Sequestro preventivo dei risparmi ok, se il prelievo è per frodare il fisco – Cassazione Penale, Sentenza 25667/2012
È valida la misura cautelare del sequestro preventivo disposta sul conto corrente di un contribuente, accusato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11 del Dlgs 74/2000), il quale, in pendenza di una procedura esecutiva a suo carico, aveva prelevato dal conto corrente bancario i propri risparmi, convertendoli in un numero considerevole di assegni circolari, ciascuno di importo inferiore a quello fissato dalla normativa antiriciclaggio ai fini della tracciabilità. A chiarirlo è la Corte di cassazione con la sentenza n. 25677 del 3 luglio.
I fatti di causa
Il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo di 713 assegni circolari, nonché della somma da essi rappresentata pari a 1.745.300 euro, in relazione al delitto di cui all’articolo 11 del Dlgs 74/2000, in quanto gli indagati avevano richiesto alla propria banca la conversione di detta somma in assegni da 2.400 euro ciascuno; il tutto in pendenza di una procedura di riscossione esattoriale.
Contro tale provvedimento gli indagati avevano proposto richiesta di riesame al tribunale, il quale con ordinanza aveva confermato la misura cautelare, rilevando che, ai fini dell’applicabilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente di cui all’articolo 322-ter cpp, si deve prescindere dal periculum in mora e da ogni altro presupposto diverso da quelli dell’astratta assoggettabilità a confisca e del fumus di una riduzione, anche solo parziale, della garanzia patrimoniale relativa al pagamento del debito esattoriale. Il tribunale aveva ritenuto, pertanto, privi di qualsiasi rilevanza sia l’intervenuta sospensione dell’esecuzione disposta dalla Commissione tributaria, sia la coesistenza di beni ulteriori suscettibili di soddisfare la pretesa tributaria.
Contro tale ordinanza gli indagati proponevano ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 325 cpp, lamentando:
l’omessa motivazione dell’ordinanza in ordine ai presupposti di applicabilità del sequestro preventivo
la violazione dell’articolo 11 del Dlgs 74/2000. In particolare, gli indagati asserivano la non configurabilità di tale delitto, stante la mancanza dell’alienazione simulata o del compimento di atti fraudolenti, in quanto gli stessi avrebbero semplicemente disposto delle proprie sostanze, nonché l’assenza del requisito dell’idoneità a rendere inefficace la procedura coattiva e dell’elemento soggettivo del dolo specifico, in quanto le sostanze residue sarebbero risultate comunque ampiamente sufficienti a garantire la pretesa tributaria
la violazione dell’articolo 1, comma 143, della legge 244/2007. In particolare, gli indagati asserivano che, con riferimento ai reati tributari, non possa trovare applicazione il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente qualora non sia ancora determinabile il profitto, perché in corso di accertamento.
Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso proposto dagli indagati.
La motivazione
La Corte suprema ha preso posizione in ordine alle singole censure sollevate dagli indagati.
In relazione al primo motivo di ricorso, la Cassazione ha precisato che nell’ordinanza impugnata si afferma che, nel caso di specie, “il sequestro operato, già individuato dal Gip come rapportabile sia alla figura del sequestro preventivo non finalizzato alla confisca, sia alla figura del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, deve essere ricondotto esclusivamente all’interno di quest’ultima, in tal modo avendo, implicitamente, escluso la sussistenza dei presupposti del sequestro preventivo ordinario”. Conseguentemente, “la conferma del decreto da parte del tribunale non può, logicamente, non essere letta, se non con riferimento, appunto, al solo sequestro finalizzato alla confisca per equivalente”.
In relazione al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha chiarito che il fumus commissi delicti per la concessione della misura cautelare non è da rinvenire “nella richiesta di potere integralmente disporre della somma di denaro in pendenza di una procedura di riscossione esattoriale (pendenza la cui contestualità rispetto alla condotta descritta dall’art. 11 cit. non sarebbe neppure necessaria, attesa la natura di reato dì pericolo della fattispecie in oggetto: vedi Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2001, Cualbu, Rv. 251076)”, ma “nell’avere richiesto (ed ottenuto) che tale somma fosse frazionata in 713 assegni il cui importo si situava, significativamente, al di sotto del limite di tracciabilità previsto dalla normativa con conseguente esenzione da ogni possibilità di controllo, di per sé ‘idonea’ a rendere inefficace la procedura di riscossione”.
In ultimo, in relazione al terzo motivo di ricorso, la Cassazione ha ribadito che nei reati tributari “il sequestro preventivo, funzionale alla confisca ‘per equivalente’”, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, proprio in forza dell’integrale rinvio, contenuto nell’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, alle ‘disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale’, e, conseguentemente, sia al primo che al secondo comma di tale disposizione” (cfr anche Cassazione 35807/2010 e 25890/2010) e che per profitto confiscabile deve intendersi “non solo un positivo incremento del patrimonio personale ma qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato anche se consistente in un risparmio di spesa” (Cassazione 1843/2011 e 35807/2010).
Inoltre, con particolare riferimento al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, il profitto va individuato “nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere, somma che, nella specie, viene a coincidere, pur non identificandosi con essa (di talché il sequestro disposto conserva, pur sempre, la natura di sequestro finalizzato alla confisca ‘per equivalente’), con la somma di euro 1.745,300,00 portata dagli assegni circolari in oggetto”.
Conclusioni
Il prelievo da parte del contribuente, in pendenza di una procedura esecutiva, di somme depositate sul proprio conto corrente non integra di per sé la condotta del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Affinché si configuri il delitto de quo, è necessario che la condotta del contribuente assuma altresì un carattere fraudolento, ossia che si esplichi in “qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale, dato che la fattispecie in oggetto si qualifica come reato di pericolo” (Cassazione, sentenza 26809/2011 e 40831/2010). È tale componente di fraudolenza che, come precisato dai giudici con la sentenza in commento, “colora di illiceità un comportamento altrimenti del tutto lecito”.
Nel caso di specie, la condotta, all’inizio penalmente irrilevante, ha assunto successivamente un carattere fraudolento, proprio nel momento in cui il contribuente ha chiesto la trasformazione delle somme prelevate in assegni circolari di importo inferiore a quello fissato dalla normativa antiriciclaggio ai fini della tracciabilità, con conseguente esenzione da ogni possibilità di controllo.
Michela Grisini