Riciclaggio – Per la configurazione del reato non rileva la tracciabilità dei flussi finanziari – Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza n. 26764/2011
Riguardo alla dedottà non ipotizzabilità del reato di cui all’art. 648-bis c.p., in presenza di una completa tracciabilità dei flussi finanziari, si rileva come il riciclaggio si considera integrato anche nel caso in cui venga depositato in banca denaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito il denaro viene automaticamente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tandundem (Sez. II, 6 novembre 2009, n. 47375; Sez. VI, 15 ottobre 2008, n. 495; Sez. II, 15 aprile 1986, n. 13155). Infatti, in tale fattispecie delittuosa non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata. Proprio in base a tali principi, si è affermata la sussistenza del reato di riciclaggio anche nella condotta di mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro conto corrente di un diverso istituto bancario.
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Cassazione Penale, Sezione Sesta, Sentenza n. 26746 del 07/07/2011
Svolgimento del processo
1. – Con decreto del 27 novembre 2008 il G.i.p. del Tribunale di Roma disponeva il sequestro preventivo delle somme giacenti sui conti correnti n. (€ 1.790.00,00) e 4283-00 (€ 1.670.000,00) presso la banca [OMISSIS], conti intestati rispettivamente a I. D. P. e M. D. P., figli di G. D. P., nei cui confronti risultava emessa una misura cautelare, perché a capo di un’associazione criminale che gestiva numerose società utilizzate per realizzare reati di evasione fiscale e truffe ai danni di enti pubblici.
Al sequestro si era giunti a seguito di una segnalazione di operazioni sospette ex art. 21 decreto_legislativo_231_2007 riguardanti movimentazioni di ingenti somme di denaro provenienti dalle società E. S.c. e L. T. E., facenti parte del gruppo gestito da G. D. P., dirette ai due conti correnti della banca [OMISSIS] intestati ai suoi figli I. e M. In particolare, l’8.9.2006 veniva effettuato un versamento di assegni circolari provenienti dalla E.. S.c. nei due conti per un importo complessivo di € 1.280.000,00; il 15.12.2006 la società L. T. E., con un’operazione di giroconto, accreditava sugli stessi conti correnti la somma complessiva di € 1.680.000,00.
Secondo il provvedimento del G.i.p. i versamenti erano stati giustificati come corrispettivo di cessione di quote sociali, che erano state acquistate da I. e M. D. P. nel gennaio 2004 ad un prezzo enormemente inferiore, pari ad € 4.128,00 ciascuno, quote relative, alla società A. s.r.l.
Al momento della vendita il valore di tali quote era stato gonfiato artificiosamente, attraverso la formale intestazione alla società partecipata di beni immobili, successivamente transitati ad altre società del gruppo A. senza pagamento del corrispettivo, in questo modo realizzando l’appropriazione indebita di somme di denaro in danno delle società [OMISSIS] e [OMISSIS].
Infatti, il reato di appropriazione indebita aggravata veniva ipotizzato nei confronti di G. D. P. e di A. in qualità di gestori di fatto delle due società (E. e L. T.), mentre nei confronti di I.D.P e M.D.P. si configuravano i gravi indizi per il reato di riciclaggio. A carico di G.D. P., inoltre, si ipotizzava anche il reato di cui all’art. 12-quinquies legge n. 356 del 1992, per avere attribuito fittiziamente la titolarità delle società.
Pertanto, il sequestro del denaro sui conti correnti presso la banca [OMISSIS] veniva giustificato come provento del reato di appropriazione, in quanto dopo l’accreditamento non si era registrato alcun ulteriore movimento contabile; inoltre, il denaro proveniente dalle società E. e L. T. veniva considerato anche il prodotto del reato di riciclaggio e come tale assoggettabile a confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 648-quater c.p.
Inoltre, il G.i.p. disponeva il sequestro, in funzione della confisca di cui all’art. 12-sexies legge n. 356/1992, delle ulteriori somme giacenti nei conti correnti di I. e M. D. P., rilevando una evidente sproporzione tra i redditi dichiarati per l’anno 2007, pari a € 43.950,00, e le somme depositate sui conti, con un saldo attivo di € 1.670.000,00 (M. D. P.) e 1.790.000,00 (I. D. P.).
