Corte CostituzionaleGiurisprudenza

Straniero e apolide – Stranieri minori “non accompagnati” – Corte Costituzionale, Ordinanza n. 222/2011

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), così come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, parametro l’ultimo, evocato con riguardo all’art. 2, lettera h), della direttiva 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (Direttiva del Consiglio recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri), e dell’art. 1, comma 1, della risoluzione CE del 26 giugno 1997 (Risoluzione del Consiglio sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi), nonché al principio di «sviluppo e consolidamento dello Stato di diritto», dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte

Corte Costituzionale, Ordinanza n. 222 del 21/07/2011

Straniero e apolide – Stranieri minori “non accompagnati” – Inclusione tra gli stessi con disciplina innovativa dei minori affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 e di quelli sottoposti a tutela – Conseguente subordinazione della possibilità per i medesimi di ottenere, al raggiungimento della maggiore età, la conversione del titolo di soggiorno da “minore età” a “lavoro” al possesso dei requisiti che la previgente disciplina richiedeva unicamente per i minori non accompagnati.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 32, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, nei procedimenti vertenti tra A.A.I.M., N.B. e il Ministero dell’interno, con due ordinanze del 25 novembre 2010 e, nel procedimento vertente tra I.S.I.E.M. e la Questura di Torino, con una ordinanza del successivo 18 dicembre, rispettivamente iscritte ai numeri 23, 24 e 38 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 7 e 11, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con le ordinanze indicate in epigrafe, ha sollevato identiche questioni di costituzionalità dell’art. 32, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), in riferimento agli articoli 3 (principi di ragionevolezza, imparzialità ed uguaglianza), 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, parametro l’ultimo evocato con riguardo all’art. 2, lettera h), della direttiva 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (Direttiva del Consiglio recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri), all’art. 1, comma 1, della risoluzione CE del 26 giugno 1997 (Risoluzione del Consiglio sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi), nonché al principio di «sviluppo e consolidamento dello Stato di diritto»;

che i commi suddetti sono censurati, limitatamente alla parte in cui annoverano tra i minori (stranieri) “non accompagnati” coloro che sono stati affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), ovvero che sono stati sottoposti a tutela e, conseguentemente, subordinano la possibilità per i medesimi di ottenere, al raggiungimento della maggiore età, la conversione del titolo di soggiorno da “minore età” a “lavoro” (“attesa occupazione” con riguardo alla fattispecie di cui all’ordinanza di rimessione n. 38 del 2011) al possesso dei requisiti che nella previgente disciplina erano richiesti unicamente per i minori non accompagnati;

che il giudice remittente espone (reg. ord. n. 23 del 2011) di essere chiamato a decidere sul ricorso di un cittadino egiziano avverso il decreto del Questore di rigetto dell’istanza diretta ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno da “minore età” in “lavoro subordinato”, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998;

che l’interessato, entrato clandestinamente in Italia il 31 ottobre 2008, con il consenso dei propri genitori quando era minorenne, aveva ottenuto il 5 maggio 2009 il permesso di soggiorno per minore età, valido fino al compimento del diciottesimo anno di età (13 settembre 2009);

che lo stesso, con provvedimento dell’8 luglio 2009 del Giudice tutelare, era stato affidato allo zio, il quale fin dal 27 gennaio 2009 lo aveva accolto nella propria abitazione, conformemente alla dichiarazione di formale affidamento del minore resa dai genitori il 5 febbraio 2009 innanzi ad un ufficio notarile egiziano;

che dopo il compimento della maggiore età l’interessato aveva trovato una stabile occupazione lavorativa;

che il remittente precisa di ritenere che la normativa impugnata non possa considerarsi applicabile soltanto per il futuro;

che, in base al principio tempus regit actum, si deve applicare la normativa vigente nel momento in cui l’amministrazione formalizza la propria decisione;

che, conseguentemente, l’interessato non può giovarsi della più favorevole disciplina previgente;

