Irap e Iva. Se il giudizio sulla validità dell’imposizione è pendente sì all’applicazione delle relative norme – Sentenza Corte di Giustizia Ue
La disciplina sui condoni è di stretta interpretazione e il contribuente che usufruisce della sanatoria con una dichiarazione integrativa invalida, non può giustificarsi solo limitandosi ad allegare la pendenza di giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia Ue sull’incertezza interpretativa della norma. La Cassazione, con la sentenza 22252 del 26 ottobre, così legittima la validità di un ruolo relativo al versamento di sanzioni.
Nella controversia pendente dinanzi alla Corte di cassazione, una società ricorreva contro una sentenza di merito, con la quale si confermava la legittimità della pretesa tributaria che scaturiva dall’impugnata cartella di pagamento.
A tal proposito, i giudici di secondo grado avevano affermato che detta cartella di pagamento conteneva tutti gli elementi idonei a dar luogo all’iscrizione, inclusa la motivazione sintetica delle pretese che scaturivano dal controllo delle dichiarazioni prodotte. Veniva, altresì, precisato che alla fattispecie rappresentata non si applicano le previsioni di condono dettate dall’articolo 9-bis della legge 289/2002.
Tale ultima norma, al comma 1 dispone che “Le sanzioni previste dal D.Lgs 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti d’imposta che alla data del 16 aprile 2003 – poi prorogata al 16 aprile 2004 – provvedono ai pagamenti delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2002, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data”.
Infine, i giudici di secondo grado rilevavano che, con riferimento al pagamento dell’Irap, non sussistevano obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito applicativo della norma tributaria.
Il giudizio
Secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, benché con riferimento a discipline relative a differenti condoni, in presenza di una dichiarazione integrativa invalida, l’Amministrazione finanziaria riacquista i propri poteri di controllo. Ne consegue che, in caso di dichiarazione integrativa invalida o presentata oltre i termini previsti dalla legge, il potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria, si riespande e risorge a tutti gli effetti, senza che occorra l’adozione di uno specifico provvedimento che dichiari l’invalidità della dichiarazione.
Pertanto, al fine di verificare se l’Amministrazione ha proceduto alla corretta iscrizione a ruolo, ai sensi del combinato disposto degli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 e 54-bis del Dpr 633/1972, a seguito della intervenuta inefficacia o invalidità dell’integrativa, è opportuno accertare la sussistenza o meno della invalidità e/o efficacia del condono.
A tal proposito, risulta che l’istanza prodotta ai sensi dell’articolo 9-bis della legge 289/2002 è stata presentata in relazione a ritardati e omessi versamenti Iva.
La Corte fa riferimento, altresì, alla giurisprudenza comunitaria (causa C-132/06 del 17 luglio 2008), secondo cui, con la legge 289/2002, sono state violate le norme di armonizzazione Iva, tramite la rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, in tal modo risultando pregiudicato il corretto funzionamento del sistema.
In linea generale, pertanto, la suddetta incompatibilità dovrebbe riguardare anche l’articolo 9-bis della stessa legge, nella parte in cui consente di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato o omesso versamento dell’Iva.
Ciò che riguarda l’imposta in sé si applica, ovviamente, anche alle sanzioni, delle quali non si può escludere l’esazione, posto che le misure con cui lo Stato membro rinuncia a una corretta applicazione dell’Iva devono ritenersi incompatibili con la disciplina comunitaria anche con riferimento alle sanzioni di natura tributaria previste dall’ordinamento nazionale, per violazioni di norme attinenti a obblighi di dichiarazione e pagamento, nonostante la sesta direttiva comunitaria (77/388/Cee) non regoli espressamente la materia delle sanzioni.
Difatti, si tratta a ogni modo di misure di carattere dissuasivo e repressivo finalizzate ad adempiere obblighi nascenti dal diritto comunitario.
Ciò premesso, i giudici di legittimità ribadiscono, con la sentenza 22252 del 26 ottobre, che le norme relative ai condoni fiscali, in quanto derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario, rivestono natura eccezionale. Quindi, sottolineano che una disciplina, quale quella dettata dall’articolo 9-bis della legge 289/2002, è di stretta interpretazione e non può essere integrata dalle norme generali dell’ordinamento tributario.
Pertanto, in relazione a quanto previsto da tale ultima disposizione, la Corte ritiene che la non applicazione delle sanzioni si verifica esclusivamente se si provvede al pagamento in base alle modalità e nei termini previsti dalla predetta norma; tale effetto non si verifica se questo non avviene.
Da ultimo, la Corte si esprime sulla doglianza espressa in tema di Irap.
Al riguardo, la società lamentava che la necessità di ricorrere alla Corte di giustizia, per dichiarare la legittimità dell’Irap, rendeva oggettivamente incerta l’applicazione della normativa italiana configgente con quella comunitaria.
Tuttavia, l’incertezza normativa che rende il contribuente esente dalla responsabilità amministrativa tributaria postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria.
In altri termini, il procedimento interpretativo della norma dovrebbe dar luogo a un risultato equivoco anche a causa della sussistenza di una pluralità di prescrizioni normative, che renda difficile il coordinamento delle stesse.
Inoltre, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (sentenza 22890/2006), deve gravare sul contribuente l’onere di allegare la ricorrenza di elementi che possano ingenerare confusione.
In particolare, la società contribuente sulla quale grava detto onere non ha allegato la sussistenza di elementi oggettivi che rendano equivoca e incerta l’interpretazione della disciplina in esame, limitandosi ad allegare la pendenza di un giudizio dinanzi alla Corte di giustizia Ue, fatto di per sé non idoneo a determinare incertezza interpretativa della norma, posto che il ruolo affidato all’organismo giurisdizionale sovranazionale attiene al rilievo di eventuali contrasti tra la disciplina nazionale e quella comunitaria e non all’interpretazione di testi normativi ambigui.
Marcello Maiorino
nuovofiscooggi.it