In conclusione, si riteneva che il denaro affluito nei due conti correnti dei fratelli D. P. fosse da ricondurre alle attività illecite dell’associazione diretta da G. D. P. e l’operazione di intestazione di beni ai due figli serviva a occultare i proventi illeciti, lasciandoli comunque nella sua piena disponibilità.
2. – Sulle istanze di riesame dei D. P. il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 24 dicembre 2008, confermava il sequestro, ma tale ordinanza veniva annullata dalla Cassazione, con sentenza del 13 maggio 2010, che rilevava l’omessa verifica circa la sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, attraverso il confronto degli elementi forniti dall’accusa e delle argomentazioni dedotte dalla difesa. In particolare, la Corte di legittimità accoglieva il motivo con cui era stata dedotta la violazione dell’art. 125 c.p.p., per mancanza totale della motivazione in ordine alle doglianze difensive contenute nell’ istanza di riesame e che il Tribunale aveva considerato erroneamente attinenti al merito. In altri termini si riteneva che il Tribunale non avesse assolto l’onere di valutare le questioni poste dalla difesa e il loro rilievo sulla sussistenza del fumus delicti.
3. – In sede di rinvio, il Tribunale di Roma, con l’ordinanza in epigrafe aveva nuovamente confermato il sequestro preventivo.
4. – L’avvocato R. R., richiamando i motivi dedotti nel ricorso per cassazione, ha censurato l’ordinanza per mancanza assoluta di motivazione avendo il Tribunale, ancora una volta, omesso di esaminare le acquisizioni documentali difensive e la consulenza contabile prodotta.
Inoltre, il difensore rileva come il giudice del rinvio non abbia offerto alcuna risposta alla questione della qualificazione della condotta del D. P. nello schema dell’art. 2634 c.c., anziché nel reato di appropriazione indebita, con conseguente improcedibilità per difetto di querela.
Sotto un diverso profilo rileva che l’ordinanza abbia omesso di valutare l’esistenza del danno patrimoniale derivante dall’appropriazione indebita.
Con riferimento al riciclaggio, il ricorrente rileva la non ipotizzabilità del reato dal momento che i flussi finanziari risultano completamente tracciabili e non vi è stata alcuna operazione diretta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delle somme di denaro, essendosi trattato di operazioni regolari anche sul fronte tributario e documentate in atti pubblici. Inoltre, sostiene che non può attribuirsi ad I. e M. D.P. il reato di riciclaggio se gli stessi hanno concorso con il padre, agevolando la realizzazione del reato presupposto.
Motivi della decisione
5. -Il ricorso è infondato.
5.1. – Quanto al primo motivo, si rileva che il Tribunale contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, questa volta ha offerto una serie di risposte alle deduzioni difensive.
Infatti, il Tribunale, quale giudice del rinvio, ha esaminato le argomentazioni della difesa contenute nella memoria tecnica, ma ha ritenuto che non facessero venire meno la sussistenza del fumus, mettendo in crisi il fondamento del decreto di sequestro disposto dal G.i.p.
Si è così ribadito che le operazioni di movimentazione sui conti correnti intestati ai figli seguivano lo svuotamento programmato di alcune società del gruppo D. P., che in questo modo si sarebbe appropriato indebitamente di cospicue somme di denaro, mediante riciclaggio e intestazioni fittizie.
L’ordinanza impugnata, inoltre, prende in esame le ricostruzioni della difesa, secondo cui si tratterebbe di operazioni corrette che non hanno portato all’aumento artificioso del valore delle società, in quanto il prezzo di acquisto delle quote (€ 4.128,00) era stato frutto di una libera pattuizione. Secondo i giudici la concatenazione e le peculiarità delle operazioni smentiscono la tesi difensiva: in altri termini, viene evidenziata la necessità di dare una lettura complessiva dei fatti, non potendo trascurarsi la collocazione temporale delle operazioni, comprese quelle concernenti la scissione della società A. e le successive cessioni di quote; inoltre, si prende in considerazione il trasferimento di immobili da una società ad un’altra in funzione di aumentare il valore delle quote e di conservare gli immobili all’interno del gruppo; né è indifferente, secondo i giudici, la circostanza che tutte le società coinvolte facessero capo a G. D. P., originario titolare delle quote fittiziamente cedute ai figli. In sostanza, secondo il Tribunale trova conferma l’ipotizzato meccanismo di svuotamento di alcune società del gruppo e del correlato deflusso di somme di denaro dalle società ai conti dei figli di D. P., con conseguente sussistenza del fumus dei reati contestati, sia quello di appropriazione indebita a carico di quest’ultimo, che del reato di riciclaggio a carico di I. e M. D. P.
