Sesso estremo, consenso iniziale non giustifica stupro – Cassazione Penale Sentenza 37916/2012
Va condannato per violenza sessuale chi impone pratiche sessuali estreme a un partner, il quale, mostrandosi consenziente all’inizio del rapporto, manifesta a un certo punto, di non voler andare oltre.
Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna a 3 anni e mezzo di reclusione inflitta a un 35enne dalla Corte d’Appello di Ancona: l’uomo era finito sotto processo per violenza sessuale continuata commessa con violenze fisiche e minacce nei confronti di una ragazza, con la quale aveva una relazione “erotico-sentimentale”. –
L’imputato si era difeso sottolineando che, a suo parere, il racconto della ragazza non era pienamente attendibile: ella, infatti, era riuscita a descrivere puntualmente soltanto due episodi a carico dell’uomo, rimanendo molto vaga nella descrizione di altri fatti. L’imputato, poi, aveva rilevato che la donna si era sottoposta “volontariamente” a “pratiche erotiche particolari” e cio’ era provato anche dai filmati – che l’imputato aveva minacciato di divulgare – che la ritraevano in atteggiamenti sessuali”. I giudici del merito, pero’, avevano condannato l’uomo sottolineando che “le violenze sessuali furono alternate a rapporti volontari durante lo svolgimento della relazione tra imputato e persona offesa e questa “alternanza” ha reso “piu’ difficile alla vittima la rievocazione dei singoli e specifici episodi”. – La Suprema Corte (terza sezione penale, sentenza numero 37916, depositata oggi) ha condiviso tale motivazione tenuto conto della “dimensione relazionale tra la persona offesa e l’imputato, i quali furono inizialmente legati da un rapporto erotico-sentimentale caratterizzato dalla relazione incube-succube, poi diventata relazione vittima-carnefice”: purtroppo, aggiungono i giudici di Piazza Cavour, “e’ ben possibile che nello svolgimento della patologia delle relazioni sentimentali tra uomo e donna, si verifichi la sussistenza di rapporti sessuali consensuali alternati a rapporti sessuali imposti”. In relazione “a certe pratiche estreme – conclude la Cassazione – per escludere l’antigiuridicita’ della condotta lesiva, non basta il consenso del partner espresso nel momento iniziale della condotta, per cui la scriminante non puo’ essere invocata se l’avente diritto manifesta, esplicitamente o mediante comportamenti univoci, di non essere piu’ consenziente al protrarsi dell’azione alla quale aveva inizialmente aderito, per un ripensamento o una non condivisione sulle modalita’ di consumazione dell’amplesso”.