CivileDiritto Commerciale

Nota a Sentenza Tribunale Torre Annunziata 19/06/2009 in materia di vendita di beni di consumo – di Giorgio Vanacore

Proposta dall’acquirente di un’automobile presso una concessionaria un’azione basata sull’art. 129 cod. cons. per difetto di conformità – nella specie, reflusso di gas di combustione nell’abitacolo –, che dà vita ad una controversia di cognizione del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore, deve rigettarsi la relativa domanda se il consumatore si sia limitato ad inviare diffide ad un anno dall’acquisto non precisanti la data della scoperta del vizio, sì da rendere impossibile la ricostruzione della distanza temporale tra la denuncia e la scoperta del vizio e, di conseguenza, la valutazione della tempestività della denuncia medesima ai fini della decadenza ex art. 132, comma 2º, cod. cons. (Trib. Torre Annunziata, 19 giugno 2009- Giudice Vernaglia Lombardi – X c. Y s.r.l.)

Il fatto

Con atto di citazione ritualmente notificato, X, premesso che in data 23 giugno 2006, in virtù di contratto di compravendita, aveva acquistato presso la Concessionaria Y s.r.l., l’autovettura mod. (omissis), tg. (omissis); che quando la suddetta autovettura era marciante era stato scoperto gas di scarico all’interno dell’abitacolo; che tale inconveniente era stato subito denunciato alla Concessionaria e alla casa costruttrice (omissis) s.p.a.; che, a seguito di approssimative verifiche tecniche effettuate, avevano sempre escluso alcuna fuoriuscita di gas; che, ogni volta che si procedeva all’utilizzazione dell’autovettura, la presenza di scarico era divenuta intollerabile; che essa istante, a tutela della propria incolumità fisica, aveva fatto eseguire dalla Y s.r.l. una indagine tecnica per accertare gli inconvenienti lamentati; che era così stato accertato reflusso di gas di combustione all’interno dell’abitacolo e che le concentrazioni di ossido di azoto e di anidride carbonica superavano il limite di tollerabilità per la salute umana; che, essendo stata vietata l’utilizzazione dell’autovettura, essa era stata depositata in sosta tecnica presso un’autofficina di proprietà di X; che inutilmente erano state inviate raccomandate con le quali la convenuta era stata diffidata a provvedere alla eliminazione dei vizi e difetti dell’autovettura in questione; tanto premesso, conveniva in giudizio la Concessionaria Y s.r.l. per sentir condannare la convenuta al ripristino senza spese della conformità del bene o sentir dichiarare la riduzione del prezzo con condanna al risarcimento dei danni oltre interessi e rivalutazione monetaria e con vittoria delle spese di lite.

Si costituiva la convenuta con comparsa di costituzione e risposta nella quale eccepiva, in primo luogo, l’incompetenza territoriale – funzionale del Tribunale adito a favore della sezione distaccata di Castellammare di Stabia chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda perché infondata.

La causa, rinviata per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del 13 marzo 2009, sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva riservata in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

La motivazione

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di incompetenza sollevata da parte convenuta prospettata, peraltro, nei termini in cui è formulata come questione di ripartizione degli affari tra sede centrale e sezioni distaccate del tribunale.

Invero, come disposto dalla norma di cui all’art. 33 bis la quale considera vessatoria la clausola che stabilisce un foro competente diverso da quello del luogo in cui ha la residenza o il domicilio il consumatore, si desume, alla luce anche dell’interpretazione della norma fornita dalla Suprema Corte di Cassazione, che la competenza territoriale esclusiva nelle controversie, come quella in esame, tra consumatore e professionista, si radica nel luogo di residenza o domicilio del consumatore.

Nel merito, ritiene questo Giudice che la domanda non possa essere accolta.

Invero, l’attrice ha formulato una domanda nei confronti del venditore basata sulla disposizione di cui all’art. 129 del Codice del consumo.

Orbene, la possibilità di proporre la suddetta domanda è soggetta a determinate condizioni poste dalla medesima normativa tra le quali si pone quella di cui all’art. 132 che stabilisce la decadenza del consumatore se la denuncia della mancanza di conformità del prodotto non è effettuata entro due mesi dalla scoperta del vizio.