Pertanto, dinanzi alle argomentazioni come sopra sintetizzate deve escludersi la sussistenza del dedotto vizio di mancanza assoluta di motivazione. Peraltro, il Tribunale si è coerentemente adeguato rispetto a quanto stabilito dalla sentenza di annullamento.
5.2. – Per quanto riguarda la mancata risposta sulla qualificazione della condotta del D. P. nell’ipotesi di cui all’art. 2634 c.p. si osserva che in sede di legittimità non è censurabile la decisione per il suo silenzio su specifiche deduzioni prospettate con il gravame quando le stesse sono disattese dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (tra le tante v., Sez. II, 26 maggio 2009, n. 33577, Bevilacqua; Sez. II, 19 maggio 2004, n. 29434, Candiano). Infatti, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione di tutte le tesi difensive disattese, essendo sufficiente che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della, deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa.
Nel caso in esame dalla complessiva impostazione dell’ordinanza impugnata emerge come la configurabilità del diverso reato previsto dal citato art. 2634 c.c. non sia stata presa neppure in esame, perché i giudici hanno pienamente condiviso le scelte interpretative contenute nel provvedimento di sequestro.
5.3. – Infondato è anche il motivo con cui si censura l’ordinanza per avere omesso di valutare la sussistenza del danno patrimoniale derivante dall’appropriazione illecita.
Anche su questo punto il Tribunale ha dato una risposta coerente, là dove ha ricostruito le operazioni poste in essere dal D. P., spiegando che il reato appropriativo si è realizzato, almeno a livello di fumus delicti, attraverso il meccanismo di svuotamento delle società del gruppo, con conseguente deflusso di somme di denaro sui conti dei figli M. e I.
5.4. – Quanto alle critiche circa la configurabilità del reato di riciclaggio in capo ai figli del D. P., si tratta di una questione che, allo stato degli atti, viene giustificata dall’ordinanza impugnata su una base fattuale che in quanto coerentemente motivata non può essere oggetto di critica in sede di legittimità. Infatti, i giudici hanno affermato che non vi sono elementi probatori tali da far ritenere che i fratelli M. e I. D. P., sebbene formalmente titolari delle quote cedute, abbiano partecipato alla appropriazione indebita ai danni delle società, anche perché si è escluso che vi ricoprissero ruoli anche solo di fatto. Quindi, nella ricostruzione dell’ordinanza il reato di riciclaggio viene attribuito ai fratelli D. P. perché si sono resi “disponibili a ricevere sui rispettivi conti” le somme oggetto dell’appropriazione indebita.
5.5. – Infine, riguardo alla dedotta non ipotizzabilità, nel caso di specie, del reato di cui all’art. 648-bis c.p., in presenza di una completa tracciabilità dei flussi finanziari, si rileva come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riciclaggio si considera integrato anche nel caso in cui venga depositato in banca denaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, per il solo fatto dell’avvenuto deposito il denaro viene automaticamente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante il mero tandundem (Sez. 11, 6 novembre 2009, n. 47375, Di Silvio; Sez. VI, 15 ottobre 2008, n. 495, Argiri Carrubba Sez . II, 15 aprile 1986, n. 13155, Ghezzi). Infatti, in tale fattispecie delittuosa non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata. Proprio in base a tali principi, si è affermata la sussistenza del reato di riciclaggio anche nella condotta di mero trasferimento del denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente ad un altro conto corrente di un diverso istituto bancario (Sez. Il, 6 novembre 2009, n. 47375, Di Silvio).
Tornando al caso in esame, l’operazione di svuotamento delle casse delle società e il successivo deflusso del denaro nei conti correnti di soggetti del tutto estranei alla compagine societaria ha costituito indubbiamente un ostacolo alla “tracciabilità”, intesa nel senso sopra indicato, del denaro.
6. – In conclusione, l’infondatezza dei motivi proposti determina il rigetto dei ricorsi, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2011