Corte Costituzionale

Espropriazione di terreni da parte dell’Opera di valorizzazione della Sila (OVS) – Corte Costituzionale, Sentenza n. 61/2012

dichiara l’illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1230 (Trasferimento in proprietà all’Opera per la valorizzazione della Sila di terreni di proprietà di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa Severina – Catanzaro), in quanto ha compreso nella espropriazione particelle di terreno non appartenenti al soggetto espropriato.

Corte Costituzionale, Sentenza n. 61 del 21/03/2012

Espropriazione per pubblica utilità – Espropriazione di terreni da parte dell’Opera di valorizzazione della Sila (OVS) – Inclusione di terreno risultante, in base ai dati catastali, di proprietà di soggetto diverso dal reale proprietario non destinatario del provvedimento di espropriazione.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1230 (Trasferimento in proprietà all’Opera per la valorizzazione della Sila di terreni di proprietà di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa Severina – Catanzaro), promosso dalla Corte di appello di Catanzaro nel procedimento vertente tra Cirillo Emilia ed altra e l’ARSSA – Agenzia regionale sviluppo e servizi in agricoltura, con ordinanza del 28 febbraio 2011, iscritta al n. 207 del registro ordinanze 2011, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto in fatto

1.— La Corte di appello di Catanzaro, con ordinanza del 28 febbraio 2011, ha sollevato, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, ed in relazione agli articoli 2 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (Provvedimenti per la colonizzazione dell’Altopiano della Sila e dei territori ionici contermini), questione di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1230 (Trasferimento in proprietà all’Opera per la valorizzazione della Sila di terreni di proprietà di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa Severina – Catanzaro), nella parte in cui ha incluso nell’espropriazione dallo stesso disposta il terreno sito in agro di Santa Severina, riportato in catasto alle particelle 33 e 91 del foglio 23, non appartenente al soggetto espropriato, Prever Ada, ma di proprietà del dante causa delle attrici nel giudizio principale.

2.— L’ordinanza di rimessione premette che Cirillo Emilia e Ciocci Santa Teresa hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Crotone l’Agenzia regionale sviluppo e servizi in agricoltura (ARSSA), deducendo di essere proprietarie del fondo S. Antonio in agro di Santa Severina esteso ha 6.37,60, loro pervenuto per successione legittima a Cirillo Luigi (al quale era pervenuto per successione a Cirillo Fortunato, che lo aveva acquistato, quale parte di maggiore estensione, da Berlingieri Francesca) e che, in attuazione della legge n. 230 del 1950, la maggior parte di tale fondo, in catasto al foglio 23, particelle 33 e 91, «era stata inclusa per errore nel piano di esproprio in danno della Prever Ada fu Giovanni e per l’effetto riportato in Catasto Terreni del Comune di Santa Severina in testa all’O.V.S. (Opera Valorizzazione Sila)».

Posta tale premessa, le attrici chiedevano che fosse riconosciuto e dichiarato il loro diritto di proprietà sul predetto fondo. All’esito del giudizio, nel quale si era costituita l’ARSSA, il Tribunale di Crotone, con sentenza del 23 maggio 2002, rigettava la domanda.

Avverso detta sentenza proponevano appello Cirillo Emilia e Ciocci Santa Teresa, deducendo, tra l’altro, che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto applicabile l’art. 14 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla legge 17 agosto 1942, n. 1150; legge 18 aprile 1962, n. 167; legge 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata).

Nel giudizio di appello si costituiva l’ARSSA, chiedendo il rigetto del gravame, ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

2.1.— Sintetizzata in tal modo la vicenda processuale, il giudice a quo solleva, in riferimento agli articoli 76 e 77 Cost., ed in relazione agli artt. 2 e 5 della legge n. 230 del 1950, questione di legittimità costituzionale del d.P.R. n. 1230 del 1951, ritenendola rilevante, poiché i documenti prodotti dalle attrici e le risultanze della CTU «hanno permesso di appurare» che Fortunato Cirillo aveva acquistato i fondi in questione, con atto per notaio Nicola Cizza di Crotone in data 15 aprile 1930. Fortunato Cirillo era deceduto il 28 maggio 1958 e, tuttavia, «con l’avvento del Nuovo Catasto Terreni, i cui atti sono entrati in conservazione il 1° gennaio 1943, dette particelle sono state incluse per errore in un quoziente del fondo “S. Antonio” ed intestate ad Ada Prever». In particolare, la CTU ha accertato che detti fondi, «erroneamente accatastati a nome di Prever Ada», con d.P.R. n. 1230 del 1951, furono espropriati in favore dell’O.V.S. (alla quale «rimangono ancora intestati») ed in danno di Ada Prever, che incassò la relativa indennità.

