Rimborsi fiscali. Da provare l’illegittimità del silenzio rifiuto – Cassazione Civile, Sentenza n. 6246/2012
La Corte di cassazione ha stabilito, con ordinanza del 20 aprile 2012, n. 6246, che spetta al contribuente che impugna il silenzio rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso dimostrare l’illegittimità del diniego; l’Amministrazione finanziaria, da parte sua, non è vincolata a una specifica motivazione di rigetto.
Il fatto
Sul silenzio rifiuto opposto dall’ufficio – per mancanza dei requisiti previsti – a istanza di rimborso Irpef liquidata sulla somma ricevuta a titolo di incentivo all’esodo, ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, del Dpr n. 917/1986, vigente ratione temporis, il contribuente adiva la Commissione tributaria provinciale che accoglieva il ricorso.
La Commissione regionale confermava il primo giudicato, ritenendo che le questioni afferenti la data di cessazione dal lavoro, il compimento del requisito dell’età anagrafica del contribuente e la data di effettiva erogazione del trattamento, costituissero nuova eccezione (perché non fatta oggetto di rilievo in primo grado da parte dell’Amministrazione finanziaria) e non potessero, quindi, essere proposte in appello.
L’ente soccombente propone ulteriore impugnazione in sede di legittimità per avere, la Commissione del riesame, erroneamente interpretato l’articolo 57, comma 2, del Dlgs 546/1992, ritenendo che la questione afferente l’età anagrafica del contribuente al momento della cessazione del rapporto di lavoro concernesse un’”eccezione in senso stretto”, perciò rientrante nel divieto bus novo rum, anziché una “mera difesa” rilevabile in qualunque fase del processo.
La decisione
Il ricorso viene accolto dalla Cassazione, la quale chiarisce innanzitutto che ai fini del decidere è ininfluente la circostanza sollevata dalla difesa avversa a proposito del riferimento cronologico per l’applicazione dell’aliquota prevista dall’articolo 17, comma 4-bis, del Tuir, atteso che nel contesto di cui trattasi non è in considerazione il momento della tassazione bensì la sussistenza dei requisiti di fatto previsti dalla disposizione come presupposti per l’applicazione del beneficio dell’incentivazione dell’esodo (cfr Cassazione, 26395/2005). Infatti, il comma 4-bis richiedeva il superamento dei 50 anni d’età per le donne e dei 55 per gli uomini. In tal caso l’imposta si applicava con l’aliquota pari alla metà di quella dovuta per la tassazione del trattamento di fine rapporto.
La Suprema corte ha poi stabilito che spetta al contribuente che impugna il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dimostrare l’illegittimità del rifiuto, mentre l’Amministrazione finanziaria, da parte sua, può difendersi a tutto campo non essendo vincolata a una specifica motivazione di rigetto.
Infatti, costituisce principio consolidato (Cassazione, sentenze 7789/2006 e 3338/2011), quello secondo cui la disposizione dettata dall’articolo 57, comma 2, del Dlgs n. 546/1992, non limita affatto la possibilità dell’Agenzia di difendersi in giudizio e di impugnare la sentenza che lo conclude, ma riguarda le eccezioni in senso tecnico – ossia lo strumento processuale con cui il contribuente (convenuto in senso sostanziale) fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale –, le quali non sono proponibili per la prima volta in appello (Cassazione, sentenze n. 11265/2003 e n. 4335/2002), a meno che non siano rilevabili anche d’ufficio (Cassazione 10112/2002 e 8352/2002).
Per converso, la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio non rientra nel suddetto divieto, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono a loro volta eccezioni in senso tecnico (Cassazione, sentenza 5895/2002).
Ciò in quanto il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa, effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla luce dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati.
Il ricorso introduttivo del giudizio, così, fissa e cristallizza le contestazioni del contribuente sin dalla nascita del rapporto processuale tributario; in tal modo, le domande e le eccezioni proposte dalle parti vengono rigidamente delimitate (Cassazione, sentenze 9754/2003, 8182/2007, 17119/2007 e 27209/2009). Dalla natura impugnatoria del sistema processuale tributario discende quindi, quale diretto corollario, il divieto di proporre eccezioni “nuove” che si risolvano in un mutamento, in fase d’appello, dell’originaria impostazione del ricorso (Cassazione, sentenze 7789/2006 e 22010/2006).
Di conseguenza, eventuali “falle” del ricorso introduttivo – come le chiama il giudice di legittimità – possono essere eccepite in appello dall’Amministrazione finanziaria a prescindere dalla preclusione contenuta nell’articolo 57 del Dlgs n. 546/1992, in quanto, comunque, attengono all’originario thema decidendum (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), con il solo limite del giudicato (Cassazione n. 11682/2007).
Salvatore Servidio
nuovofiscooggi.it