Violazione dell’obbligo di assistenza familiare e prova dell’esistenza dello stato di bisogno – Cassazione Penale, Sentenza n. 34111/2011
La prova dello stato di bisogno di coloro i quali avrebbero avuto titolo alla percezione dell’assegno deve ritenersi superflua allorchè si tratti di figli minori, essendo tale elemento concreto dimostrato in re ipsa dalla incapacità dei minori di attendere diretta alle proprie necessità e non escludendo la sussistenza del reato neppure la sussistenza concreta di aiuto proveniente da terzi, o dall’altro coniuge.
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Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza n. 34111 del 15/09/2011
Ritenuto in fatto
1. [OMISSIS] propone ricorso avverso la sentenza del 21 aprile 2010 con la quale la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna pronunciata dal giudice di primo grado per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Con il primo motivo di ricorso si eccepisce la violazione di norma processuale per nullità della comunicazione dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, che risulta notificato alla moglie del ricorrente, parte offesa del procedimento. Si osserva che l’argomentazione della Corte, secondo cui la diversa residenza avuta dall’imputato all’epoca dei fatti rispetto a quella della moglie escludeva che si fosse verificata la nullità eccepita, doveva condurre al più a desumere la nullità dell’atto per assoluta non individuabilità della persona che l’aveva ricevuto sicché la mancata comunicazione della sentenza produceva la nullità del giudizio di secondo grado.
2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione della norma sostanziale, per avere la Corte ritenuto integrato il reato, senza aver accertato i suoi elementi costitutivi, individuabili nella disponibilità delle risorse da parte dell’obbligato e nello stato di effettivo bisogno del soggetto passivo.
Nel merito si specifica che tra i coniugi si era realizzata una separazione di fatto, e per questo non era mai intervenuto un provvedimento giudiziale di accertamento dell’obbligo di versamento; pertanto non poteva ritenersi inidonea ai bisogni della parte lesa la somma che in ogni caso ciclicamente il ricorrente aveva riconosciuto alla moglie, con versamenti intervenuti in ogni momento in cui egli aveva la disponibilità.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Si sottolinea invero in rito che nessuna incertezza può desumersi sulla mancata conoscenza del provvedimento che ha definito il giudizio di primo grado, per essere stato notificato a persona qualificatasi convivente, contrariamente al vero; deve invero rilevarsi che, al di là dell’effettività di tale accertamento, l’atto ha raggiunto il suo scopo, consentendo pacificamente all’interessato di proporre gravame nei termini di legge, sicché, per il principio di cui all’art. 183 lett. b) cod. proc. pen. resta sanata ogni eventuale irregolarità nell’esecuzione della comunicazione, avendo la stessa raggiunto il suo scopo (principio pacifico; per tutte da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 10410 del 24/02/2010, dep. 16/03/2010, Imp. Italiano, Rv. 246504).
2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il motivo di merito, in quanto i rilievi svolti nell’atto introduttivo si limitano a contestare l’esistenza della prova dello stato di bisogno di coloro i quali avrebbero avuto titolo alla percezione dell’assegno di mantenimento, dimenticando che nella specie non essendo stato adempiuto l’obbligo nei confronti delle figlie minori, tale prova deve ritenersi superflua, essendo tale elemento concreto dimostrato in re ipsa dalla incapacità dei minori di attendere diretta alle proprie necessità. (Cass. 6, Sentenza n. 20636 del 02/05/2007, dep. 05/2007, rv. 236619) e non escludendo la sussistenza del reato neppure la sussistenza concreta di aiuto proveniente da terzi, o dall’altro coniuge (Cass. Sez. 6 n. 8912 del 04/02/2011, dep. 07/03/2011, rv. 249639). Del tutto generiche sono le allegazioni difensive, sulla base delle quali si assume intervenuto un versamento di somme in favore della moglie separata di fatto, da questa negato, in quanto non viene neppure dedotto sul punto un travisamento della prova, che pertanto deve valutarsi assente.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma in favore della Cassa delle ammende, determinata come in dispositivo, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma dl euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2011