Secondo l’ordinanza di rimessione, «tali particelle, al momento dell’esproprio, erano dunque in proprietà, in virtù di giusto titolo legittimamente trascritto, di Cirillo Fortunato», il quale, a sua volta, le aveva trasferite, per successione testamentaria, aperta in data 28 maggio 1958, a Cirillo Luigi e da questi erano pervenute alle appellanti, per successione legittima aperta in data 9 giugno 1975. Pertanto, queste ultime sarebbero legittimate ad agire ed il d.P.R. n. 1230 del 1951 avrebbe erroneamente compreso nell’elenco dei beni espropriati a Prever Ada terreni non di proprietà della predetta.

Ad avviso del giudice a quo, l’art. 14 della legge n. 865 del 1971, in virtù del quale «pronunciata l’espropriazione, e trascritto il relativo provvedimento, tutti i diritti relativi agli immobili espropriati possono essere fatti valere esclusivamente sull’indennità anche nel caso previsto nell’ultimo comma dell’art. 13», non sarebbe applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio principale, in quanto quest’ultima è disciplinata da «una legge speciale», qual è la legge n. 230 del 1950, entrata in vigore ben 21 anni prima, ed il cui art. 2, primo comma, stabilisce: «Ai fini della presente legge, sono soggetti ad espropriazione i terreni di proprietà privata suscettibili di trasformazione, i quali, computate anche le proprietà situate fuori del territorio indicato nell’art. 1, appartengono, a qualsiasi titolo, in comunione o pro-indiviso, a singole persone o società che, al 15 novembre 1949, avevano più di trecento ettari».

La questione di legittimità costituzionale del d.P.R. n. 1230 del 1951 sarebbe, quindi, rilevante, poiché non sarebbe possibile la «disapplicazione incidentale di un atto non avente forza e valore di provvedimento amministrativo, ma di legge ordinaria», tale essendo il rango di detto decreto.

2.2.— Relativamente alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, l’ordinanza di rimessione espone che l’art. 2, primo comma, della legge n. 230 del 1950 stabilisce che potevano essere espropriati «i terreni di proprietà privata suscettibili di trasformazione, i quali, computate anche le proprietà situate fuori del territorio indicato nell’art. 1, appartengono, a qualsiasi titolo, in comunione o pro-indiviso, a singole persone o società che, al 15 novembre 1949, avevano più di trecento ettari».

L’art. 5 della stessa legge dispone, inoltre, che «il Governo, per delegazione concessa con la presente legge, e secondo i principi e i criteri direttivi definiti dalla legge medesima, sentito il parere di una commissione composta di tre senatori e di tre deputati eletti dalle rispettive Camere, provvede, entro il 31 dicembre 1951, con decreti aventi valore di legge ordinaria: a) all’approvazione dei piani particolareggiati di espropriazione; b) alle occupazioni di urgenza dei beni sottoposti ad espropriazione; c) ai trasferimenti dei terreni indicati nell’art. 3 in favore dell’Opera. La emanazione dei decreti, di cui al presente articolo, può avvenire anche in pendenza della determinazione definitiva dell’indennità ai sensi del successivo art. 7».

Secondo la Corte di appello, da dette norme risulterebbe che avrebbero potuto costituire oggetto di espropriazione esclusivamente i fondi che, alla data del 15 novembre 1949, «appartenevano a soggetti proprietari complessivamente di più di trecento ettari di terreno, come risultanti dai titoli di proprietà e non semplicemente dalle risultanze catastali, aventi un valore semplicemente indicativo». Il d.P.R. n. 1230 del 1951 avrebbe, invece, disposto l’espropriazione di fondi di proprietà di Cirillo Fortunato, nonostante che questi, «come risulta dalla CTU espletata», non fosse «certamente proprietario di una così rilevante estensione di terreno, essendo la consistenza totale dei suoi terreni di ha 24.69.00, oltre al fondo per cui è causa, della consistenza di complessivi ha 5.12.30».

