Quantificabile la plusvalenza della cessione d’azienda con vitalizio – Cassazione Civile, Sentenza n. 1175/2012
La Suprema corte, di recente (sentenza 27 gennaio 2012, n. 1175), è tornata a pronunciarsi sul tema della “sussumibilità della rendita vitalizia” tra i corrispettivi in ordine ai quali è possibile determinare una plusvalenza tassabile. Dal punto di vista civilistico, la cessione d’azienda con costituzione di vitalizio si configura come un’operazione mediante la quale, a fronte della cessione dell’insieme coordinato dei beni d’impresa, viene riconosciuto al cedente il diritto a ricevere una prestazione periodica che, ai sensi dell’articolo 820 del codice civile, deve essere ricompresa tra i “frutti civili”. L’articolo 1872 cc, in tema di modi di costituzione, prevede che “La rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile o mediante cessione di capitali (…)”.
Sul piano fiscale, la specifica disciplina delle rendite vitalizie è dettata dall’articolo 50, comma 1, lett. h), del Tuir, in base al quale le stesse sono trattate alla stregua dei redditi assimilati a quello di lavoro dipendente. Dibattuta è quindi la configurabilità di plusvalenze imponibili nel caso di cessioni di azienda con costituzione di rendita vitalizia.
Secondo l’articolo 54 del Dpr 917/1986, nel testo vigente all’epoca dei fatti trattati nella controversia in esame, “Le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 53, concorrono a formare il reddito: a) se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso; b) se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni; c) se sono iscritte nello stato patrimoniale; d) se i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Nelle ipotesi di cui alle lett. a) e b) del primo comma la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato”.
Il caso analizzato dai giudici di legittimità, nella sentenza in commento, riguarda un avviso di accertamento per maggiore Irpef e Ilor relativo all’anno d’imposta 1996, in cui l’ufficio ha recuperato a tassazione una plusvalenza relativa alla cessione d’azienda (farmacia) con costituzione di una rendita vitalizia.
I giudici del merito avevano accolto le contestazioni sollevate dal contribuente affermando che la rendita vitalizia, ai fini della tassazione, viene assimilata ai redditi da lavoro dipendente e che la plusvalenza non sarebbe determinabile, essendo indeterminabile il prezzo pagato attraverso la costituzione di rendita vitalizia a causa dell’incertezza della durata della stessa rendita.
La Suprema corte, nel ribadire la posizione già assunta con la sentenza 10801/2007, ha affermato che “tale rendita, pur essendo una utilità aleatoria quanto all’ammontare concreto delle erogazioni che in base ad essa verranno eseguite o ricevute, ha un valore economico agevolmente accertabile in base a calcoli attuariali, come emergente dal fatto che le rendite vitalizie hanno un prezzo di mercato e che la capitalizzazione di esse è operazione pacificamente riconosciuta dall’ordinamento. […] ai fini della determinazione del reddito d’impresa, è configurabile una plusvalenza da avviamento commerciale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 54, comma 3, anche nel caso di cessione a titolo oneroso di un’azienda il cui corrispettivo sia rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia: ai fini dell’imputazione del corrispettivo, occorre infatti considerare il momento di stipulazione del contratto, ai sensi del D.P.R. n. 917 cit., art. 75, tenendo conto della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo, e prescindendo da clausole estranee al tipo contrattuale, senza che assuma alcun rilievo il carattere aleatorio della rendita, comunque determinabile sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale”.
D’altronde, sulla questione si era già espresso il Comitato consultivo norme antielusive con parere del 14 ottobre 2005, n. 30, evidenziando che “la plusvalenza da cessione di azienda è tassabile se compiuta con atto a titolo oneroso, da cui derivi un corrispettivo superiore al costo fiscale. La cessione di azienda, con costituzione di rendita vitalizia, costituisce dunque per il cedente realizzo della plusvalenza, pur se il corrispettivo sia costituito dalla costituzione del credito ad una rendita vitalizia, di cui sono beneficiari i soci della società venditrice. Né, per escludere la tassabilità, è sostenibile che la base imponibile non è determinabile, essendo la rendita vitalizia quantificata nel quantum annuo ma non nella durata temporale. Infatti, l’essere il corrispettivo non espresso in cifra fissa non impedisce di determinare il valore del credito alla percezione di una rendita vitalizia. Mediante calcoli attuariali, è determinabile il valore attuale della rendita vitalizia, in funzione delle tabelle di probabilità di sopravvivenza”.
In conclusione, alla luce del segnalato e ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la plusvalenza da cessione di azienda con costituzione di rendita vitalizia – che pacificamente ricomprende anche il valore di avviamento (Cassazione, sentenza 905/2002) – deve considerarsi imponibile al momento della stipula del contratto.
Inoltre, si ritiene che nell’ordinamento tributario italiano costituisca “realizzo” di plusvalenza il risultato, fiscalmente rilevante, connesso alla cessione d’azienda. Esso si concretizza nell’incremento di ricchezza in denaro o in natura in capo al cedente, assoggettabile a tassazione, in quanto rappresenta per il soggetto un incremento patrimoniale netto.
L’atto finale dell’azienda potrebbe essere considerato non realizzativo di plusvalori (e di minusvalori) soltanto in presenza e in applicazione di una norma espressa che ne assicuri la neutralità fiscale. Nell’attuale assetto della disciplina del reddito d’impresa e delle operazioni straordinarie, non sembra rinvenibile alcuna previsione in tal senso.
Marco Viti
nuovofiscooggi.it