che la normativa impugnata, oltre ad introdurre una definizione di straniero “minore non accompagnato” assolutamente difforme rispetto a quella antecedentemente conosciuta dal diritto comunitario e nazionale, nella sua irrazionalità e arbitrarietà, frustra l’affidamento dell’interessato nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello Stato di diritto;

che, invero, in precedenza erano considerati “minori non accompagnati” soltanto coloro che, non avendo la cittadinanza italiana o di un altro Stato dell’Unione europea, e non avendo presentato domanda di asilo, si trovavano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili;

che coincidenti sono le definizioni di “minore non accompagnato” desumibili dalla lettura:

a) dell’art. 2, lettera h), della direttiva del Consiglio dell’Unione europea n. 2003/9/CE;

b) dell’art. 1, comma 1, della risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 26 giugno 1997;

c) dell’art. 1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535 (Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell’art. 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286);

che, inoltre, con riferimento alla previgente formulazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998, la giurisprudenza amministrativa aveva chiarito che le fattispecie disciplinate dalla norma riguardavano situazioni diverse: da un lato, vi erano i minori comunque affidati, che rientravano nella previsione del comma 1 della norma, dall’altro, i minori stranieri non accompagnati, per i quali erano dettate le disposizioni di cui ai commi 1-bis e 1-ter della medesima disposizione;

che la suddetta interpretazione era stata avvalorata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 198 del 2003, con la quale era stato affermato che la disposizione del comma 1 dell’art. 32 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, andava riferita anche ai minori stranieri sottoposti a tutela;

che per le sopra esposte ragioni, pur nella consapevolezza che il divieto di retroattività è elevato a precetto costituzionale solo per la materia penale, si profila, ad avviso del remittente, un contrasto con il principio di ragionevolezza (di cui all’art. 3 Cost.) del disposto diniego di conversione del titolo di soggiorno nei confronti di coloro che, al momento dell’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, erano già entrati in Italia, avevano ottenuto il permesso di soggiorno per minore età e si trovavano in una documentabile condizione di affidamento ad un adulto;

che tali soggetti, oltre tutto, si sono venuti a trovare, senza colpa, nell’impossibilità materiale e giuridica di partecipare e concludere prima del raggiungimento della maggiore età il progetto di integrazione previsto dalla nuova normativa;

che le disposizioni censurate, inoltre, sarebbero in contrasto con il principio di uguaglianza, perché attribuiscono lo stesso trattamento a due diverse categorie di soggetti, quali sono i minori non accompagnati e i minori che, invece, possono documentare l’esistenza di una situazione di affidamento ad adulti;

che, infine, sarebbero violati gli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost., perché la nuova definizione di “minore non accompagnato” in argomento si porrebbe in contrasto con le disposizioni comunitarie sopra richiamate;

che lo stesso TAR del Piemonte ha sollevato la medesima questione, con uguali argomentazioni, con altra ordinanza del 25 novembre 2010 (reg. ord. n. 24 del 2011);

che nel relativo giudizio il remittente è chiamato a decidere sul ricorso di un cittadino albanese avverso il decreto del Questore di rigetto dell’istanza diretta ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno da “minore età” in “lavoro subordinato”, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998;

che l’interessato, entrato clandestinamente in Italia il 20 dicembre 2008, con il consenso dei propri genitori quando era minorenne, aveva ottenuto il 10 febbraio 2009 il permesso di soggiorno per minore età, valido fino al compimento del diciottesimo anno di età (26 agosto 2009);

che era stato affidato ad un cugino, da subito resosi disponibile, conformemente alla dichiarazione notarile di affidamento, resa dai genitori del minore il 12 gennaio 2009 all’ufficio notarile di Tirana;

che, dopo il compimento della maggiore età, lo stesso aveva trovato una stabile occupazione lavorativa;

che lo stesso TAR del Piemonte ha sollevato la medesima questione, con analoghe argomentazioni, con altra ordinanza del 18 dicembre 2010 (reg. ord. n. 38 del 2011);