Pertanto, ad avviso del rimettente, la sollevata questione di legittimità costituzionale sarebbe non manifestamente infondata, poiché sarebbero stati violati i criteri direttivi stabiliti dagli artt. 2 e 5 della legge delega n. 230 del 1950, «sotto due distinti profili: a) nella parte in cui ha incluso nell’espropriazione terreni non appartenenti al soggetto espropriato, in quanto, indipendentemente dalle scritture catastali (che non rivestono valore probatorio ai fini dell’accertamento della proprietà privata), ha ad oggetto beni non appartenenti al destinatario del provvedimento espropriativo, poiché precedentemente acquistati in virtù di atto di compravendita, da altro soggetto; b) nella parte in cui, in violazione dei criteri direttivi contenuti negli artt. 2 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, che prevedeva la delega al Governo per l’adozione di decreti avente valore di legge ordinaria per l’approvazione di piani particolareggiati di espropriazione, per le occupazioni di urgenza e per i trasferimenti di terreni di proprietà di soggetti complessivamente proprietari, al 15 novembre 1949, di più di trecento ettari di terreno, ha proceduto all’espropriazione di beni appartenenti a Cirillo Fortunato, contadino (così qualificato nell’atto pubblico di acquisto, in data 15 aprile 1930), non avente tali requisiti».

Infine, conclude l’ordinanza di rimessione, una questione di legittimità costituzionale analoga a quella in esame, avente ad oggetto un’espropriazione ex lege 21 ottobre 1950, n. 841 (Norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini), sarebbe stata ritenuta fondata dalla sentenza di questa Corte n. 319 del 1995, della quale riporta ampi brani.

3.— Nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

3.1.— L’interveniente, in linea preliminare, eccepisce che la questione sarebbe inammissibile, «non risultando comprensibili i puntuali termini e i fatti oggetto del giudizio a quo». L’ordinanza di rimessione non chiarirebbe, infatti, se sussista la legittimazione passiva dell’ARSSA ed a quale titolo; non indicherebbe se il dante causa delle appellanti abbia richiesto la rettifica disciplinata dall’art. 4 della legge n. 230 del 1950, allo scopo di accertare la proponibilità della domanda; non precisa che «il terreno fu (come presumibilmente fu) venduto a terzi e chi lo acquistò e chi ne è l’attuale proprietario, anche per garantire l’integrità del contraddittorio»; non indicherebbe la data in cui è stato iniziato il giudizio di primo grado, «al fine di verificare decadenze e usucapioni», essendo quest’ultima, presumibilmente, maturata, «non risultando neppure se le plurime successioni nella famiglia Cirillo siano state trascritte».

Nel merito, la questione sarebbe infondata, poiché l’espropriazione è stata legittimamente effettuata nei confronti di colui che risultava proprietario sulla scorta delle risultanze catastali, non essendo possibile imporre ad un terzo, qual è l’amministrazione dello Stato, di accertare l’effettiva proprietà dei terreni facenti parte dell’Altopiano della Sila.

Secondo l’Avvocatura generale, sarebbe stato onere dell’effettivo proprietario controllare l’intestazione catastale e «richiedere all’epoca la rettifica, per la parte di suo interesse, del piano particolareggiato, pubblicato, a tale fine», in ciascun comune e nel Foglio annunci legali, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 230 del 1950.

Il richiamo della sentenza n. 319 del 1995 sarebbe, inoltre, inconferente, poiché nella legge n. 230 del 1950 «non si parla di “proprietari”, ma di “appartenenza”, a qualsiasi titolo, […] a singole persone o società e si dà facoltà a qualsiasi interessato di richiedere la rettifica del piano particolareggiato, se errato».

