L’annosa questione concernente l’applicabilità dell’art. 82 dpr 309/90 (norma che sanziona l’istigazione, l’induzione e il proselitismo all’uso di sostanze stupefacenti) rispetto alle condotte di coloro che pongano in commercio semi di cannabis, sia attraverso la consueta rete di negozi, sia via siti web, è approdata all’esame delle SS.UU. della Corte di Cassazione ed è stata decisa all’udienza del 18 ottobre u.s. .
Era stata, infatti, la Terza Sezione Penale della Corte[1], con l’ordinanza n. 25355/2012, ad evidenziare la esistenza di una situazione di apparente incertezza della giurisprudenza di legittimità sullo specifico punto di diritto.
La Terza Sezione aveva, inoltre, sottolineato l’equivocità di talune decisioni (rappresentando, infatti, il contrasto insorto tra alcune Sezioni), si che si sarebbero creati tre orientamenti ermeneutici (due dei quali uniformemente indirizzati a sussumere la condotta commerciale nella fattispecie di delitto descritto dalla norma e, quindi, a considerare come punibile la vendita dei semi, quale istigazione).
Questi orientamenti costituivano, quindi, espressioni di conclusioni diametralmente differenti, opposte e configgenti.
Sicchè, in una condizione di incertezza, costituiva atto dovuto la scelta, così operata, di delegare le Sezione Unite al compito di fornire una soluzione definitiva, che regolamentasse la controversia insorta.
Affermava, tra l’altro, l’ordinanza di rimessione che:
a) un primo indirizzo intendeva come sanzionabile, già di per sé, la condotta di pubblicizzazione di semi di piante idonee a produrre sostanza stupefacente.
Detta considerazione si fondava sul presupposto dell’esistenza di una relazione diretta, che intercorrerebbe tra la ricordata pubblicizzazione di semi, la coltivazione della piante (destinazione d’uso del seme ritenuta naturale) e, da ultimo l’ulteriore uso del prodotto della coltivazione;
b) un secondo indirizzo, a propria volta, riteneva perfezionata la fattispecie penalmente rilevante, ove il “contesto” ed il “contenuto delle espressioni usate” apparissero sufficienti ad indurre i destinatari all’uso di stupefacenti.
Da siffatta premessa, deriverebbe la naturale conclusione che la vendita di semi di cannabis, qualora appaia coesistente con indicazioni relative a modalità di coltivazione, potrebbe integrare la violazione dell’art.. 82 dpr 309/90.
Sarebbe, peraltro, sempre fatto salvo il libero apprezzamento del giudice, nel caso concreto;
c) un terzo indirizzo, ribadendo l’esclusione in radice della illiceità della vendita di semi di cannabis, richiede – per addivenire alla configurabilità concreta dell’ipotesi prevista dall’art. 82 dpr 309/90 – un elemento ulteriore, rispetto alla mera propaganda pubblicitaria (sanzionata amministrativamente dall’art. 84 dpr 309/90).
Il quid pluris consiste in una seria di attività espressamente strumentali ed inequivocamente e deliberatamente orientate a favorire la coltivazione, per poi pervenire al raggiungimento dello scopo del successivo uso del prodotto della coltivazione stessa.
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L’attenzione delle SS.UU. si è, dunque, incentrata sul quesito di diritto che testualmente recita:Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze, con l’indicazione delle modalità di coltivazione e la resa.
La questione, affrontata con la decisione il cui dispositivo si illustra, in attesa della pubblicazione delle motivazioni, è venuta ad involgere, così, gli artt. 26, 73, 82 e 84 del T.U. Stup. 309/90 e 414. e 84 c.p. .
Si deve, infatti, rilevare che il ricorso per Cassazione della Procura della Repubblica di Firenze, oltre a dolersi della presunta falsa ed erronea applicazione degli artt. 82 e 84 della legge sugli stupefacenti, introduceva in via subordinata ed alternativa, alla richiesta principale, anche il tema della sussistenza della possibile configurabilità del combinato disposto dagli artt. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, in relazione a quelle ipotesi di commercio di semi di cannabis che presentino, in modo in equivocamente deliberato anche – ad adiuvandum – attività di esplicazione delle tecniche coltivative.
Questa prospettazione di evidente carattere ipotetico-alternativo era stata, peraltro, disattesa dal giudice di prime cure (il GUP di Firenze).
Ad avviso del giudicante, infatti, la differente natura delle due ipotesi di reato (l’una istigazione ad una condotta non reato, l’altra istigazione ad un condotta di reato) escludeva a priori qualsiasi possibilità di commistione fra le stesse e, quindi, la configurazione di una estrometteva logicamente l’altra in relazione alla fattispecie in oggetto
La soluzione adottata dalle SS.UU. pare – il condizionale è d’obbligo in attesa di leggere per esteso l’ordinanza – avere colto e valorizzato, invece, proprio quest’ultimo tema, venendo ritenuta la possibilità della formulazione di una contestazione del reato di istigazione alla coltivazione (artt. 414 cp e 73 dpr 309/90)
La soluzione addotta – come si può leggere sul sito della Suprema Corte è la seguente “Negativa, salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”.
Pare, dunque, di potere affermare che l’ordinanza in commento ha tassativamente e definitivamente negato l’applicabilità dell’art. 82 dpr 309/90 al commercio di semi di cannabis.
