Cane ritrovato, uomo condannato? La Cassazione ci mette una pezza
Ritrovare un cane e tenerlo con sé non è sempre una buona azione. A volte, almeno secondo alcuni giudici liguri, si tratta di un reato, più precisamente di appropriazione indebita (art. 647 c.p.). Ci pensa la Cassazione, con la sentenza 11700/12, ad assolvere un amante degli animali.
Il caso – Un uomo riceve, da una persona amica, un cane ritrovato per strada. Lui, amante degli animali, se ne prende cura e lo fa “microchippare”, iscrivendolo all’anagrafe canile regionale. Quando, però, salta fuori il padrone del cane, si instaura un processo avanti al giudice di pace, proseguito poi in appello. L’esito dei due processi? Condanna dell’amante degli animali a 1.200 euro di multa per il reato di appropriazione indebita (art. 647 c.p.). L’imputato, allora, ricorre per cassazione dove, dei tre motivi di ricorso, viene accolto il secondo, con la quale si contesta la sussistenza dell’elemento psicologico. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, afferma che, nel caso di specie, il cane non aveva nessun segno di riconoscimento al momento del ritrovamento e, inoltre, l’imputato era venuto in possesso dell’animale solo attraverso una terza persona. È evidente dunque – precisano gli Ermellini – l’assoluta buona fede dell’imputato che deve essere mandato assolto dal delitto a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato. La sentenza impugnata viene quindi annullata senza rinvio.