che nel relativo giudizio il remittente è chiamato a decidere sul ricorso avverso il decreto del Questore di rigetto dell’istanza diretta ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno da “minore età” in “attesa occupazione”, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998;

che l’interessato, entrato clandestinamente in Italia il 31 dicembre 2008, con il consenso dei propri genitori quando era minorenne, aveva ottenuto il 27 aprile 2009 il permesso di soggiorno per minore età, valido fino al compimento del diciottesimo anno di età (30 luglio 2009);

che, con provvedimento del 10 giugno 2009 del Giudice tutelare, era stato affidato allo zio paterno, al quale la madre aveva formalmente affidato il minore, con dichiarazione del 20 gennaio 2009 resa presso un ufficio notarile egiziano;

che dopo il compimento della maggiore età lo stesso aveva trovato una stabile occupazione lavorativa;

che nei giudizi introdotti con le ordinanze n. 23 e n. 24 del 2011 è intervenuto, con atti di analogo contenuto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza della questione;

che alla prima conclusione potrebbe pervenirsi, ad avviso dell’interveniente, per difetto di motivazione sulla rilevanza, derivante dal fatto che il remittente ha ritenuto di dovere applicare anche nei casi sub iudice la nuova normativa in base al principio tempus regit actum, per effetto di una interpretazione della normativa impugnata che lo stesso remittente ha, poi, considerato irragionevole;

che, inoltre, il remittente non avrebbe considerato che anche il principio tempus regit actum non si sottrae alla regola costituzionale secondo cui, tra diverse interpretazioni possibili di una norma e dei relativi effetti, deve darsi la prevalenza a quella più aderente al canone di ragionevolezza, come riconosciuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche nella materia in argomento;

che nella specie, quindi, non può non tenersi conto dell’affidamento dello straniero in merito alle condizioni richieste dalla legge per ottenere, prima della scadenza, la conversione del permesso di soggiorno;

che il TAR non ha fornito congrua spiegazione delle ragioni ostative ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa censurata, che avrebbe potuto indurlo a non applicarla alla fattispecie in esame;

che quanto al merito della questione, l’interveniente in primo luogo sostiene che non si configura alcun contrasto con gli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost., perché le disposizioni in argomento non hanno introdotto una nuova definizione di “minore non accompagnato”, ma hanno esteso i requisiti richiesti per la conversione del permesso di soggiorno dei minori non accompagnati anche ai minori in stato di affidamento ai sensi della legge n. 184 del 1983 o sottoposti a tutela;

che anche il prospettato contrasto con l’art. 3 Cost. è, per il Presidente del Consiglio dei ministri, insussistente;

che, infatti, con l’art. 1, comma 22, lettera v), della legge n. 94 del 2009 il legislatore ha colmato il vuoto legislativo derivante dalla mancanza di una espressa disciplina della conversione del permesso di soggiorno dei minori sottoposti a tutela e, nel contempo, ha modificato la previgente disciplina della conversione per i minori posti in affidamento ai sensi dell’art. 2 della legge n. 184 del 1983;

che la scelta operata dal legislatore nell’ambito della sua discrezionalità è stata quella di richiedere, come condizione per la conversione del permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore età, l’ammissione ad un progetto di integrazione, sia per i minori in stato di affidamento familiare sia per quelli sottoposti a tutela, così come già anteriormente previsto per i “minori non accompagnati”, sul presupposto incontestabile che in tutte le suddette ipotesi si tratta di minori che non convivono con i relativi genitori;

che, pertanto, si tratta di una scelta non arbitraria né irragionevole.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con le ordinanze indicate in epigrafe, ha sollevato identiche questioni di costituzionalità dell’art. 32, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), in riferimento agli articoli 3 (principi di ragionevolezza, imparzialità ed uguaglianza), 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, parametro l’ultimo evocato con riguardo all’art. 2, lettera h), della direttiva 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (Direttiva del Consiglio recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri), all’art. 1, comma 1, della risoluzione CE del 26 giugno 1997 (Risoluzione del Consiglio sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi), nonché al principio di «sviluppo e consolidamento dello Stato di diritto»;