L’attrice, nella fattispecie, lungi dal precisare l’epoca della scoperta del vizio, si è limitata in modo alquanto generico a riferire che dopo qualche tempo dall’acquisto l’inconveniente cominciò a manifestarsi, né ha articolato, in sede di formulazione delle istanze istruttorie, circostanze dalle quali potersi desumere tale epoca.

In particolare, i capi su cui avrebbe dovuto vertere la prova testimoniale chiesta, e non ammessa, concernevano tutti circostanze documentalmente provabili o implicanti valutazioni da demandare ad un tecnico.

Del resto, la C.T.U. non avrebbe avuto alcun esito certo dovendo avere ad oggetto un’autovettura acquistata quasi tre anni addietro né avrebbe potuto basarsi sulla perizia di parte non giurata che rappresenta documento di parte e non avente data certa.

Mancando la prova circa la data di scoperta dell’inconveniente lamentato, risalendo le raccomandate di denuncia dei vizi inviate dall’attrice al produttore e al venditore al giugno del 2007, dopo cioè un anno dall’acquisto, e non potendo precisarsi la distanza temporale tra esse e la scoperta del vizio stesso, non può valutarsi con certezza la tempestività della denuncia stessa, tempestività che sarebbe stato onere dell’attrice provare anche attraverso un accertamento tecnico preventivo eseguito sull’autovettura appena scoperto l’inconveniente o appena ricevuti gli esiti delle indagini effettuate dal venditore o dalla società contattata per l’accertamento di quanto lamentato.

Ne consegue che la domanda non può essere accolta.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi, tenuto conto della natura della causa e delle difficoltà dell’accertamento dovute anche al tempo trascorso, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale, in persona del suindicato giudice unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da X della Concessionaria Y s.r.l. così provvede: rigetta la domanda; dichiara interamente compensate, tra le parti, le spese di lite.

NOTA DI COMMENTO: LA VENDITA DEI BENI DI CONSUMO NEL D. LGS. N. 206/2005

L’art. 128, comma 1º, secondo inciso, del Codice del Consumo, ha riservato la stessa disciplina ai contratti assimilati quoad effectum alla vendita, vale a dire la permuta, la somministrazione, l’appalto, i contratti d’opera, nonché tutti quelli finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre.

Perno della nuova disciplina è il comma 1º dell’art. 129, che consacra l’obbligo del venditore di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita, costituente la vera novità della della fonte comunitaria.

Dal canto suo, l’art. 130, comma 1º, statuisce la diretta responsabilità del venditore per i difetti del bene sussistenti al momento della consegna.

Come è stato sostenuto dai più alti vertici giudiziari comunitari, «Il venditore, ove fornisca un bene non conforme, non esegue correttamente l’obbligazione che si era assunto con il contratto di vendita e deve dunque sopportare le conseguenze di tale inesatta esecuzione del contratto medesimo» (C.G.C.E., 17 aprile 2008, causa C – 404/06, par. 41).

In tal modo, come è stato detto dai commentatori, l’obbligo de quo introduce nel sistema l’azione di esatto adempimento ex art. 1453 c.c., già escogitata da dottrina e giurisprudenza a proposito dell’aliud pro alio.

L’alto livello di tutela riservata al consumatore viene, poi, stemperata dai commi 2º e ss. dell’art. 129, che contemplano:

a) le presunzioni relative di conformità del bene al contratto (comma 2º), che elevano a parametro comparativo:

a1) l’idoneità all’uso di beni dello stesso tipo; a2) la descrizione fatta dal venditore e le qualità di un campione o modello offerto al consumatore; a3) la qualità e le prestazioni di beni dello stesso tipo, ragionevolmente attendibili dall’acquirente avuto riguardo alla natura, e, all’occorrenza, alle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche fatte, nella pubblicità o sull’etichettatura, dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante; a4) l’idoneità all’uso particolare voluto dal consumatore partecipato al venditore o da questi accettato per fatti concludenti;

b) le circostanze, di natura oggettiva e/o soggettiva, ostative alla configurazione di un difetto di conformità (commi 3º, 4º e 5º).

