Giudizio civile, promosso dal sostituto procuratore generale della Corte dei conti – Corte Costituzionale, Ordinanza n. 285/2011
dichiara inammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Procura della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, nei confronti del Tribunale di Trento, sezione civile, in composizione monocratica, con il ricorso indicato in epigrafe.
Corte Costituzionale, Ordinanza n. del 285/10/2011
Corte dei conti – Sentenza n. 248/2011 del Tribunale di Trento, in composizione monocratica, pronunciata nel giudizio civile, promosso dal sostituto procuratore generale della Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, per il risarcimento del danno da diffamazione derivante da un articolo di stampa ? Statuizioni, contenute in sentenza, dichiarative della fondatezza del “giudizio di accanimento” formulato dal giornalista, autore dell’articolo, a proposito di indagini condotte dal sostituto procuratore sull’attività del Comune di Bolzano.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza del Tribunale di Trento del 14 febbraio 2011, n. 248, promosso dalla Procura della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, con ricorso depositato in cancelleria il 10 maggio 2011 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che, con ricorso in data 29 aprile 2011 e depositato presso la cancelleria della Corte il 10 maggio 2011, la Procura della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Trento, sezione civile, in composizione monocratica, in relazione alla sentenza n. 248 del 2011 pronunciata nel giudizio civile n. 3327 del 2007, nella parte in cui in tale atto si afferma «la fondatezza del “giudizio” di accanimento formulato da un giornalista nei confronti del Sostituto Procuratore generale in servizio presso la Procura ricorrente», in tal modo ledendo le prerogative di indipendenza del pubblico ministero della Corte dei conti garantite dall’art. 108 della Costituzione;
che la ricorrente premette, in fatto, che un quotidiano locale – a seguito di un invito a dedurre emesso nei confronti del sindaco del Comune di Bolzano nel corso di un procedimento di responsabilità amministrativa azionato su specifica denuncia dei revisori dei conti – pubblicava in prima pagina un editoriale a firma Toni Visentini, titolato “Schulmers e il Comune – Un Savonarola per Bolzano”, nel quale si tratteggiava la figura del Sostituto procuratore generale che aveva emesso gli atti, dipingendola come animata da intenti persecutori nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dell’ente territoriale;
che, in relazione alla pubblicazione dell’editoriale, il Sostituto procuratore generale sporgeva querela presso la Procura di Bologna, competente per territorio, ed esercitava l’azione civile di risarcimento danni presso il Tribunale civile di Trento, lamentando l’uso di un linguaggio manifestamente irridente e denigratorio nei suoi confronti, nonché l’estrema gravità dell’accusa, a lui mossa, di deliberato “accanimento” nei confronti degli amministratori del Comune di Bolzano;
che mentre il Tribunale penale di Bologna ravvisava nel testo dell’editoriale il superamento dei limiti della continenza espositiva e condannava il giornalista per il reato di diffamazione a mezzo stampa (sentenza n. 3047 del 7 ottobre 2010), il Tribunale civile di Trento – dinanzi al quale era rimasta pendente la causa nei confronti della casa editrice e del direttore responsabile (mentre l’azione civile nei confronti dell’editorialista era stata trasferita in sede penale) – perveniva, con la sentenza impugnata, a conclusioni opposte, affermando, da un lato e sotto il profilo della continenza, che l’accostamento alla figura del Savonarola era da considerarsi elogiativo, e concludendo, dall’altro, nel senso che «il giudizio di accanimento» nei confronti dell’attività del Comune appariva fondato;
che, in particolare, si afferma nella suddetta sentenza che «non [era] stato utilizzato un linguaggio offensivo nei confronti dell’attore in quanto il giudizio di accanimento nei confronti dell’attività del comune, che il giornalista Visentini mostra di condividere con il sindaco, non poteva che essere espresso con l’uso di termini efficaci, e comunque non appare gratuito bensì fondato su specifici fatti storici pregressi ed in atto» e che dalla lettura dell’articolo in questione risulta, in effetti, la volontà del giornalista di aderire al giudizio critico espresso dal sindaco;
che la ricorrente, tanto premesso in fatto, precisa, da un lato, di non voler in alcun modo esercitare un improprio mezzo di impugnazione della sentenza emessa dal Tribunale di Trento alla luce degli eventuali errores in iudicando contenuti nella stessa, potendosi ricorrere, a tal fine, agli ordinari mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito e, dall’altro, di non voler contestare la competenza esclusiva del Tribunale di Trento a risolvere con la sentenza oggetto del conflitto la controversia civile insorta dinanzi ad esso;