Infine, il denunciato vizio di eccesso di delega non sussisterebbe anche perché il d.P.R. n. 1230 del 1951 «ricomprese nell’espropriazione il terreno del Sig. Cirillo per lamentato errore risultante dagli atti catastali» che, tuttavia, non sarebbe conseguito a tale vizio, ma sarebbe «frutto di un’errata risultanza catastale, non superabile dall’Amministrazione con l’accertamento dell’effettiva proprietà di tutti i terreni facenti parte dell’Altipiano della Sila».

Considerato in diritto

1.— La Corte di appello di Catanzaro dubita della legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1230 (Trasferimento in proprietà all’Opera per la valorizzazione della Sila di terreni di proprietà di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa Severina – Catanzaro), in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, ed in relazione gli artt. 2 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (Provvedimenti per la colonizzazione dell’Altopiano della Sila e dei territori ionici contermini), nella parte in cui ha incluso nell’espropriazione dallo stesso disposta il terreno sito in agro di Santa Severina, riportato in catasto alle particelle 33 e 91 del foglio 23, non appartenente al soggetto espropriato, Prever Ada, ma di proprietà del dante causa delle attrici nel giudizio principale.

Questa Corte è chiamata a decidere se il d.P.R. n. 1230 del 1951, in tale parte, violi i criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 230 del 1950, sotto un primo profilo, in quanto ha assoggettato ad espropriazione beni non appartenenti al destinatario del provvedimento espropriativo; sotto un secondo profilo, in quanto ha assoggettato ad espropriazione detto terreno, benché appartenente ad un soggetto proprietario di fondi di estensione inferiore a quella di trecento ettari.

2.— L’interveniente ha eccepito l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, poiché non sarebbero comprensibili i «termini e i fatti oggetto del giudizio a quo» ed il rimettente non avrebbe chiarito se sussista la legittimazione passiva dell’Agenzia regionale sviluppo e servizi in agricoltura (ARSSA). A suo avviso, l’ordinanza di rimessione non avrebbe, poi, offerto le indicazioni necessarie allo scopo di accertare se il suindicato terreno sia stato alienato e sia stata garantita l’integrità del contraddittorio, nonché «al fine di verificare decadenze e usucapioni» e l’avvenuta trascrizione dei trasferimenti in favore delle attrici del processo principale.

2.1.— L’eccezione non è fondata.

In linea preliminare, occorre ribadire che i decreti di esproprio emanati in virtù della delega contenuta nelle leggi di attuazione della riforma fondiaria hanno «contenuto legislativo» e, quindi, sono soggetti al controllo di legittimità costituzionale (tra le molte, sentenze n. 10 del 1959 e n. 136 del 1976; in relazione agli omologhi decreti emanati ai sensi della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in tal senso, per tutte, sentenze n. 60 del 1957 e n. 319 del 1995). Inoltre, va ricordato che questa Corte, chiamata frequentemente a sindacare la legittimità di detti decreti legislativi (riconducibili al genus della legge-provvedimento), sotto il profilo dell’eccesso di delega, ha costantemente ritenuto sussistente il carattere incidentale del giudizio (ex plurimis, dalla sentenza n. 59 del 1957 sino alla sentenza n. 319 del 1995) e già nelle più risalenti pronunce ha chiarito che una siffatta questione non riguarda «il titolo della domanda giudiziale principale», poiché ad essa è demandato l’accertamento degli eventuali vizi di legittimità costituzionale di detti decreti, restando riservata all’autorità giurisdizionale «ogni altra questione, e le attività di applicazione delle premesse poste dalla decisione» (sentenza n. 59 del 1957).