Se è vero, quindi, che l’art. 130, comma 1º, configura una responsabilità contrattuale in capo all’alienante per qualsiasi difetto di conformità del bene sussistente al momento della consegna, nel detto caso, prosegue il comma 2º, l’acquirente ha diritto, senza spese:

I) al ripristino, mediante riparazione o sostituzione, della conformità del bene, chiedibili a sua scelta, salva l’oggettiva impossibilità o l’eccessiva onerosità di un rimedio rispetto all’altro, nel qual caso quest’ultimo s’imporrà (così, in dettaglio, il comma 3º);

II) ad una congrua riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, anch’esse chiedibili a sua scelta, ove sia impossibile o eccessivamente oneroso il ripristino sub I), ovvero se il venditore non abbia provveduto ad esso entro congruo termine, ovvero, da ultimo, se il precedente intervento ripristinatorio sia stato fonte d’inconvenienti per l’acquirente (comma 7º).

Che si tratti, di un effetto ripristinatorio pieno ed incondizionato in favore dell’utente, lo dimostra una recente interpretazione della C.G.U.E., adìta in sede pregiudiziale ex art. 234 del Trattato, che ha sancito la contrarietà al diritto comunitario di una normativa nazionale introduttiva del diritto per il venditore che ottemperi all’obbligo ripristinatorio, di pretendere dall’acquirente un’indennità per l’utilizzo del bene non conforme (cfr., ancora, C.G.U.E., 17 aprile 2008, di cui segue la massima: «L’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, 1999/44/CE, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale consenta al venditore, nel caso in cui abbia venduto un bene di consumo presentante un difetto di conformità, di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso di tale bene non conforme fino alla sua sostituzione con un bene nuovo»).

Da ultimo, è singolare la disciplina del comma 9º, quanto all’offerta che può fare il venditore successivamente alla denuncia del difetto di conformità. Qui occorre distinguere il caso in cui il consumatore abbia già chiesto uno specifico rimedio, in cui il venditore resta obbligato ad attuarlo salvo accettazione ex adverso del rimedio alternativo proposto; da quello in cui non l’abbia richiesto, nel qual caso il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio.

Sempre nel segno di arginare la tutela indiscriminata in favore dell’utente, va letta la disposizione del comma 10º, a mente del quale un difetto di conformità di lieve entità per il quale non sia stato praticabile l’intervento ripristinatorio, non dà diritto alla risoluzione del contratto, ma, si aggiunge, alla sola riduzione di prezzo.

L’ampio art. 132 è dedicato alla tempistica per l’esercizio dei rimedi.

Il comma 1º dell’art. 132 delimita la menzionata responsabilità ex art. 130 per un tempo pari a due anni, decorrente dal momento della consegna del bene, laddove al comma 2º, – di cui il giudice ha fatto applicazione nella sentenza in commento –, si stabilisce una decadenza dagli esaminati rimedi ripristinatori e/o risolutori ex art. 130, comma 2º, per l’utente che non denunci il difetto nei due mesi dalla scoperta, dalla quale è dispensato se il professionista lo abbia riconosciuto od occultato.

Si segnala ancora il disposto dell’art. 132, comma 3º, a tenore del quale si presume già sussistente alla data della consegna il vizio che si palesi entro sei mesi dalla stessa, salvo che ciò sia incompatibile con la natura del bene o del difetto (in tema, Trib. Bari, 1 aprile 2009: «Va riformata in grado di appello la sentenza del giudice di pace che aveva ritenuto operante sic ed simpliciter la responsabilità per difetto di conformità sulla presunzione che il difetto lamentato dal consumatore – nei fatti palesatosi nei sei mesi successivi alla consegna –, fosse qualificabile come originario, e che l’onere di provare che il guasto non fosse dovuto ad un difetto originario di conformità del prodotto gravasse invece sul venditore che a tale onere si era sottratto. Per quanto attiene ai difetti che si manifestino successivamente ai sei mesi, non risultando operante la disciplina derogatoria di cui all’art. 1519 sexies, comma 3º, c.c. (ora, art. 132, comma 3º, cod. cons., n.d.r.), trova applicazione la disciplina generale sull’onere della prova, essendo alla parte richiesto di provare, anche tramite presunzioni, la sussistenza del difetto originario di conformità e non essendo all’uopo sufficiente la sola prova della sussistenza di un guasto, che, per sua natura, non può da solo dimostrare l’esistenza di un vizio ab origine, potendo invece essere dipeso da cause del tutto indipendenti dalla non conformità del prodotto»).