che, viceversa, la Procura della Corte dei conti ritiene che talune statuizioni contenute nella pronuncia del giudice ordinario siano lesive delle sue prerogative di indipendenza assicurate dall’art. 108, secondo comma, Cost. in quanto non rispettose dell’obbligo di diligenza nell’espletamento della funzione giudiziaria necessario al fine di non pregiudicare le prerogative costituzionali spettanti ad altro potere;
che, in tal senso, la Procura ricorrente precisa di voler proporre un conflitto per menomazione seguendo la giurisprudenza della Corte secondo cui la figura dei conflitti di attribuzione, sia tra lo Stato e le Regioni sia tra i poteri dello Stato, «non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’altro soggetto» (sentenza n. 110 del 1970);
che, quanto al requisito soggettivo per la legittimazione a proporre il conflitto, la ricorrente afferma che la Corte dei conti è un potere dello Stato e la Procura, nell’esercizio delle sue funzioni, è competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene (ordinanza n. 196 del 1996);
che la legittimazione passiva del Tribunale di Trento, in composizione monocratica, ad essere parte in un conflitto tra poteri dello Stato, secondo la parte ricorrente, sarebbe certa, essendo organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell’esercizio di funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita (sono citate, ex multis, l’ordinanza n. 8 del 2008 e la sentenza n. 290 del 2007);
che il ricorso sarebbe ammissibile perché la Procura contabile lamenta la menomazione delle prerogative di indipendenza che la Carta fondamentale direttamente assicura al pubblico ministero presso la Corte dei conti nel solo rispetto della riserva assoluta di legge (art. 108, secondo comma, Cost.) e non la lesione di attribuzioni riconducibili all’art. 103, secondo comma, Cost., in relazione al quale la Corte costituzionale ha ritenuto non sussistere materia di conflitto, essendo la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica disciplinata da norme ordinarie (ordinanza n. 196 del 1996);
che, inoltre, la Procura contabile richiama la giurisprudenza costituzionale successiva al 1996 secondo cui il giudice, «nell’esercizio delle sue competenze, [deve tenere] conto non solo delle esigenze della attività di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell’applicazione delle regole comuni» (sentenza n. 225 del 2001);
che tale principio sarebbe la trasposizione, in chiave processuale, del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato che impone ad ognuno di essi, nell’esercizio delle proprie funzioni, l’adozione delle cautele necessarie a non pregiudicare, inutilmente ed arbitrariamente, le prerogative costituzionali di altro potere dello Stato (sono citate le sentenze n. 26 del 2008, n. 149 del 2007 e n. 403 del 1994);
che, dunque, è possibile che una pronuncia dell’autorità giudiziaria, in ragione del suo specifico contenuto o della sua motivazione, sia lesiva delle attribuzioni costituzionali del [pubblico ministero contabile], e come tale sia suscettibile di dar luogo ad un conflitto costituzionale (è citata la sentenza n. 263 del 2003);
che, nel merito, la ricorrente ritiene prioritario partire dalla considerazione che l’indipendenza assicurata dalla Carta costituzionale al pubblico ministero della Corte dei conti non è fine a sé stessa, ma è tesa ad assicurare la correttezza del suo operato, liberandolo da impropri condizionamenti interni ed esterni a vantaggio dell’intera collettività;
che la ricorrente richiama la sentenza della Corte costituzionale sull’istituto del legittimo impedimento dove, con argomentazioni di carattere generale, estensibili ad ogni potere dello Stato, si è chiarito come il giudice, «nell’esercizio delle sue competenze, [debba tenere] conto non solo delle esigenze della attività di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell’applicazione delle regole comuni» (sentenza n. 248 del 2011);
che, secondo la Procura contabile ricorrente, il modo in cui il giudice del Tribunale di Trento ha applicato le norme comuni in materia di fatto illecito per diffamazione a mezzo stampa e di onere della prova (artt. 2043 e 2697 del codice civile, 595 e 51 del codice penale), ha prodotto – in ragione delle sopra censurate affermazioni contenute nella sentenza n. 248 del 2011 – un paradossale effetto sanzionatorio a carico del magistrato del pubblico ministero per il solo ed esclusivo fatto di avere svolto le proprie funzioni;
che il Tribunale di Trento, senza pretendere dai convenuti l’assolvimento dell’onere di provare rigorosamente la verità dei fatti affermati, ha avallato un “giudizio di accanimento” formulato dal giornalista nei confronti del Sostituto procuratore generale sulla sola base del dato, in sé neutro, del numero di vertenze condotte dal magistrato inquirente nei confronti del Comune di Bolzano (che secondo il quotidiano convenuto erano cinque), omettendo completamente di considerare l’obbligatorietà dell’azione di responsabilità, che, per quanto non costituzionalizzata, è comunque imposta dalla legge;