che i commi suddetti sono censurati, limitatamente alla parte in cui annoverano tra i minori (stranieri) “non accompagnati” coloro che sono stati affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), ovvero che sono stati sottoposti a tutela e, conseguentemente, subordinano la possibilità per i medesimi di ottenere, al raggiungimento della maggiore età, la conversione del titolo di soggiorno da “minore età” a “lavoro” (“attesa occupazione” con riguardo alla fattispecie di cui all’ordinanza di rimessione n. 38 del 2011) al possesso dei requisiti che nella previgente disciplina erano richiesti unicamente per i minori non accompagnati;

che, preliminarmente, va disposta la riunione dei suddetti giudizi in ragione dell’identità delle questioni di costituzionalità oggetto degli stessi;

che, sempre in via preliminare, è opportuno, richiamare la disciplina dettata dalle norme censurate, sia nel testo vigente, che in quello precedente;

che l’art. 32, commi 1 e 1-bis, nel testo anteriore alla novella introdotta dalla legge n. 94 del 2009, stabiliva, per quanto d’interesse nella questione in esame, che al compimento della maggiore età, ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 184 del 1983, poteva essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo (comma 1, nel testo anteriore alla novella ex lege n. 94 del 2009);

che detto permesso di soggiorno poteva essere rilasciato, al compimento della maggiore età, anche ai minori stranieri non accompagnati che fossero stati ammessi, per un periodo non inferiore a due anni, in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che avesse rappresentanza nazionale e che comunque fosse iscritto, ai sensi di legge, nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (comma 1-bis, introdotto dal comma 1 dell’art. 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189, recante «Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo», nel testo anteriore alla novella ex lege n. 94 del 2009);

che la citata legge n. 94 del 2009 ha modificato il contenuto precettivo delle suddette disposizioni;

che il legislatore ha innovato il comma 1, richiamando nello stesso il contenuto precettivo del comma 1-bis, e ha modificato quest’ultimo stabilendo, come già previsto per i minori non accompagnati, che per i minori stranieri affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 184 del 1983, ovvero sottoposti a tutela, il rilascio del permesso di soggiorno, di cui al comma 1, è subordinato all’essere stati gli stessi ammessi, per un periodo non inferiore a due anni, in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nell’apposito registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

che, pertanto, dal combinato disposto dei suddetti due commi, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di accesso al lavoro, ovvero di lavoro subordinato o autonomo, lo status del minore affidato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 183 del 1984, non si differenzia rispetto a quello del minore non accompagnato, ed agli stessi è equiparato quello del minore sottoposto a tutela (sentenza n. 198 del 2003);

che ciascun giudizio principale ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di rigetto dell’istanza di conversione del permesso di soggiorno da “minore età” a “lavoro subordinato” o ad “attesa occupazione”, proposta da stranieri, in possesso del permesso di soggiorno per minore età ed affidati dall’autorità giudiziaria ad un familiare, divenuti maggiorenni prima dell’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, intervenuta l’8 agosto 2009;

che il TAR Piemonte, prima di prospettare i dubbi di costituzionalità, afferma di dover applicare la normativa in questione poiché, in ragione del principio tempus regit actum, non può che farsi riferimento alla normativa vigente al momento in cui l’Amministrazione ha formalizzato la propria decisione e, quindi, ai testi normativi come novellati;

che le censure di incostituzionalità, quindi, sono formulate come di seguito, in sintesi, riportato;

che ad avviso del giudice amministrativo le norme in esame, introdurrebbero, immotivatamente, una nuova definizione di “minore non accompagnato”, in contrasto con quella chiaramente enunciata dall’art. 2, lettera h), della direttiva del Consiglio n. 2003/9/CE (e non puntualmente recepita dal legislatore nazionale) e dall’art. 1, comma 1, della risoluzione del Consiglio del 26 giugno 1997, nonché con il principio di «sviluppo e consolidamento dello Stato di diritto»;

