quelle spese esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
Le doglianze del contribuente non sono apparse degne di accoglimento da parte del collegio di legittimità che, sul punto, si è espresso in maniera tranchant.
In primo luogo, non sono state ritenute pertinenti le deduzioni relative alle disposizioni di cui all’articolo 8 del Dl 16/2012, perché la norma attiene “la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e non la questione relativa alla detraibilità dell’IVA, che costituisce l’oggetto dell’accertamento e, quindi, del giudizio”.
Con precipuo riferimento alla questione della detraibilità dell’Iva, a giudizio della Corte di legittimità, la provenienza della merce da un soggetto diverso da quello “cartolare” non è un circostanza indifferente ai fini dell’imposta.
Infatti, “la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente”.
A ciò si aggiunga che, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, verrebbe meno una delle condizioni determinanti ai fini della detrazione dell’imposta, ossia l’inerenza dell’operazione all’attività del soggetto economico, normativamente prevista dall’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/1972.
Tale requisito implica, in linea generale, una corrispondenza tra gli acquisti e le finalità dell’impresa.
In altri termini, la detrazione deve riguardare l’Iva assolta o dovuta dal contribuente per operazioni pertinenti o rilevanti rispetto alla sua attività imprenditoriale.
A parere dei giudici della Cassazione, il requisito dell’inerenza “è mancante in relazione all’Iva corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza”.
Con l’ordinanza in commento, che ricalca un principio già affermato dalla stessa Corte di legittimità con la sentenza 735/2010, i giudici si sono pronunciati nel senso di ritenere che l’effettivo compimento dell’operazione e il pagamento del corrispettivo non costituiscono condizioni sufficienti ai fini della detraibilità dell’Iva, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti.
In questo caso, infatti, l’imposta che il cessionario assume di aver pagato per la transazione al cedente è indetraibile, in quanto la prestazione è stata liquidata a un soggetto non legittimato alla rivalsa e non obbligato al pagamento dell’imposta.
Sul punto, esiste un ulteriore filone giurisprudenziale, secondo cui l’utilizzatore può detrarre l’Iva solo nel caso in cui dimostri all’Amministrazione finanziaria di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore “effettivo” fosse persona diversa dal fornitore “cartolare” (cfr Cassazione, sentenza 15741/2012).
In particolare, il contribuente conserva il diritto di detrarre l’imposta solo se “provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta e, in particolare, se dimostri almeno una di queste due circostanze e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, non sia stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione” (Cassazione, sentenza 18009/2012, che richiama sul punto la 8132/2011).