che, in particolare, a dimostrazione dell’omissione di ogni doveroso approfondimento diretto ad appurare l’obbligatorietà dell’avvio dell’azione da parte del pubblico ministero contabile, la Procura ricorrente evidenzia come il giudice abbia completamente trascurato di valutare – sia nella parte in fatto che in diritto – come l’invito a dedurre, oggetto di censura da parte dell’editorialista, fosse in realtà originato da un esposto penale dei Revisori dei conti del Comune di Bolzano, debitamente prodotto agli atti del giudizio civile in allegato alla memoria di parte attrice, unitamente alla nota di trasmissione della locale Procura della Repubblica e al provvedimento di archiviazione penale;
che, pertanto, le statuizioni contenute in sentenza non si limiterebbero a motivare un giudizio di non fondatezza della domanda risarcitoria avanzata dall’attore, ma lederebbero un bene – l’indipendenza del pubblico ministero contabile – avente rilevanza costituzionale;
che la lesione sarebbe immediata e diretta laddove l’attore, pubblico ministero contabile, viene sanzionato per il solo fatto di avere esercitato le proprie funzioni, peraltro doverose, senza che il Tribunale si senta in dovere di appurare le circostanze del caso concreto che hanno prodotto l’avvio delle indagini;
che si produrrebbe l’ulteriore effetto di condizionare pro futuro l’esercizio delle funzioni inquirenti, affermando l’esistenza di un limite oltre il quale la condotta del magistrato contabile deve essere considerata antidoverosa;
che, sulla base di queste argomentazioni, la Procura ricorrente ritiene che la sentenza sopra citata debba essere annullata in quanto lesiva delle proprie attribuzioni costituzionali.
Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, circa l’esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza costituzionale è costante nel riconoscere ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad assumere la qualità di parte nei conflitti di attribuzione, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono, ma solo limitatamente all’esercizio dell’attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale (ordinanze n. 338 del 2007, n. 340 e n. 244 del 1999, n. 87 del 1978);
che, in altri termini, il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine alla competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere dello Stato cui appartengono, secondo quanto richiesto dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali (ordinanza n. 22 del 2000);
che la Procura ricorrente rivendica la sua legittimazione solo in quanto organo astrattamente titolare del potere giurisdizionale ma al di fuori dell’esercizio concreto delle funzioni ad essa assegnate;
che la motivazione della sentenza del Tribunale civile di Trento sulla natura non diffamatoria dell’affermazione fatta dal giornalista di «accanimento della Procura nei confronti del Comune di Trento» non interferisce in alcun modo con l’esercizio della funzione giurisdizionale in relazione a singoli provvedimenti da adottare;
che, pertanto, manca nella fattispecie in esame la legittimazione della ricorrente a proporre il conflitto, non essendo titolare in concreto di un potere giurisdizionale il cui esercizio possa dipendere dall’annullamento dell’atto impugnato;
che il ricorso è inammissibile anche per carenza del requisito oggettivo;
che l’ammissibilità di un conflitto avente ad oggetto atti giurisdizionali «sussiste solo quando sia contestata la riconducibilità della decisione o di statuizioni in essa contenute alla funzione giurisdizionale, o si lamenti il superamento dei limiti, diversi dal generale vincolo del giudice alla legge» (sentenza n. 222 del 2007, ordinanza n. 334 del 2008);
che il conflitto di attribuzione, al di là delle formali asserzioni a corredo della prospettazione, non può tradursi «in strumento atipico di impugnazione» dell’atto giurisdizionale giacché avverso «gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale valgono i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni» (ordinanza n. 284 del 2008);
che il ricorso si risolve, al di là della espressa affermazione della suddetta Procura di non voler sindacare errores in judicando, in una censura della motivazione della sentenza nella parte in cui il Giudice avrebbe, secondo la ricorrente, erroneamente omesso di considerare l’obbligatorietà dell’avvio dell’azione del pubblico ministero e avrebbe, sempre secondo la ricorrente, completamente trascurato di valutare – sia nella parte in fatto che in diritto – come l’invito a dedurre oggetto di censura da parte dell’editorialista fosse in realtà originato da un esposto penale dei Revisori dei conti del Comune di Bolzano;
che non rientra nei poteri di questa Corte sindacare il percorso logico argomentativo in virtù del quale il giudice del Tribunale di Trento, nel motivare la sentenza oggetto del presente giudizio costituzionale, ha ritenuto non diffamatorio, in quanto rientrante nel diritto di critica e di cronaca, il giudizio espresso dal giornalista nell’articolo oggetto del giudizio civile;
che, pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Procura della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Bolzano, nei confronti del Tribunale di Trento, sezione civile, in composizione monocratica, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2011.