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Protesto illegittimo. Il danno all’immagine non è automatico e va provato – Cassazione Civile, Ordinanza n. 18476/2011

La semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine alla esistenza di un pregiudizio alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità delle sue conseguenze, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cass. 25 marzo 2009, n. 7211).
Alla stregua di tale orientamento, appaiono ormai superati i più risalenti precedenti invocati nel ricorso a sostegno della tesi secondo la quale l’illegittimità del protesto implicherebbe di per se stessa la prova di un danno risarcibile per lesione del diritto all’immagine. E’ invece  rimessa al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità la valutazione circa l’esistenza, nel caso concreto, di elementi significativi, allegati dalla parte, dai quali poter desumere che il protesto degli assegni ha effettivamente provocato una lesione all’ immagine ed alla reputazione della società ricorrente.

(© Litis.it, 14 Settembre 2011 – Riproduzione riservata)

Cassazione Civile, Sezione Sesta, Ordinanza n. 18476 del 08/09/2011
 
Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c. ha depositato una relazione del seguente tenore:

“1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 13 novembre 2009, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado dal Tribunale di Sanremo, ha condannato [OMISSIS] s.p.a. (già [OMISSIS] s.p.a., nel cui interesse era costituita in giudizio la mandataria [OMISSIS] s.p.a. a risarcire alla [OMISSIS] s.r.l. i danni sofferti da quest’ultima in conseguenza dell’illegittimo protesto di quattro assegni bancari emessi entro i limiti dell’affidamento concesso dall’ istituto di credito e prima che il relativo rapporto fosse risolto. Tali danni, consistenti nelle spese sopportate dalla [OMISSIS] per resistere ad istanze di fallimento proposte nei suoi confronti in forza dei titoli malamente protestati, sono stati liquidati in complessivi euro 5.000,00. Non è stata invece accolta la richiesta di risarcimento di ulteriori pregiudizi lamentati dalla stessa società ed, in particolare, del danno all’immagine.

Con la medesima sentenza la corte genovese ha accolto il gravame proposto dall’istituto di credito avverso il capo della pronuncia di primo grado che, dopo aver revocato il decreto ingiuntivo originariamente emesso per maggior somma e dopo aver condannato la [OMISSIS] in solido con i fideiussori, sigg.ri [OMISSIS] P., C, e R. B. al pagamento di un saldo passivo di conto corrente, aveva posto a carico del medesimo istituto di credito le spese processuali. Tali spese, invece, al pari di quelle di secondo grado, in base al principio della soccombenza, sono state addossate dalla corte territoriale alla B. ed ai summenzionati fideiussori.

Avverso la decisione del giudice d’appello hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione la E. ed i sigg.ri R. F., C. e R. B., (quest’ultimo erroneamente indicato nel dispositivo dell’impugnata sentenza col nome di battesimo M.).

Ha resistito con controricorso la A. s.p.a., cessionaria del credito controverso.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli 375 c.p.c, poiché è prospettabile la sua manifesta infondatezza.
2.1. Preliminarmente va detto che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza e di specifica indicazione degli atti sui quali si fonda, sollevata dalla controricorrente, non sembra accoglibile, o almeno non nella sua interezza.

Salvo quanto si osserverà poi con riferimento al terzo motivo, infatti, l’esposizione del ricorso appare idonea a far intendere al giudice di legittimità le questioni sulle quali egli è chiamato a pronunciarsi, e si tratta di questioni da risolvere con l’applicazione di principi di diritto a situazioni di fatto ormai non più controverse, sicché non può affermarsi che le doglianze dei ricorrenti siano fondate su atti o documenti la cui specifica indicazione ed allegazione fosse perciò indispensabile.
2.2. I primi due motivi del ricorso, che conviene esaminare congiuntamente, censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui, pur riconoscendo l’illegittimità del protesto di quattro assegni bancari tratti a suo tempo dalla B. su un conto corrente acceso presso il B. ha negato la riconoscibilità e la liquidabilità in via equitativa del danno per lesione all’immagine della società. Facendo applicazione dei principi enunciati in termini generali dalle Sezioni unite con la sentenza n. 26972 del 2008, questa corte ha di recente avuto già occasione di chiarire che la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine alla esistenza di un pregiudizio alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità delle sue conseguenze, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cass. 25 marzo 2009, n. 7211).

Alla stregua di tale orientamento, che fa apparire ormai superati i più risalenti precedenti invocati nel ricorso a sostegno della tesi secondo la quale l’illegittimità del protesto implicherebbe di per se stessa la prova di un danno risarcibile per lesione del diritto all’immagine, le doglianze prospettate dalla società ricorrente non paiono fondate, giacché è rimessa al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità la valutazione circa l’esistenza, nel caso concreto, di elementi significativi, allegati dalla parte, dai quali poter desumere che il protesto degli assegni ha effettivamente provocato una lesione all’ immagine ed alla reputazione della società ricorrente.

E’ bensì vero che, sul punto, la motivazione dell’impugnata sentenza appare assai sintetica (non però inesistente), ma per altro verso sembra di dover osservare che anche gli elementi addotti nel ricorso per fondare la presunzione di danno sono alquanto generici, o comunque non tali da rivestire carattere decisivo e da indurre ad affermare che, ove il giudice di merito li avesse presi in maggiore considerazione, ne sarebbe scaturita una diversa decisione. Non può infatti trascurarsi che la corte d’appello (a differenza del tribunale) ha reputato illegittima non la totalità dei protesti elevati a carico della B. ma solo il protesto di quattro assegni su sei.