L’accertamento dei presupposti di fatto attiene, infatti, «a quel giudizio di rilevanza che è esclusiva competenza del giudice a quo» (sentenza n. 99 del 1969), da ritenersi compiutamente svolto quando questi abbia dato atto della loro sussistenza (da ultimo, sentenza n. 319 del 1995). La pronuncia resa da questa Corte sulla questione di legittimità costituzionale non preclude, quindi, la riesaminabilità di detti presupposti nei successivi gradi del processo principale (sentenza n. 78 del 1961; analogamente, sentenza n. 59 del 1957), restando escluso che, per la rilevanza della questione, debba formarsi la cosa giudicata sul punto controverso, pena la violazione dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (sentenza n. 78 del 1961). Il «riscontro dell’interesse ad agire e la verifica della legittimazione delle parti» sono, dunque, «rimessi alla valutazione del giudice rimettente, attenendo entrambi alla rilevanza dell’incidente di costituzionalità e non sono suscettibili di riesame ove sorretti da una motivazione non implausibile» (sentenze n. 270 del 2010, n. 50 del 2007 e n. 173 del 1994), non rientrando tra i poteri di questa Corte «quello di sindacare, in sede di ammissibilità, la validità dei presupposti di esistenza del giudizio a quo, a meno che questi non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti» (sentenze n. 270 del 2010 e n. 62 del 1992).

Nel quadro di detti principi, va osservato che l’ordinanza di rimessione dà atto che la domanda è stata proposta nei confronti dell’ARSSA (istituita con legge della Regione Calabria 14 dicembre 1993, n. 15, alla quale la legge della stessa Regione 7 marzo 2000, n. 10, ha attribuito le attività relative ai beni immobili di riforma fondiaria nella stessa precisate), che si è costituita nel processo principale, senza che risulti sollevata contestazione di sorta in ordine alla legittimazione passiva della medesima. Il rimettente ha poi esplicitato che il processo principale ha ad oggetto il diritto delle attrici conseguente all’accertamento della titolarità del diritto di proprietà su parte dei terreni espropriati e, come si precisa di seguito, ha diffusamente motivato in ordine alla sussistenza di siffatto presupposto, indispensabile ai fini della rilevanza della questione di costituzionalità. In particolare, il giudice a quo ha espressamente dato atto dell’esito positivo di tale accertamento, enunciando una conclusione che dimostra come egli abbia avuto cura di riscontrare la ricorrenza delle condizioni dell’azione proposta ed il difetto dei profili ostativi genericamente evocati dall’interveniente per contestare, non fondatamente, l’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale.

La sopravvenuta abrogazione della legge delega n. 230 del 1950 (da parte dell’art. 58 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325, a far data dall’entrata in vigore del medesimo – art. 59 dello stesso decreto – e dell’art. 58 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, con la decorrenza indicata nell’art. 59 del medesimo), non incide, infine, sull’applicabilità ratione temporis della medesima e, quindi, sulla rilevanza della questione.

3.— Nel merito, il primo profilo di censura è fondato.

Nel decidere questioni identiche a quella in esame, aventi ad oggetto decreti di espropriazione emanati in forza della delega attribuita al Governo dalla legge n. 230 del 1950, questa Corte ha affermato che, in base alle norme ed ai principi e criteri direttivi della delega, «i dati catastali» «non possono essere considerati vincolanti nel procedimento di espropriazione per la riforma fondiaria», non rilevando, in contrario, «la norma contenuta nell’art. 16 della legge 25 giugno 1865, n. 2359». L’espropriazione prevista dalle leggi di riforma fondiaria non mira, infatti, «a trasferire da un soggetto a un altro un determinato bene, ma invece, a sottrarre parte del patrimonio a un soggetto che si trovi nelle condizioni previste dalle leggi di riforma» e, quindi, non è indifferente, «com’è nel caso di espropriazione per pubblica utilità, che si proceda contro chi sia soltanto apparentemente proprietario di un bene» (sentenza n. 57 del 1959; analogamente, sentenze n. 10 del 1959 e n. 7 del 1961; identico principio è stato affermato in riferimento ai decreti espropriativi emanati in forza della delega contenuta nell’omologa legge n. 841 del 1950, ex plurimis, sentenze n. 319 del 1995, n. 3 del 1987 e n. 8 del 1959).