In questo modo, è stata superata anche quell’opinione giurisprudenziale, la quale, utilizzando una affermazione corretta (“la coltivazione costituisce un passaggio necessario, per pervenire all’uso di stupefacenti”), intendeva, peraltro, giustificare, in maniera assolutamente impropria ed errata, l’utilizzo della norma in questione, a carico dei commercianti di semi di cannabis.
In buona sostanza, il tentativo di estendere la valenza della norma di cui all’art. 82, anche a casi del tutto ultronei all’operatività della stessa, avveniva, in sede giurisprudenziale, pur in presenza di una inequivoca e tassativa struttura espositiva del testo, il quale mirava a sanzionare esclusivamente condotte (istigatorie) collegate in modo esclusivo e diretto (non già mediato) all’uso di stupefacenti.
La criticata posizione interpretativa, inoltre, manifestava la propria insufficienza, sol che si pensi agli elementi di fatto che usualmente formavano (e formano) la base e la architettura per la descrizione – in sede di formulazione dell’imputazione – delle condotte costituenti quegli addebiti penali, in base ai quali qualificare l’ipotesi di reato di cui all’art. 82 dpr 309/90.
Le attività, usualmente contestate, dalla pubblica accusa, agli indagati/imputati, si incentrano sempre, specificatamente, sulla pressione o sull’agevolazione a coltivare piante da cui ricavare lo stupefacente, cioè su di una volontà di rafforzare o creare una situazione di determinazione del soggetto.
Si tratta di una condotta, che, usualmente, la pubblica accusa assume come, deliberatamente e scientemente, svolta dal commerciante a corollario della vendita di semi e rivolta verso l’acquirente.
E’ naturale, però, il rilievo, già anticipato, che “l’istigazione o l’induzione a coltivare” costituisce, però, comportamento completamente diverso ed affatto confondibile rispetto all’ ”istigazione all’uso di sostanze stupefacenti”.
Siamo, infatti, dinanzi a due momenti ed a due comportamenti, assolutamente indipendenti e tra loro autonomi, i quali semmai, possono risultare logicamente successivi sul piano temporale.
Va, inoltre, considerato che la ratio dell’art. 82 dpr 309/90 postula la punibilità di un atteggiamento (“l’istigazione”) che non è affatto finalizzato a determinare un soggetto a commettere un reato, in quanto l’uso di stupefacenti non costituisce ipotesi penalmente sanzionabile, bensì illecito puramente amministrativo.
Diversamente, l’ipotizzazione – nei fatti e sulla base dei richiami usualmente usati nei capi di imputazione – dell’abbinamento, da parte del commerciante, fra la vendita di semi di cannabis (lecita) e la divulgazione di metodologie specifiche e qualificate per produrre sostanze stupefacenti (illecita), può costituire – previa valutazione del magistrato di volta in volta – una situazione di “istigazione”alla commissione di un reato (la coltivazione ex art. 73 co. 1 dpr 309/90).
Da queste considerazioni discende, quindi, l’indicazione da parte delle SS.UU. di una nuova via metodologica di indagine, in relazione al fenomeno, sino ad oggi sussunto (erroneamente) nel disposto dell’art. 82 dpr 309/90.
Appare, peraltro, evidente dallo stesso tenore letterale della massima (e salvo ulteriori e diverse indicazioni che derivassero da una possibile più attenta lettura dei profili motivazionali) che “….la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”, costituisce un’ipotesi di reato meramente residuale.
Indubbiamente, ove si ravvisasse, in casi specifici la violazione del combinato disposto dagli artt. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, si verrebbe a verificare l’effetto per il quale l’imputato verrebbe ad incorrere in trattamenti sanzionatori di maggiore severità rispetto alle pene previste dall’art. 82.
Ritengo, però, che i criteri ermeneutici da utilizzare, al fine di addivenire – di volta in volta – alla valutazione della configurabilità (o meno) del reato di istigazione alla coltivazione, non potranno discostarsi sensibilmente, da quelli adottati sino a od oggi, vigente, l’indirizzo superato.
Essi dovranno – ad avviso di chi scrive – ancorarsi a quel ragionevole criterio espresso dalla giurisprudenza della Sezione Quarta, che – con la sentenza 17 gennaio 2012 – ha predicato
1) l’esclusione in radice della illiceità della vendita di semi di cannabis,
2) il raggiungimento della prova di una serie di attività di informazione, diffusione ed esaltazione comunicativa, che si pongano in relazione strumentale ed in equivoca, oltre che risultino deliberatamente orientate a promuovere ed a favorire la coltivazione.
Si tratta di un criterio adottato per la configurabilità concreta dell’ipotesi prevista dall’art. 82 dpr 309/90, ma tale requisito appare ben applicabile anche in questo caso.
Queste sono le prime considerazioni, attendiamo le motivazioni per ulteriori valutazioni.
Articolo di Carlo Alberto Zaina pubblicato su Aduc Droghe
[1] A tale sezione della Corte di Cassazione (R.G. 43237/2011), il processo era giunto a seguito del ricorso per Cassazione proposto dal PM presso il Tribunale di Firenze, avverso la sentenza resa dal GUP di Firenze il 1° giugno 2011, che assolveva gli imputati perché il fatto non sussiste dall’accusa di violazione dell’art. 82 dpr 309/90.
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