che l’irragionevolezza della disposizione sarebbe da rinvenire nella circostanza che gli interessati, pur avendo legittimamente confidato nella possibilità di ottenere la conversione del titolo in base alle disposizioni all’epoca vigenti, si sono trovati, senza colpa, nell’impossibilità materiale e giuridica di partecipare e concludere prima della sua entrata in vigore (e del raggiungimento della maggiore età) il progetto di integrazione previsto dalla nuova formulazione del citato art. 32;

che l’applicazione della nuova disciplina a questi soggetti implicherebbe, pertanto, un’efficacia retroattiva della disciplina stessa, la quale andrebbe ad incidere su posizioni preesistenti consolidate;

che la stessa, inoltre, contrasterebbe con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto verrebbe a comportare un uguale trattamento di situazioni non uguali – non potendosi, a rigore, annoverare tra i minori “non accompagnati” coloro che possono, invece, documentare l’esistenza di una situazione di affidamento e, quindi, non potendosi, di conseguenza, applicare la medesima disciplina a soggetti che si trovano in condizioni sostanzialmente difformi;

che la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che a tale conclusione si perviene in quanto il remittente non ha preso in considerazione altro orientamento della stessa giurisprudenza amministrativa, a prescindere dal costituire o meno lo stesso diritto vivente, così omettendo di esplorare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, alla soluzione che egli ritiene conforme a Costituzione;

che basta ricordare, in proposito, come già nella vigenza dell’art. 32, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, come aggiunto dal comma 1 dell’art. 25 della legge n. 189 del 2002, e prima della novella introdotta dalla legge n. 94 del 2009, il Consiglio di Stato (sezione VI, decisioni n. 3690 del 2007 e n. 2951 del 2009) riteneva l’impossibilità di applicare il comma 1-bis ai soggetti che avessero compiuto la maggiore età prima della entrata in vigore della legge n. 189 del 2002, ovvero nei due anni successivi, in quanto gli stessi non potevano, in termini materiali e giuridici, partecipare ad un progetto di integrazione sociale e civile della durata minima di due anni prima del compimento della maggiore età, come previsto dal comma 1-bis;

che tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato dalla giurisprudenza amministrativa con riguardo all’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dalla legge n. 94 del 2009 (Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanze n. 2919 del 2010 e n. 4232 del 2010; TAR Lazio, sezione II quater, sentenza n. 2681 del 2011);

che il giudice amministrativo ha ritenuto, peraltro anche alla luce dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di dover privilegiare l’interpretazione secondo cui la legge n. 94 del 2009 non può trovare applicazione in ordine a coloro che hanno maturato i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno anteriormente alla sua entrata in vigore e che, quindi, la novella in questione si applica ai minori affidati dopo la sua entrata in vigore, o anche affidati prima, ma che compiano la maggiore età almeno due anni dopo l’entrata in vigore della citata legge, in modo da consentire agli stessi di partecipare al progetto biennale;

che il remittente, invece, come si è accennato, omette di esplorare altre possibilità interpretative e trascura del tutto la sussistenza di un non irragionevole, diverso, dato giurisprudenziale, per affermare, di fatto, la unicità della interpretazione sottoposta al giudizio di questa Corte;

che, pertanto, va dichiarata la manifesta inammissibilità della questione, per non avere il giudice remittente adempiuto l’obbligo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata (ex multis, ordinanza n. 15 del 2011).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), così come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, parametro l’ultimo, evocato con riguardo all’art. 2, lettera h), della direttiva 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (Direttiva del Consiglio recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri), e dell’art. 1, comma 1, della risoluzione CE del 26 giugno 1997 (Risoluzione del Consiglio sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi), nonché al principio di «sviluppo e consolidamento dello Stato di diritto», dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente e Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2011.

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