Esercizio dell’azione per danno all’immagine da parte della Procura della Corte dei conti – Corte Costituzionale, Ordinanza n. 220/2011
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 103 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia
Corte Costituzionale, Ordinanza n. 220 del 21/07/2011
Responsabilità amministrativa e contabile – Esercizio dell’azione per danno all’immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall’art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell’illecito amministrativo) – Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale – Prevista nullità di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all’azione di chiunque vi abbia interesse.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, nel procedimento vertente tra O.L. e il Procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con ordinanza del 27 aprile 2010, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione di O.L. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, ha sollevato, in relazione agli articoli 3, primo comma, 24 e 103 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141;
che il giudice a quo premette che la Procura contabile aveva chiesto la condanna di un dirigente comunale per danno erariale conseguente, da un lato, alla distrazione di somme stanziate dal Ministero delle attività produttive a favore di una determinata società, dall’altro per il pregiudizio arrecato all’immagine del Ministero stesso;
che, essendo stato prosciolto in sede penale, il ricorrente ha chiesto alla Corte remittente di dichiarare nulli gli atti istruttori e processuali posti in essere dalla Procura;
che il giudice a quo assume che il censurato comma 30-ter dell’art. 17 – nella parte in cui sancisce la nullità degli atti istruttori e processuali salvo il caso in cui sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione – si applica a tutti i procedimenti pendenti, con la conseguenza che sarebbe necessario declinare la giurisdizione e dichiarare la nullità degli atti compiuti;
che, con riferimento alla non manifesta infondatezza, si assume che il principio generale valevole in materia di successione di leggi processuali è quello della irretroattività;
che, con riguardo alla giurisdizione e alla competenza, l’art. 5 del codice di procedura civile prevede che esse si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda;
che rientra nella discrezionalità del legislatore regolare i rapporti pendenti e stabilire che la legge sopravvenuta si applica ad essi, purché ciò non vada a ledere il legittimo affidamento del cittadino;
che tale lesione non si ha soltanto nel caso in cui la scelta legislativa sia ragionevole e sorretta da una esigenza inderogabile;
che, nella specie, la norma censurata lederebbe il legittimo affidamento della Procura contabile che «non può ricevere danno dal cambiamento delle regole del processo» che inibiscono «poteri e garanzie processuali» che spetterebbero alla Procura stessa in base alla legge abrogata;
che tale compromissione di «posizioni soggettive processuali acquisite e consolidate», si aggiunge, non troverebbe «alcuna giustificazione in relazione ad altre esigenze di ordine costituzionale»;
che tale conclusione sarebbe contraddetta dal fatto che un affidamento qualificato potrebbe sorgere soltanto in presenza di una sentenza anche non definitiva;
che venendo in rilievo atti «che si compiono in modo istantaneo, l’affidamento nasce, e si consolida, nello stesso istante in cui l’atto viene ad esistenza»;
che, sotto altro aspetto, la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., se si assume come tertium comparationis l’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile);
che, infatti, la disposizione in esame impedirebbe il funzionamento dei meccanismi propri della traslatio iudicii, atteso che «la nullità dell’atto di citazione importa la mancata conservazione degli effetti processuali della domanda» (si cita la sentenza n. 77 del 2007 di questa Corte);
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 24 e 103 Cost. per mancata indicazione delle ragioni della loro violazione;
che, sempre in via preliminare, si assume la inammissibilità della questione per irrilevanza, atteso che «quale che sia la sorte degli atti processuali compiuti prima dell’entrata in vigore della norma della cui costituzionalità si dubita», resta fermo che, alla luce di quanto previsto dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), non oggetto di censura, «non è comunque possibile pervenire alla condanna per danno all’immagine dell’amministrazione laddove, come nel caso in esame, è pacifico, che il dipendente sia stato prosciolto da ogni addebito in sede penale»;
che, in definitiva, si sottolinea come una eventuale pronuncia di incostituzionalità non potrebbe avere alcun riflesso sul processo in corso;
che, nel merito, si precisa, innanzitutto, come la nullità non colpirebbe tutto il procedimento ma soltanto gli atti relativi alla contestazione del danno all’immagine;
che, secondo la difesa statale, ciò che in astratto potrebbe ritenersi lesivo delle prerogative della parte pubblica è la limitazione della risarcibilità di determinati danni e non la nullità degli atti che «ne è inevitabile conseguenza»;
che, infatti, anche se l’atto non fosse nullo non potrebbe comunque intervenire una condanna;
che, nell’ultima parte dell’atto difensivo, si richiama la sentenza n. 371 del 1998 con cui questa Corte ha escluso l’illegittimità della previsione di limiti alla configurazione della responsabilità contabile sotto il profilo soggettivo;
che si conclude affermando che «l’intervento del legislatore, tutt’altro che illogico attese le peculiari caratteristiche del danno di cui si chiede il risarcimento, non comporta (…) una limitazione del diritto di difesa ovvero una limitazione della giurisdizione (…). Le norme censurate non escludono la astratta azionabilità di un’azione di risarcimento del danno all’immagine, ma ne individuano l’area regolamentando in maniera equilibrata i tempi e le modalità attraverso le quali può giungersi al risarcimento»;
che si è costituita in giudizio la parte attrice del giudizio a quo chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Considerato che la Corte di conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con ordinanza del 27 aprile 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, per asserita violazione degli articoli 3, 24 e 103 della Costituzione;
che la questione è manifestamente inammissibile;
che la norma censurata prevede che le Procure regionali della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche);
che il richiamato art. 7 della legge n. 97 del 2001, a sua volta, allo scopo di delimitare l’ambito applicativo dell’azione risarcitoria, fa riferimento alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale;
che la norma in esame – al fine di disciplinare il periodo transitorio di passaggio dal previgente sistema al nuovo – prevede la nullità di ogni atto istruttorio e processuale compiuto dalla Procura contabile, al di fuori dei casi previsti dal citato art. 7, prima dell’entrata in vigore della legge di conversione;
che il giudice a quo censura la disposizione in esame nella parte in cui è sancita tale nullità, in quanto sarebbe leso, senza una ragionevole giustificazione, l’affidamento della Procura «al mantenimento di posizioni soggettive processuali acquisite e consolidate»;
che il remittente, nella prospettazione della questione, non motiva adeguatamente in ordine alla rilevanza della questione stessa;
che, infatti, pur risultando esplicitamente dal contenuto dell’ordinanza che il dipendente è stato prosciolto con sentenza definitiva, sia dal reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, sia dal reato di concorso in falso ideologico, non si indicano in alcun modo le ragioni per le quali l’eventuale accoglimento della questione, con consequenziale salvezza degli atti processuali e istruttori posti in essere nel corso delle indagini contabili, possa incidere sulla fattispecie concreta oggetto di giudizio;
che, in altri termini, il giudice a quo avrebbe dovuto esplicitare le motivazioni per le quali la prosecuzione eventuale del giudizio – in ragione della conservazione della valenza processuale dell’attività realizzata dalla Procura, quale conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale – avrebbe potuto condurre, nonostante l’intervenuta adozione di una sentenza penale di proscioglimento per i fatti contestati al dipendente, all’accertamento della responsabilità amministrativa del dipendente stesso per lesione dell’immagine della pubblica amministrazione;
che tale difetto motivazionale impedisce a questa Corte una valutazione nel merito della questione sollevata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 103 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente e Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2011.