Chiude la disciplina dei termini quello relativo alla prescrizione dell’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati, fissato in ventisei mesi decorrenti dalla consegna (art. 132, comma 4º), il che consente di sostenere una maggior tutela per l’acquirente che nella vendita comune: decadenza di due mesi/prescrizione di ventisei a fronte di otto giorni/un anno (art. 1495 c.c.).

Da ultimo, sempre ai sensi del comma 4º, l’utente convenuto per l’esecuzione del contratto, purché abbia tempestivamente denunciato il vizio, ove non ne sia dispensato ai sensi del comma 2º ult. parte, e non sia ancora decorso il termine prescrizionale, potrà in perpetuo avvalersi del meccanismo ripristinatorio ex art. 130, comma 2º.

Una notazione finale concerne l’esame degli artt. 134 e 135 del codice, rispettivamente in tema di carattere imperativo della disciplina e tutela in base ad altre norme ordinamentali.

L’art. 134, al comma 1º, sanziona di nullità relativa, azionabile quindi solo dal consumatore e rilevabile ex officio dal giudice, ogni patto anteriore alla comunicazione del difetto di conformità al venditore che escluda o limiti i diritti testualmente previsti in favore dell’utente dalla disciplina de qua.

Il comma 3º comunica la nullità a qualsiasi clausola che stabilisca per il contratto che abbia uno stretto collegamento con il territorio di uno stato comunitario, l’applicabilità di una legislazione extracomunitaria preclusiva dei citati diritti dell’utente

L’art. 135, nel sancire testualmente, al comma 1º, la salvezza di tutti i diritti del consumatore contemplati da altre norme ordinamentali, ed, al comma 2º, l’applicazione differenziale delle norme del codice civile sul contratto di vendita, consente di attingere ad ogni ulteriore norma interna in materia, ma è norma non chiara ed esaustiva.

Significativi dubbi hanno, infatti, investito l’applicabilità del diritto al risarcimento del danno, già previsto – si badi bene, «in ogni caso», cioè qualunque azione edilizia abbia il compratore esperito – dall’art. 1494 c.c., risolto in senso affermativo dalla prevalente dottrina.

Tale ultima soluzione non può non trovar concorde chi scrive, atteso anche il tenore dell’art. 8, comma 1º, della direttiva, che fa salve le norme nazionali sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

Deriva, quindi, che l’utente, potrà azionare, in aggiunta ai rimedi previsti dal codice del consumo, il risarcimento del danno ex contractu e/o aquiliano, con l’importante precisazione che dovrà egli attenersi alla disciplina e dalle modalità d’esercizio di cui alle singole norme puntuali.

In conclusione del punto, l’operazione di raccordo dell’art. 135 con le norme del codice civile ha indotto gli operatori a ritenere applicabili, sempre che, si ripete, ne ricorrano gli estremi: l’azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 e ss. c.c., l’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., la sospensione esecutiva ex art. 1461 c.c., le due azioni edilizie ex art. 1492 c.c., l’esecuzione in forma specifica ex art. 2058 c.c., l’azione di risoluzione nel caso di vendita su campione ex art. 1522 c.c., l’azionabilità del diritto di recesso (testualmente previsto dall’art. 2224 c.c. per il contratto d’opera).

GIORGIO VANACORE

AVVOCATO IN NAPOLI

giorgiovanacoreavv@libero.it

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