Questa Corte ha anche già deciso, giudicandola non fondata, un’eccezione identica a quella con la quale, nel presente giudizio, l’interveniente ha dedotto che il giudice a quo ha omesso di indicare se il dante causa delle appellanti nel processo principale abbia richiesto la rettifica disciplinata dall’art. 4 della legge n. 230 del 1950, e ciò allo scopo di accertare la proponibilità della domanda. Al riguardo, è, quindi, sufficiente ribadire che «il ricorso che ai sensi dell’art. 4 della legge 12 maggio 1950, n. 230, può essere proposto nel termine di 25 giorni contro i piani di espropriazione non può sostituire ogni altro mezzo che l’ordinamento prevede per la tutela dei diritti soggettivi; e il non proporlo nei termini fissati non può importare se non la decadenza dal diritto di esperire quel mezzo di tutela, previsto per fini limitati e nell’ambito del procedimento di espropriazione» (sentenza n. 57 del 1959; analogamente, sentenza n. 10 del 1959). Infine, appare non implausibile la premessa interpretativa del rimettente, secondo la quale alla fattispecie oggetto del processo principale non è applicabile l’art. 14 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (in virtù del quale, pronunciata l’espropriazione, tutti i diritti relativi all’immobile espropriato possono essere fatti valere esclusivamente sull’indennità), in quanto essa deve ritenersi disciplinata esclusivamente dalla legge n. 230 del 1950, «entrata in vigore ben 21 anni prima», e – può aggiungersi – in considerazione del costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, orientata nel ritenere inapplicabili le norme concernenti l’espropriazione per pubblica utilità all’espropriazione disposta ai sensi delle leggi di attuazione della riforma fondiaria (tra le tante, Cass. 1° marzo 1986, n. 1308; Cass. 9 gennaio 2009, n. 323).

Alla luce di siffatti principi, va osservato che l’ordinanza di rimessione espone che «i documenti prodotti dagli appellanti nel primo grado di giudizio e le risultanze della CTU» hanno permesso di appurare che i terreni de quibus «furono acquistati per atto rogito a notaio Nicola Cizza in Crotone in data 15 aprile 1930 da Cirillo Fortunato […]» e che le relative «particelle sono state incluse per errore in un quoziente del fondo “S. Antonio” ed intestate a Prever Ada». Il consulente tecnico d’ufficio ha, quindi, accertato che «tali terreni, erroneamente accatastati a nome di Prever Ada, furono espropriati dall’O.V.S. con d.P.R. n. 1230 del 4 novembre 1951», benché, «al momento dell’esproprio» fossero «in proprietà, in virtù di giusto titolo legittimamente trascritto, di Cirillo Fortunato». Il rimettente ha, inoltre, anche indicato che quest’ultimo «aveva in seguito trasmesso dette particelle, per successione testamentaria apertasi in data 28.5.1958, a Cirillo Luigi […], che, a sua volta, le aveva trasmesse, per successione intestata apertasi in data 9.6.1975, agli attuali appellanti» ed ha concluso affermando espressamente che il d.P.R. n. 1230 del 1951 «ha erroneamente ricompreso nell’elenco di beni espropriati a Prever Ada, particelle che non erano nella proprietà di quest’ultima».

Ne deriva che l’avere il decreto delegato in esame identificato il soggetto nello stesso contemplato quale proprietario di tutti i terreni oggetto del medesimo, mentre il vero dominus di alcuni di essi è un soggetto diverso, configura eccesso di delega in relazione a quelli oggetto di contestazione. Nel contrasto tra intestazione catastale e prova giuridica dell’acquisto del diritto di proprietà, quest’ultima deve prevalere agli effetti di cui trattasi, con la conseguenza che l’espropriazione in esame poteva legittimamente essere effettuata solo riguardo alle porzioni di terreno che appartenevano al soggetto espropriato, quale indicato nel succitato decreto.

In conclusione, il d.P.R. n. 1230 del 1951, in quanto ha compreso nell’esproprio terreni intestati alla ditta Prever Ada, ma non appartenenti alla medesima (identificati nell’ordinanza di rimessione con le particelle 33 e 91 del foglio 23), ha esorbitato dai limiti della delega e, conseguentemente, va dichiarato, per questa parte, illegittimo per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, restando assorbito l’ulteriore profilo di censura.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale non travolge le restanti parti del decreto aventi autonoma efficacia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1230 (Trasferimento in proprietà all’Opera per la valorizzazione della Sila di terreni di proprietà di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa Severina – Catanzaro), in quanto ha compreso nella espropriazione particelle di terreno non appartenenti al soggetto espropriato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2012.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *