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La bigenitorialità ed i conflitti tra gli ex coniugi – Cassazione Civile, Sentenza n. 17191/2011

di Samantha Mendicino

Due coniugi si separano ed il campo di guerra principale della ex coppia diviene l’affido del figlio. Un cliché dei processi di separazione. Ma, nel caso di specie, con un elemento di novità: la decisione finale degli Ermellini sulla vicenda giudiziaria. La separazione dei coniugi, dalle risultanze probatorie, risulta essere derivata proprio dalla conflittualità della coppia. conflittualità comprovata dagli accertamenti dei carabinieri che erano intervenuti più volte a seguito di “gravi manifestazioni di disprezzo non occasionali” poste in essere a danno della donna da parte non solo del marito ma da tutti i membri della famiglia di lui. Le conseguenze sono: l’inevitabile l’addebito di colpa contenuto nella sentenza a carico dell’uomo ed, a sorpresa, l’affidamento esclusivo alla donna della figlia minore. L’uomo ricorre sino in Cassazione per far valere “il diritto del minore alla bigenitorialità” previsto dalla L. n. 54/2006, relativa all’affidamento condiviso.

Ma gli Ermellini confermano la sentenza di secondo grado osservando che la Corte d’Appello, concedendo l’affido esclusivo della minore alla madre “non ha disatteso il diritto…. alla bigenitorialità nel momento in cui ha ritenuto pregiudizievole per la medesima l’affidamento condiviso… motivando il convincimento sugli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare allo sviluppo psicologico della medesima dall’affidamento condiviso… con riguardo alla particolare situazione del padre con la sua famiglia di origine ed in tale contesto al comportamento gravemente denigratorio, da lui e dalla sua famiglia, tenuto nei confronti della madre”.

Sempre in detta occasione, la Corte di Cassazione ritorna (ancora una volta) sul rapporto tra minore ed ascendenti (i nonni) e precisa che la L. n. 54/2006 “attribuisce al minore il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti nel quadro del mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con i propri genitori e con la medesima finalità di evitare, per quanto possibile, che la separazione produca traumi nello sviluppo della personalità del minore stesso”. Dunque, ciò è cosa ben diversa dall’asserire che esiste un “diritto” dei nonni a mantenere rapporti col minore.

Molte associazioni costituite da padri separati si sono scandalizzate della decisione de qua contestando agli Ermellini di aver, di fatto, deciso con un retro front il diritto del minore alla bigenitorialità.

Tuttavia, molti studiosi di diritto hanno osservato, leggendo con attenzione le motivazioni della decisione, che la Corte altro non ha fatto che applicare la normativa in materia. Ossia, mai la L. n. 54/2006 ha abolito l’affido esclusivo all’uno o all’altro genitore, orientando, invece, la scelta del Giudice verso il preferenziale “affido condiviso” del minore ai genitori ma solo ove ciò non fosse di nocumento allo stesso. In questo caso, difatti, l’affido esclusivo è l’unica via percorribile a tutela del minore. La materia è intrisa, spesso, di ambiguità e confusione. La nozione di affido esclusivo non prevede di certo la legittimità dell’impedimento che, dal genitore affidatario, può essere opposto all’altra parte nel vedere il figlio. In questo caso si tratterebbe sempre e comunque di violazione del diritto del minore a mantenere i giusti ed equilibrati rapporti con la propria mamma ed il proprio papà. Si tratta, cioè, di un comportamento illegittimo che nulla ha a che vedere con il concetto di fondo dell’affido esclusivo. In altri termini: l’impedire gli equilibrati rapporti del minore con entrambi i genitore è una violazione di legge sia nel caso di affido condiviso che nell’ipotesi di affido esclusivo. La differenza sta nella circostanza, comprovata dalla quotidianità processuale e di vita, che l’affido condiviso pone, di fatto, ancora “più carne nel fuoco della conflittualità” rispetto all’affido esclusivo. D’altra parte, sin dalla nascita della normativa in esame la dottrina più attenta ha visto in questa legge un tentativo utopistico del legislatore di porre fine alle guerre tra ex coniugi.

Ma è la ragionevolezza che induce a considerare l’eccessiva conflittualità tra gli ex coniugi un valido motivo per stabilire l’affido esclusivo: come si può pretendere da due persone che fissino di “comune accordo” le più importanti decisioni per la vita del figlio quando la conflittualità dei due si traduce in inevitabili scontri di violenza, anche solo verbale, ed in continue guerre che, di fatto, altro non portano che ad un lento ed inesorabile trascinarsi delle cose.

Il principio della bigenitorialità non è leso dall’affido esclusivo se si ragiona sul significato di fondo dell’espressione: la bigenitorialità, difatti, è il mantenimento di rapporti significativi e continui con entrambi i genitori anche a seguito di una crisi del vincolo coniugale. E costituisce una violazione di tale diritto ogni comportamento che ostacola gli incontri tra un genitore ed il figlio sino ad arrivare, addirittura, nei casi più gravi, alla recisione di ogni legame tra i due.

Ecco che ostacolare la bigenitorialità costituisce reato (ex multis, Cass. Pen. sent. n. 27995/2009) non solo in ipotesi di affido congiunto ma anche in caso di affidamento esclusivo.
Avv. Samantha Mendicino

(© Litis.it, 17 Ottobre 2011 – Riproduzione riservata)

Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza 19 aprile – 11 agosto 2011, n. 17191


Presidente Luccioli – Relatore Scaldaferri

Svolgimento del processo

1. Nel settembre 2000 C..M., premesso che nell'(omissis) aveva contratto matrimonio con R..C. e dall’unione era nata nell'(omissis) la figlia D., proponeva domanda di separazione con addebito al coniuge; il quale a sua volta, costituendosi, chiedeva addebitarsi alla M. la responsabilità del fallimento dell’unione coniugale. Il Tribunale di Cremona, sentiti testimoni, acquisite informazioni ed espletata C.T.U., con sentenza del 2 novembre 2006 pronunciava la separazione, respingeva entrambe le domande di addebito, affidava ad entrambi i genitori la figlia D. disponendo che essa coabitasse con la madre e regolando il diritto di visita del padre, a carico del quale poneva l’obbligo di versamento, a titolo di contributo al mantenimento della figlia, della somma di Euro 250,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie.


2. L’appello proposto dalla M. – al quale resisteva il C. proponendo appello incidentale – veniva parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Brescia, che addebitava la separazione al C., affidava in via esclusiva la figlia D. alla madre, regolava in misura più contenuta il diritto di visita del padre, ed aumentava a Euro 350,00 mensili (oltre aggiornamenti di legge e 50% delle spese straordinarie) il contributo a carico di quest’ultimo al mantenimento della figlia. Osservava la Corte che dai comportamenti del C. e dei suoi genitori risultanti dai rapporti di servizio e dalle relazioni redatti dai Carabinieri intervenuti più di una volta nella vicenda matrimoniale prima della separazione – nonché dalla documentazione relativa ai comportamenti dei coniugi successivi al ricorso per la separazione, emergevano manifestazioni di sostanziale disprezzo per la M. da parte di tutti i membri della famiglia C.. Manifestazioni che, per la disinvoltura con la quale erano state poste in essere e per la loro gravità, non consentivano di ritenere che si fosse trattato di esternazioni occasionali, estemporanee ed improvvise, e facevano invece ritenere verosimile che esse fossero frutto di un prolungato e graduale deterioramento dei rapporti favorito dalla contiguità abitativa tra le due famiglie. Tali elementi, valutati complessivamente, giustificavano secondo la Corte l’addebito della separazione al C., il quale, abdicando alla tutela della autonomia del proprio nucleo familiare e della dignità della propria moglie e mantenendo una condotta che confermava la valutazione compiuta dai consulenti d’ufficio circa l’esistenza di una sua dipendenza non ancora risolta con la madre, aveva violato l’obbligo, previsto dall’art. 143 c.c., di assistenza morale dovuta alla moglie. Tale contesto, osservava inoltre la Corte alla luce delle relazioni dei consulenti d’ufficio e del servizio pubblico di assistenza famigliare, sconsigliava il ricorso all’affidamento condiviso (che richiede, oltre a un accordo sugli obiettivi educativi, una buona alleanza genitoriale ed un profondo rispetto dei rispettivi ruoli, nella specie da ritenere assenti), laddove la attenta, contenitiva e partecipe capacità genitoriale riscontrata dai consulenti nella M. giustificava l’affidamento esclusivo alla medesima della figlia, essendo peraltro pregiudizievole per lo sviluppo psicologico di quest’ultima una distribuzione in parti uguali del tempo di collocazione presso i due genitori (che, costringendo la bimba ad un adattamento a due realtà tra loro diverse e nemiche, avrebbe costituito il presupposto per la strutturazione in essa di un rapporto relazionale e di una individuazione di tipo scisso), ed essendo piuttosto necessario ridurre il più possibile i contatti tra i genitori definendo rigorosamente il giorno di visita del padre, senza riconoscere ai nonni paterni un autonomo diritto di frequentazione della nipote, distinto ed ulteriore rispetto alla facoltà dei medesimi di vedere la bambina in occasione delle visite della stessa al padre. Osservava infine la Corte che il maggior reddito lavorativo del C., il fatto che egli continuasse a godere della casa coniugale, le incrementate esigenze della figlia e la maggiore permanenza della medesima con la madre giustificavano l’elevazione all’importo di Euro 350,00 mensili del contributo del C. al mantenimento della minore.


3. Avverso tale sentenza, depositata il 25 settembre 2007 e notificata il 26 ottobre successivo, R..C. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 19 novembre 2007, basato su sette motivi. Resiste C..M. con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, deve rilevarsi la inammissibilità della memoria difensiva in data 11 aprile 2011 depositata dal ricorrente, recante in calce nuova procura difensiva: tale procura è invero priva di efficacia in quanto rilasciata in calce ad un atto diverso da quelli previsti dall’art.83 comma 3 c.p.c., nel testo anteriore alla modifica introdotta dall’art.45 legge n.69/2009, applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore.


2. Con il primo motivo, il C. deduce violazione e falsa applicazione dell’art.345 comma 3 c.p.c. nonché omessa motivazione in relazione alla ammissione di nuovi mezzi di prova in appello. Sostiene che la controparte ha depositato per la prima volta in appello ventotto documenti, quattordici dei quali con data certa anteriore alla proposizione del ricorso di primo grado. E che la Corte d’appello, nonostante l’eccezione di inammissibilità della produzione tempestivamente sollevata da esso ricorrente, non si è pronunciata al riguardo omettendo quindi di chiarire, alla luce dei criteri prescritti dall’art.345 comma 3 c.p.c., perché abbia ritenuto di ammettere tale produzione; ed anzi ha espressamente richiamato alcuni dei suddetti documenti a sostegno della statuizione in ordine alla domanda di-addebito della separazione. Il secondo motivo concerne la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza ex art.360 n.4 c.p.c: il ricorrente lamenta la omessa pronuncia sulla eccezione di tardività della nuova produzione documentale in appello.
3. Entrambi i motivi – da esaminare congiuntamente perché connessi – sono infondati.


3.1 Innanzitutto, il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, nella sentenza impugnata, di questioni di merito (cfr. ex multis Cass. Sez. 3 n. 1701/2009; Id. n. 3357/2009; Cass. S.U. n. 15982/2001); non lo è quindi ove, come nella specie, si denunci il mancato esame non di una eccezione in senso proprio bensì di una contestazione in rito relativa all’istruttoria del giudizio di appello.


3.2 D’altra parte, neppure l’altro vizio in procedendo  (violazione art. 345 c.p.c.) può dirsi sussistente. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha ammesso, neppure implicitamente, tutta la produzione documentale effettuata in appello dalla M.; si è limitata ad esaminare alcuni documenti che già la sentenza di primo grado aveva esaminato ed espressamente valutato, traendo dal loro contenuto (oltre che dalle risultanze delle prove testimoniali assunte in primo grado) conclusioni diverse da quelle espresse dal primo giudice. Ciò risulta agevolmente dal confronto tra la motivazione della sentenza d’appello nella parte relativa all’addebito della separazione e quella corrispondente della sentenza di primo grado (il cui esame è consentito dalla natura processuale del vizio denunciato), ove, alle pagine 9 e 10, si fa espresso riferimento alle relazioni di servizio del Maresciallo Mo. e del Carabiniere Co., nonché all’elevato numero di interventi operati dai Carabinieri della Stazione di Casalmaggiore nel periodo antecedente alla uscita della M. dalla residenza coniugale, oltre che alle denunce-querele proposte dalla M. ed alle lettere ed articoli dei genitori del C. “inviati alla stampa e versati in fascicolo dall’attrice”. Si tratta degli stessi documenti sui quali la Corte d’appello ha basato il suo convincimento, si che, se di implicita pronuncia possa nella specie parlarsi, essa deve essere semmai riferita agli altri documenti che la Corte non risulta aver esaminato, e quindi essere intesa in senso opposto allei implicita ammissione dedotta dal ricorrente.


