Esercizio del diritto di riscatto di servizi pubblici – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3604/2011
L’esercizio del riscatto non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire in fatto il riscatto non accordandosi con l’amministrazione.
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Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 3604 del 14/06/2011
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 2619/2010 il Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, ha respinto il ricorso proposto da Enel Sole s.r.l. avverso gli atti con cui il comune di Palosco ha esercitato il riscatto degli impianti di pubblica illuminazione, in precedenza gestiti dalla società ricorrente.
Enel Sole s.r.l. ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.
Il comune di Palosco si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione da parte di Enel Sole s.r.l., titolare del servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica situati nel comune appellato, degli atti con cui lo stesso comune ha deciso di esercitare il riscatto degli impianti ai sensi del R.D. n. 2578/1925 e del D.P.R. n. 902/1986.
Il giudice di primo grado ha ritenuto tardive le censure relative al mancato rispetto del termine previsto dal terzo comma dell’art. 24 del DPR 2578/1925, secondo cui: “Il riscatto deve essere sempre preceduto dal preavviso di un anno” e ha poi giudicato infondati i restanti motivi attinenti allo stato di consistenza e all’indennità, al subentro dei contratti e alla mancata contestuale indizione di una gara per l’affidamento del servizio.
Enel Sole s.r.l. contesta tali statuizioni e sostiene in primo luogo che la violazione del termine annuale di cui al citato art. 24 non può essere riferita al primo atto adottato dall’amministrazione comunale di avvio del procedimento di riscatto e che l’ingiunzione alla consegna degli impianti è avvenuta prima del decorso del termine annuale,
Il motivo è privo di fondamento, anche se per ragioni diverse da quelle fatte proprie dal Tar.
E’ condivisibile la tesi dell’appellante, secondo cui il primo atto adottato dal Comune costituisce una comunicazione di avvio del procedimento di riscatto, inidonea a incidere sulla questione del termine annuale, il cui rispetto non può che essere verificato a posteriori.
Tuttavia, va rilevato come l’art. 24 del r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578, secondo cui il potere di riscatto deve essere esercitato con il preavviso di un anno, trova applicazione per le concessioni di servizi già affidati ai privati che vengono a risolversi prima della naturale scadenza contrattuale (Consiglio Stato, sez. V, 10 maggio 1994, n. 451).
Nel caso di specie, l’originaria concessione trentennale, affidata all’appellante senza gara nel 1979, era scaduta al momento dell’acquisizione degli impianti a seguito dell’esercizio del riscatto e non poteva considerarsi tacitamente prorogata in base ad una apposita clausola della convenzione, in quanto prima della scadenza era entrato in vigore l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, che ha introdotto il divieto di rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, con la previsione – inserita in sede di successive modifiche – della nullità dei contratti stipulati in violazione del predetto divieto.
A seguito dell’entrata in vigore della citata disposizione deve ritenersi che non possano sopravvivere le clausole di rinnovo tacito di contratti o convenzioni, potendo al massimo porsi la questione della possibilità di procedere – in base a clausole espresse – al rinnovo con provvedimento esplicito (Consiglio Stato, sez. V, 11 maggio 2004, n. 2961 ha ritenuto che il divieto coinvolge solo le manifestazioni di volontà espresse in modo non formale o tacitamente dalle pubbliche amministrazioni e che è, invece, ammissibile che un contratto venga prolungato con provvedimento espresso in base ad una clausola preventivamente conosciuta in sede di affidamento del servizio con procedura di evidenza pubblica).
Il citato precedente conferma l’inapplicabilità della proroga nel presente caso sia perché avvenuta tacitamente, sia per l’autonoma ragione dell’essere stata prevista in una clausola non conosciuta dal mercato al momento dell’originario affidamento, avvenuto senza procedura di evidenza pubblica.
L’assenza di una valida proroga della convenzione e il proseguimento del rapporto in via di mero fatto impediscono l’applicabilità del citato art. 24 nella parte in cui garantisce le concessioni in corso con la previsione di un termine annuale che deve precedere l’esercizio del diritto di riscatto.
Il Comune ha, quindi, legittimamente esercitato il riscatto nell’imminenza della scadenza dell’originaria convenzione, non prorogata, con provvedimento posto in esecuzione a convenzione scaduta, che, di conseguenza, non ha interferito con il necessario preavviso di un anno, applicabile a fattispecie in cui il riscatto deve essere posto in esecuzione quando la concessione è ancor in corso di validità.
3. Con ulteriore censura l’appellante deduce che il riscatto sarebbe avvenuto in modo irritale in assenza di un accordo delle parti sullo stato di consistenza, necessario per procedere alla determinazione della prevista indennità.
Anche tale motivo è infondato, in quanto l’esercizio del riscatto non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire in fatto il riscatto non accordandosi con l’amministrazione.
