Penale

Il reato di evasione si configura a prescindere dalla falsità ideologica o materiale degli atti contabili – Cassazione Penale, Sentenza 16011/2012

La dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture materialmente false, o altra documentazione contabile di analoga efficacia probatoria, non può farsi rientrare nella diversa ipotesi della “dichiarazione infedele”, pena la manifesta illogicità delle sanzioni penali in materia tributaria. È quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza 16011 del 27 aprile. A seguito dell’imputazione, nei confronti di un contribuente, del reato di associazione a delinquere (articolo 416 codice penale) e di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2, Dlgs 74/2000), il Gip ha emanato un atto di sequestro preventivo per equivalente. Il contribuente era stato accusato di aver detratto indebitamente, mediante falsa dichiarazione, alcune spese mediche.

In seguito, il Tribunale, con ordinanza, ha proceduto all’annullamento del sequestro, escludendo la sussistenza della fattispecie delittuosa della dichiarazione fraudolenta.
Secondo i magistrati, il reato previsto dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000 si sarebbe configurato solo nel caso in cui fossero state utilizzate fatture ideologicamente false, mentre, nel caso di specie, la condotta posta in essere dal contribuente ricade nella fattispecie antigiuridica prevista dal successivo articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), se non addirittura nell’articolo 4 (dichiarazione infedele).
Comunque sia, l’ordinanza di annullamento del sequestro per equivalenti emessa dal Tribunale aveva risolto radicalmente la questione indicando che “… nel caso oggetto di indagine non risultava superata la soglia di imposta evasa necessaria perché la condotta acquistasse rilievo penale, nessuna violazione penalmente rilevante fosse configurabile con conseguente illegittimità del sequestro per equivalente, che veniva, pertanto, revocato”.

Questa decisione viene impugnata per vizi di legge e di motivazione dell’ordinanza.

Il pubblico ministero, nel ricorso d’appello, aveva evidenziato come il reato di dichiarazione fraudolenta si configuri sia nel caso di utilizzazione di documentazione ideologicamente falsa, sia nel caso di effettuazione di operazioni inesistenti sotto il profilo materiale.
L’accusa pone l’accento, in merito alla configurazione del reato di frode fiscale, sull’inesistenza dell’operazione economica rilevata nella dichiarazione dei redditi, sostenendo che tale inesistenza si manifesti sia nel caso di “formazione ex novo di un documento falso”, sia nel caso in cui venga utilizzato il documento ideologicamente falso, emesso nei confronti dell’utilizzatore.

La decisone della Corte
La Cassazione, con la sentenza n. 16011 del 27 aprile, accogliendo il ricorso del procuratore della Repubblica, ha chiarito che è punibile per frode fiscale chi detrae indebitamente, dall’imposta finale, le spese sanitarie producendo, a tal fine, documenti falsi: non è rilevante che siano materialmente o ideologicamente falsi.
Il Collegio evidenzia come il Tribunale, annullando il sequestro per equivalente, si sia posto in netto contrasto con quanto la giurisprudenza della Corte abbia negli anni affermato.
Il reato (articolo 2, comma 1, Dlgs 74/2000) si configura qualora vengano indicati in dichiarazione elementi passivi fittizi, al fine dell’abbattimento dell’imposta finale, per mezzo della produzione di fatture false, sia sotto il profilo ideologico che materiale.

Secondo la Corte, il Tribunale, erroneamente, non ha voluto sostenere la tesi dell’equiparazione della falsità materiale e della falsità ideologica, principio, tra l’altro, già espresso nella sentenza 12284/2007, che ha equiparato le schede carburanti alle fatture.

Tenendo conto del valore letterale dell’articolo 1 del Dlgs 74/2000, in forza del quale viene punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni “chiunque, alfine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi” intendendo per fatture o documenti “aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”, si evince chiaramente che il fenomeno evasivo in questione necessiti da un lato l’inesistenza dell’operazione economica, dall’altro la presenza del documento contabile che attesti l’effettività dell’operazione; quest’ultimo può essere costituito da fattura o da altro documento contabile, secondo le regole tributarie.

La differenziazione effettuata dal Tribunale, falsità materiale e falsità ideologica, rileva al sol fine di inquadrare penalmente le ipotesi di falsificazione da parte del pubblico ufficiale e, dunque, tale distinzione risulta essere rilevante solo ai fini dei reati contro la fede pubblica.
Con sentenza n. 16011/2012, giudici di legittimità ricomprendono nella nozione di “falso materiale”, piuttosto che in quella di falso ideologico, le fatture e gli altri documenti emessi su operazioni totalmente inesistenti.

Infatti, la ratio incriminatrice della norma espressa dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000 va individuata nel valore probatorio attribuito alle fatture o agli altri documenti contabili.
Ai fini della configurazione del reato di frode fiscale occorre che gli elementi dei documenti fittizi corrispondano, anche solo apparentemente, ai requisiti che debbono avere i documenti contabili secondo quanto stabilito dall’articolo 21, del Dpr 633/1972.
Ciò che rileva è l’equipollenza tra l’altro tipo di documento e la fattura; ne deriva pertanto che a nulla rileva se la falsità di quanto prodotto in dichiarazione sia inficiato da falsità ideologica o materiale.

Per quanto concerne il secondo punto del ricorso, quello sul mancato superamento della soglia di punibilità, la Corte non condivide la decisione del Tribunale. In tal caso, rileva la maggiore pericolosità della condotta posta in essere dal contribuente, sia sul piano tributario che sul piano probatorio, il che fa saltare la preventiva fissazione di soglie di evasione al fine della punizione penale.

Valerio Giuliani
nuovofiscooggi.it

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