Compensi non dichiarati e versamenti ingiustificati legittimano l’induttivo Cassazione Civile, Ordinanza 10101/2012
I versamenti ingiustificati e i contratti di locazione con compenso non dichiarato legittimano l’accertamento induttivo, vale a dire quella tipologia di accertamento utilizzata dall’Agenzia delle Entrate per ricostruire la base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, prescindendo dalle scritture contabili del contribuente, perché mancanti o inattendibili. A chiarirlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza 10101 del 19 giugno.
I fatti
Un mediatore immobiliare ha impugnato un avviso di accertamento relativo all’anno 1998, per Iva, Irpef e Irap, basato su un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza.
In primo grado, la Commissione tributaria provinciale ha confermato la legittimità dell’atto impositivo emesso dall’Agenzia, con sentenza che è stata successivamente confermata in grado d’appello.
Avverso tale pronuncia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, al fine di denunciare l’insufficiente motivazione della decisione, nonché la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/1973, e dell’articolo 51, comma 2, n. 2, del Dpr 633/1972. In particolare, in sede di legittimità, il contribuente si è difeso asserendo di aver fornito giustificazioni non generiche riguardo alle movimentazioni bancarie svolte, le quali sarebbero risultate relative a operazioni non fiscalmente rilevanti.
Con l’ordinanza in esame, la Corte di cassazione ha rigettato l’impugnazione proposta, concludendo per la validità dell’accertamento induttivo effettuato dall’Agenzia.
La motivazione della Corte
Con l’ordinanza 10101/2012, la Corte di cassazione ha innanzitutto rilevato che, dalla lettura della sentenza di secondo grado, si evincono chiaramente gli accertamenti effettuati dalla Commissione tributaria regionale, fondati in particolare sulle risultanze, appositamente richiamate, del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza.
In particolare, dall’esame della sentenza emerge che il contribuente svolgeva abituale attività di mediatore immobiliare e che presso la sua abitazione era stata rinvenuta documentazione extracontabile, consistente in appunti, ricevute e contratti di locazione.
Inoltre, risulta che il contribuente aveva effettuato alcuni versamenti in contanti sul proprio conto corrente bancario, in relazione ai quali non era riuscito però a fornire adeguate giustificazioni, e che lo stesso aveva poi presentato istanza di accertamento con adesione, senza tuttavia fornire la documentazione appositamente richiesta dall’ufficio.
Tali argomentazioni risultano, a parere della Corte, di per sé sufficienti a supportare, nonché a legittimare, la sentenza di secondo grado, con la conseguenza che la motivazione censurata deve ritenersi “pienamente conforme all’insegnamento di questa Corte quanto alla rilevanza probatoria delle verifiche delle movimentazioni bancarie… v. per tutte Cass. 10036/2011”.
In proposito, si evidenzia che, secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia di accertamento induttivo, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù della presunzione di cui al d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 32 – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici -, sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito”.
Inoltre, con particolare riferimento all’ipotesi in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, “è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti”.
In tal senso, oltre alla citata sentenza 10036/2011, vedi Cassazione 4589/2009, 7766/2008, 25365/2007, 9573/2007, 1739/2007, 14675/2006, 7329/2003 e 4601/2002.
Conclusioni
Con l’ordinanza 10101/2012, la Suprema corte ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo, disposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del mediatore immobiliare, in quanto fondato su versamenti ingiustificati presenti nel conto corrente del contribuente, nonché sul reperimento di contratti di locazione, con riferimento ai quali non era stato dichiarato alcun reddito.
La Cassazione ha ulteriormente ribadito l’orientamento secondo il quale, nei casi in cui l’accertamento tributario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, spetta al contribuente, tenuto conto dell’inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non siano riferibili a operazioni imponibili, mentre per l’Amministrazione finanziaria è sufficiente allegare i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti.
Ne deriva che, a giudizio della Cassazione, con riferimento all’attività di mediazione immobiliare, il riscontro sul conto corrente di versamenti non giustificati e il reperimento di contratti di locazione non conosciuti dal Fisco risultano indici di un reddito imponibile non dichiarato.
Michela Grisini
nuovofiscooggi.it