In una tale situazione è perciò evidente che non basta sottolineare il potenziale pregiudizio derivante dal fatto in sé dell’iscrizione nel bollettino dei protesti del nome della società e dalla manifestazione all’esterno di una sua situazione di difficoltà finanziaria, occorrendo invece dimostrare che proprio il protesto (non dovuto) di quei quattro specifici assegni, in aggiunta al legittimo protesto degli altri, ha inciso negativamente in modo significativo sull’immagine e sulla reputazione della medesima società.

2.3. Il terzo motivo di ricorso fa riferimento alla documentazione prodotta dall’odierna ricorrente nel giudizio di merito, al fine di dedurne l’idoneità a fondare una presunzione di lucro cessante in conseguenza della inversione di tendenza dell’andamento economico fatta registrare dalla società dopo la revoca degli affidamenti bancari. La doglianza in esame, a differenza delle altre esposte nel ricorso, potrebbe però rivelarsi inammissibile per la mancata indicazione specifica del contenuto dei documenti sui quali si fonda (art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c). In ogni caso, vai la pena di aggiungere che difficilmente tale doglianza potrebbe trovare accoglimento, giacché essa implica una valutazione in concreto della prova documentale offerta, nonché della sua concludenza e rilevanza in ordine all’assunto prospettato dalla parte, che esula dall’ambito del giudizi di legittimità per sconfinare in quello di merito. Né va taciuto che la stessa ricorrente sembra riferire il cattivo andamento economico della sua impresa non già specificamente all’ illegittimo protesto degli assegni sopra menzionati, bensì alla revoca degli affidamenti bancari, che però la corte d’appello non ha ritenuto di per sé illegittima.

2.4. L’ultimo motivo di ricorso attiene alla posizione dei fideiussori della B., i quali si dolgono della condanna loro inferta al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Neppure tale doglianza sembra essere fondata.

Dovendosi considerare l’esito complessivo della causa ed essendo stati i sigg.ri P. e B. condannati in solido con la B. a pagare all’ istituto di creditola somma di euro 20.494, 00 (pur se inferiore a quella originariamente richiesta col ricorso per decreto ingiuntivo), è innegabile la loro condizione di soccombenti. Sembra perciò di poter dire che correttamente la corte ha posto a loro carico le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

3. Ove si condividano siffatti rilievi, il ricorso dovrà essere rigettato.”
La corte condivide tali considerazioni, che non appaiono idoneamente scalfite dai rilievi formulati nella memoria successivamente depositata dai ricorrenti.

Costoro insistono nel sostenere: a) che la corte d’appello non avrebbe motivato la ragione per la quale ha escluso la riferibilità del danno all’ammontare delle somme portate dagli assegni malamente protestati; b) che vi sarebbe contraddizione nell’aver riconosciuto la ripetibilità delle spese legali occorse per evitare il fallimento e nell’aver negato che vi sia prova del danno all’immagine derivato dall’illegittimo protesto dei titoli si quali la richiesta di fallimento era basata; c) che l’illegittimità era stata sì accertata soltanto per il protesto di alcuni degli assegni di cui si era discusso, ma si trattava di quelli di maggiore importo, emessi a favore di enti e fornitori di particolare rilievo; d) che sono stati puntualmente richiamati i documenti allegati al ricorso introduttivo per dimostrare l’esistenza e l’entità del danno; e) che, infine, quanto alla condanna alle spese processuali dei sigg.ri B. e P. si sarebbe dovuto tener conto della loro sostanziale estraneità al giudizio di secondo grado.

In ordine al rilievo sub a) , è sufficiente osservare che la non deducibilità del danno per illegittimo protesto di titoli di credito dall’ammontare dell’importo dei titoli medesimi non richiedeva particolare motivazione, essendo evidente che l’illegittimità del protesto non interferisce col rapporto debitorio avente ad oggetto le somme portate dai titoli di credito e che, di conseguenza, nulla consente di instaurare una qualsiasi equazione necessaria tra l’ammontare di dette somme ed il pregiudizio che l’emittente possa aver subito in conseguenza del protesto illegittimo.

In ordine al rilievo sub b) , va considerato che l’avere il protesto degli assegni reso necessaria una attività defensionale per evitare la dichiarazione di fallimento non è circostanza da cui si possa necessariamente far discendere, sul piano logico, l’esistenza del lamentato danno d’immagine. Il rilievo sub e) implica, all’evidenza, valutazioni di merito non consentite in questa sede.

Il rilievo sub d) , se anche fosse fondato in punto di specificità dell’indicazione dei documenti sui quali il motivo dì ricorso si fonda, non varrebbe a superare l’improcedibilità derivante dal mancato deposito di tali documenti, né le osservazioni della relazione in ordine al fatto che la censura contenuta in detto motivo sconfina in valutazioni di merito non sottoponibili al giudice di legittimità.

Neppure è condivisibile il rilievo sub c). Infatti, i fideiussori della società B., sigg.ri B. e P. hanno partecipato ad entrambi i gradi del giudizio originato dall’opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso nei confronti loro e della debitrice principale. Essi sono risultati soccombenti in primo grado, essendo stati condannati al pagamento di quanto dovuto in favore della banca creditrice, e si sono poi difesi in appello anche nei riguardi della doglianza della banca in punto di spese processuali del primo grado (spese che il tribunale aveva posto a carico della banca medesima). Tale doglianza è stata accolta dalla corte territoriale, la quale ha ritenuto che l’esito del giudizio svoltosi dinanzi al tribunale comportasse la soccombenza dei predetti fideiussori, oltre che della debitrice principale, e quindi la loro condanna al pagamento delle spese di lite. Dunque, quanto meno sul punto relativo al carico delle spese del primo grado, vi è stata soccombenza dei fideiussori anche in secondo grado, e tanto basta a rendere legittima la pronuncia di condanna al pagamento delle spese di entrambi i gradi.

Al conseguente rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento anche delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Depositata in Cancelleria il 8 settembre 2011

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