4. Il terzo motivo concerne la violazione e falsa applicazione dell’art.151 comma 2 c.c., nonché il vizio di motivazione sulla prova dei fatti posti a base della declaratoria di addebito della separazione, con particolare riferimento alla prova del nesso causale tra il determinarsi della intollerabilità della convivenza e i comportamenti attribuiti al ricorrente. Il C. sostiene che la Corte d’appello ha erroneamente ed immotivatamente ritenuto prove idonee a tal fine atti di iniziativa penale della M. della sua famiglia, relazioni di servizio di ufficiali e agenti di P.G. illustranti fatti – peraltro successivi alla cessazione della convivenza – appresi de relato, verbali di sommarie informazioni testimoniali dai medesimi raccolte, non confermate testimonialmente nel corso del dibattimento civile, nonché le risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado al diverso scopo di valutare lai richiesta di affidamento condiviso accertando la capacità genitoriale dei coniugi. Osserva in primo luogo il collegio che il vizio di violazione di legge, pur inserito nella rubrica, non risulta in effetti compreso nella illustrazione del motivo, che non fa riferimento ad una erronea ricognizione, nella sentenza impugnata, della fattispecie astratta prevista dall’art.151 c.c. bensì ad una carente ricognizione, sulla base delle risultanze di causa, della fattispecie concreta in esame. Anche sotto questo profilo, peraltro, il motivo è privo di pregio atteso che risulta diretto, in effetti, a contestare le valutazioni di merito espresse dalla Corte d’appello in ordine alle prove acquisite in istruttoria proponendo in alternativa altro vaglio favorevole al ricorrente. Valutazioni di merito che non possono essere riviste in questa sede essendo sostenute da ampia e puntuale motivazione immune da vizi logici o da intrinseca contraddittorietà, e rettamente estesa anche alle risultanze della consulenza d’ufficio espletata in primo grado, il cui apprezzamento da parte del giudice di merito non può ritenersi impedito dalle finalità per le quali tale mezzo istruttorio è stato disposto.


5. Con il quarto motivo, il C.      denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.155 comma 1 e 2 c.c. e dell’art.155 bis c.c., nonché vizio di motivazione, in relazione al diniego dell’affidamento condiviso della figlia minore D.. Sostiene che la Corte, aderendo alle valutazioni espresse dai consulenti d’ufficio prima della entrata in vigore della legge n.54/2006, avrebbe disatteso le modifiche normative da questa introdotte, la cui ratio consiste nel diritto del minore alla bigenitorialità, diritto del quale la Corte ha privato la minore D. senza dimostrare i motivi della presunta contrarietà all’interesse della minore dell’affido anche al padre, la cui idoneità genitoriale era stata accertata dai C.T.U. (ancorché con l’aggiunta di una valutazione negativa in ordine alla sua capacità di svolgere il ruolo di genitore responsabile), in tal modo finendo per basare la negazione dell’affidamento condiviso sulla mera conflittualità e ostilità tra i genitori, che il primo giudice aveva ritenuto superabile proprio con la necessità, derivante da tale condivisione, di ricercare una via di collaborazione e di aiuto reciproco nel superiore interesse della corretta crescita della figlia. Osserva tuttavia il collegio che la sentenza impugnata non ha disatteso il diritto della minore alla bigenitorialità nel momento in cui ha ritenuto pregiudizievole per l’interesse della medesima l’affidamento condiviso. La corte di merito ha infatti rettamente incentrato le sue valutazioni sull’interesse della minore, motivando il suo convincimento sugli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare allo sviluppo psicologico della medesima dall’affidamento condiviso, sia – in positivo – con riguardo alla capacità genitoriale riscontrata nella M. sia – in negativo – con riguardo alla particolare situazione del rapporto del C. con la sua famiglia di origine ed in tale contesto al comportamento gravemente denigratorio da lui, e dalla sua famiglia, assunto nei confronti della M.. La sentenza non si è dunque limitata ad un generico riferimento ad una mera conflittualità tra coniugi, ma ha esposto un percorso argomentativo conforme all’orientamento di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 16593/2008; n.1202/2006) e congruamente sostenuto dalla indicazione delle fonti sulle quali si basa, cioè delle risultanze degli accertamenti in atti, la cui valutazione non può in questa sede di legittimità essere oggetto di riesame nel merito.


6. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.155 comma 2 c.c., nonché il vizio di motivazione in riferimento alla determinazione dei tempi di permanenza della figlia minore presso l’uno e l’altro genitore. Si sostiene che anche la drastica riduzione dei termini di permanenza di D. presso il padre rispetto a quanto previsto nella sentenza di primo grado (da due pomeriggi a settimana a un pomeriggio nel periodo scolastico più una giornata dalle 9 alle 22 a settimana nel periodo estivo, ferma restando la previsione di due fine settimana alternati al mese e la distribuzione della permanenza – più specificamente regolata – durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive) viola il diritto della minore alla bigenitorialità, considerando che la sola motivazione esposta dalla Corte -costituita dalla necessità di ridurre al minimo i rapporti tra i genitori- non potrebbe ritenersi motivo sufficiente per tale drastica riduzione. Osserva il collegio che -a prescindere dalla modestia della modifica disposta dalla sentenza- il motivo è inammissibile, giacché si risolve non già nella denuncia di una violazione di legge bensì in una non consentita sollecitazione ad un diverso apprezzamento di merito, non consentito alla corte di legittimità.


7. Il sesto motivo concerne la violazione e falsa applicazione dell’art.155 comma 1 c.c., nonché vizio di motivazione, in riferimento al diniego di riconoscimento di un autonomo diritto di visita dei nonni. Sostiene il ricorrente che, alla luce della norma sopra richiamata, le figure ascendentali sono titolari di un autonomo diritto di mantenere continui e significativi rapporti con il nipote di età minore; e che la forte conflittualità tra le due famiglie non costituirebbe motivo sufficiente per negare tale diritto. La censura è priva di fondamento. L’art.155 comma 1 del c.c. non attribuisce agli ascendenti del minore un autonomo diritto avente il contenuto indicato dal ricorrente. La norma attribuisce invece al minore il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti, nel quadro del mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con i propri genitori e con la medesima finalità di evitare, per quanto possibile, che la separazione produca traumi nello sviluppo della personalità del minore stesso. Non merita dunque censure la motivazione della sentenza che, avvalendosi della facoltà discrezionale di provvedere alla concreta regolazione di tale questione nella suddetta prospettiva (e tenendo conto fra l’altro di quanto già esposto circa la posizione assunta dai nonni paterni nella vicenda coniugale in esame), ha ritenuto idonea a realizzare nella specie l’interesse della minore la possibilità della medesima di vedere 1 nonni paterni in occasione delle visite al padre, che peraltro occupa un’abitazione attigua a quella nella quale i nonni stessi abitano.

8. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la carente ed insufficiente motivazione in relazione alle modalità di determinazione del contributo di ciascun coniuge al mantenimento della figlia minore. Sostiene che la Corte, eseguendo i propri calcoli solo sulla base delle rispettive denunci dei redditi, non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi concernenti, da un lato, le maggiori spese che esso ricorrente deve affrontare rispetto alla controparte (la quale si reca in bicicletta al lavoro, mentre egli deve utilizzare l’autovettura per coprire la distanza di 20 chilometri tra la sua abitazione e la scuola professionale nella quale presta attività di insegnante), dall’altro la possibilità della quale dispone la sola M., dipendente comunale, di svolgere lavoro straordinario e di percepire dal Comune un sostegno per il pagamento dell’affitto. La censura è inammissibile, per la parte in cui investe direttamente il merito delle valutazioni compiute dalla corte d’appello e ne sollecita una modifica non consentita in questa sede. È infondata, là dove si assume che la ripartizione del contributo sarebbe stata decisa dalla corte di merito con riferimento ai soli differenti livelli di reddito delle parti obbligate, avendo invece la sentenza impugnata esposto ulteriori ragioni, che non sono state fatte oggetto di rilievi in questa sede. Anche sotto questo profilo, dunque, il ricorso non merita accoglimento.


9. Le spese di questo giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Deve inoltre provvedersi alla liquidazione, a norma dell’art.385 comma 2 c.p.c., delle spese relative al procedimento incidentale instaurato dal C. dinanzi alla Corte d’appello di Brescia con ricorso (rigettato) per la sospensione della esecuzione della sentenza impugnata ex art.373 c.p.c.; procedimento i cui atti sono stati ritualmente prodotti dalla resistente in questa sede ai sensi dell’art.372 c.p.c. (cfr. ex multis Cass. n. 7248/05), unitamente alla nota espositiva. Tali spese, liquidate come in dispositivo, debbono parimenti porsi a carico del C. in ragione della sua soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che determina in Euro 3.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Condanna inoltre il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento incidentale instaurato ai sensi dell’art.373 c.p.c. dinanzi alla Corte d’appello di Brescia, che determina in complessivi Euro 1.082,00 – di cui Euro 452,00 per diritti e Euro 600,00 per onorari oltre spese generali ed accessori di legge.

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