Come correttamente rilevato dal Tar, nel sistema delineato dalla legge e dalla convenzione stipulata tra il Comune e Enel, è prevista espressamente la possibilità, in caso di mancato accordo, di rimettere la questione ad un apposito collegio arbitrale, senza che il trasferimento degli impianti possa essere procrastinato ad un momento successivo all’avvenuta definizione e liquidazione dell’indennizzo dovuto.
Infatti, l’art. 24, comma 2, r.d. n. 2578/1925 prevede che “L’ammontare dell’indennità può essere determinato d’accordo fra le parti … In mancanza dell’accordo decide in primo grado, con decisione motivata, un collegio arbitrale composto di tre arbitri, di cui uno è nominato dal consiglio comunale, uno dal concessionario ed uno dal presidente del tribunale nella cui giurisdizione è posto il comune” (ricorso all’arbitrato, previsto anche dagli art. 12 e ss. Del d.P.R. n. 902/1986, che si limita a prevedere – all’art. 11 – che “lo stato di consistenza costituisce la base per la determinazione dell’indennità di riscatto”, senza assegnare allo stesso alcun valore di necessario presupposto per l’esercizio del riscatto).
La quantificazione e il pagamento dell’indennizzo, compreso il presupposto stato di consistenza, sono, quindi, questioni che esulano dall’oggetto della presente controversia, che è costituito dalla legittimità dell’esercizio del riscatto, che non è incisa da una eventuale contestazione dell’indennizzo dovuto.
4. Prive di fondamento sono anche le censure, con cui l’appellante deduce il vizio dello sviamento di potere, che risulterebbe integrato dall’aver il comune ingiunto la riconsegna degli impianti senza aver contestualmente bandito una nuova gara per l’affidamento del servizio.
Anche in questo caso si tratta di una questione che esula dalla verifica della legittimità dell’esercizio del riscatto, che si pone su un piano logico e temporale in un momento antecedente rispetto alle decisioni che l’amministrazione deve assumere per la successiva gestione del servizio.
Pur avendo il Tar fatto impropriamente riferimento ad un “periodo transitorio”, si osserva come il riscatto e l’effettiva consegna degli impianti non può che precedere il successivo affidamento del servizio e come sia tecnicamente arduo, se non impossibile, immaginare l’indizione di una gara contestualmente al provvedimento di riscatto, senza avere certezze sui tempi di esecuzione del provvedimento, sulla consistenza dei beni e, quindi, su elementi in base ai quali vanno redatti gli atti della gara.
Ogni ulteriore considerazione, svolta dall’appellante nelle ultime memorie e in sede di discussione orale, attiene all’attività posta in essere dal comune dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati e non può costituire parametro per valutare la legittimità degli stessi, potendo al più essere oggetto di contestazione in separati giudizi, ove l’appellante ritenga leso il proprio interesse a concorrere per l’affidamento del servizio.
5. Le precedenti considerazioni conducono a ritenere priva di fondamento anche la censura relativa alla presunta illegittimità del subentro nei contratti da parte del comune, disposto ai sensi dell’art. 24, comma 9, del r.d. n. 2578/1925.
Accertato che non è possibile procedere contestualmente all’esercizio del riscatto e alla indizione di una gara, logica conseguenza comporta che le esigenze di continuità del servizio impongano al comune di entrare in possesso degli impianti, subentrando – ai sensi del citato art. 24, comma 9 – nei contratti in essere fino all’indizione e positiva conclusione di una nuova gara per l’affidamento del servizio.
Risulta, pertanto, chiaro che il citato art. 24, comma 9, non può ritenersi tacitamente abrogato con riferimento al servizio di pubblica illuminazione qui in esame.
Correttamente, dunque, il Tar ha ritenuto che legittimamente l’amministrazione ha preteso il rilascio dei suddetti contratti, a nulla rilevando l’eventuale contenuto di dati sensibili (la riservatezza dei quali viene superata dalla previsione di legge del subentro nel contratto).
6. E’, infine, inammissibile – in quanto motivo nuovo proposto in appello – la censura attinente alla contestazione del potere di ordinanza del comune, anche inteso quale forma di esercizio dell’autotutela.
Il motivo è stato infatti sviluppato nel solo ricorso in appello con argomentazioni non presenti negli atti notificati in primo grado.
La censura è, comunque, infondata nel merito, in quanto l’ordinanza di ingiunzione alla consegna degli impianti costituisce atto meramente esecutivo dei precedenti provvedimenti, la cui legittimità è stata in questa sede confermata.
7. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto, benché sulla base di motivazioni parzialmente diverse da quelle contenute nell’impugnata sentenza.
Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 5.000,00, oltre Iva e C.P..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14/06/2011