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DINIEGO VISTO DI INGRESSO PER TURISMO – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3503/2011

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3503 del 08/06/2011

FATTO

Con l’appello in esame, il Ministero degli Affari Esteri impugna la sentenza 24 giugno 2009 n. 6064, con la quale il TAR Lazio, sez. I quater, accogliendo il ricorso proposto da [OMISSIS], ha annullato il provvedimento (n. rif. pratica 50237064), con il quale l’Ambasciata di Italia a Mosca ha respinto la richiesta di visto di ingresso per turismo presentata dal medesimo, poichè segnalato nel “Sistema informativo Schengen” (S.I.S.) tra i soggetti inammissibili in area Schengen.

Secondo il Tribunale, il provvedimento è affetto dai vizi di eccesso di potere per carenza di potere ed erroneità dei presupposti, poiché l’inserimento suddetto è avvenuto sui segnalazione dell’Estonia “prima della data in cui il Paese in esame è stato ammesso nel sistema Schengen alla cui tutela è funzionale la stessa segnalazione contestata”; da ciò consegue che “la segnalazione sia stata nella specie effettuata in carenza del relativo potere e debba essere, pertanto, considerata inesistente”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) violazione di legge; legittimità del provvedimento impugnato; ciò in quanto, in primo luogo, ai sensi dell’art. 4, co. 2, d. lgs. n. 286/1998 ed in deroga alla l. n. 241/1990, non sussiste obbligo di motivazione del diniego di visto di ingresso per turismo, stante l’esigenza di tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico, che giustifica la predetta deroga all’obbligo generale di motivazione. In secondo luogo, “il Ministero degli affari esteri di fronte alla presenza del nominativo del richiedente il visto nel SIS – legittima o illegittima per ora non rileva, fino a che permane – non può rilasciare il visto, non può valutare discrezionalmente la domanda”; al contempo, l’interessato che ritenga che l’inserimento sia illegittimo o frutto di un errore può attivarsi presso il servizio competente per ottenere la cancellazione;

b) erronea valutazione delle risultanze dell’istruttoria; ciò in quanto, “poiché per ragioni tecniche occorre un certo lasso di tempo per trasferire i dati delle banche dati nazionali a quelle del SIS”, ciò non può che avvenire anticipatamente rispetto all’ingresso del Paese nel Sistema, in quanto “il trasferimento deve essere assolutamete completato nel momento in cui l’ingresso del Paese nel Sistema Schengen diviene effettivo”. In ogni caso, “il dato precaricato diventa valido ed efficace alla data di effettivo ingresso dello Stato nell’area Schengen”. In ogni caso, alla data di presentazione della domanda di visto di ingresso, l’Estonia faceva già parte del sistema Schengen ed il nominativo del richiedente era “efficacemente presente nella banca dati”.

Con ordinanza 25 novembre 2009 n. 5879, questo Consiglio di Stato ha accolto la domanda di misure cautelari, disponendo la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, poiché “la normativa vigente fa riferimento al dato oggettivo dell’iscrizione nel SIS (sistema di informazione Schengen), senza alcun riferimento al tempo o alla modalità con cui il detto fatto si sia realizzato”.

Entrambe le parti hanno depositato memorie e, all’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato, in relazione ad entrambi i motivi proposti, e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

L’art. 4 del d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286, relativo all’ “ingresso nel territorio dello Stato”, prevede, tra l’altro, che “ l’ingresso nel territorio dello Stato è consentito allo straniero in possesso di passaporto valido o documento equipollente e del visto d’ingresso, salvi i casi di esenzione, e può avvenire, salvi i casi di forza maggiore, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti.” (comma 1). Ai sensi del successivo comma 2, “in deroga a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico il diniego non deve essere motivato, salvo quando riguarda le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22, 24, 26, 27, 28, 29, 36 e 39”, eccezioni tra le quali non rientra l’ingresso per motivi di turismo.

Infine, il comma 6, prevede che “ non possono fare ingresso nel territorio dello Stato e sono respinti dalla frontiera gli stranieri espulsi, salvo che abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, gli stranieri che debbono essere espulsi e quelli segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali.”.

Tra i casi di segnalazione “anche in base ad accordi e convenzioni internazionali in vigore in Italia”, richiamati dal predetto art. 4, che comportano il diniego di visto di ingresso in Italia., vi è quello derivante dall’accordo di Schengen, ratificato con legge 30 settembre 1993, n. 388.

L’art. 5 della convenzione applicativa di detto accordo, prevede che, per un soggiorno non superiore a tre mesi, l’ingresso nel territorio dei Paesi contraenti può essere concesso, a condizione, tra l’altro, che il soggetto non sia “segnalato ai fini della non ammissione” (comma 1, lett. d).

Il comma 2 prevede che “l’ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte queste condizioni, a meno che una Parte contraente ritenga necessario derogare a detto principio per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù di obblighi internazionali. In tale caso, l’ammissione sarà limitata al territorio della Parte contraente interessata che dovrà avvertirne le altre Parti contraenti.”.

Da quanto esposto, consegue che la condizione di “segnalato per la non ammissione” comporta l’obbligo per il nostro Paese – e quindi per gli organi amministrativi preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica – del rifiuto dell’ingresso, sulla base del mero presupposto dell’esistenza della segnalazione.

Ciò che, al contrario, deve essere oggetto di motivazione è la (eventuale) deroga (e quindi l’ingresso) che il Paese volesse disporre per motivi umanitari o per l’interesse nazionale ovvero per effetto di altri obblighi internazionali; deroga ammessa, ove tali ipotesi ricorrano, dallo stesso accordo di Schengen, ma comunque comportante la limitazione dell’ingresso al solo territorio nazionale del Paese che ad essa ricorre (e proprio perché di deroga si tratta).

In definitiva, e come sempre nel caso di atti vincolati, la sussistenza del presupposto previamente indicato dal legislatore per l’esercizio del potere (vincolato) della Pubblica amministrazione costituisce ragione sufficiente ed idonea per l’emanazione del tipo di provvedimento che la stessa norma previamente prevede nei casi considerati.

In buona sostanza, in ipotesi quali quella ora in esame, non ricorre nemmeno un caso di deroga all’art. 3 l. n. 241/1990, in ordine all’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (deroga, peraltro, prevista dall’art. 4 d. lgs. n. 286/1998), posto che, nel caso dei provvedimenti vincolati, la mera indicazione della sussistenza del presupposto indicato previamente dalla norma per l’esercizio del potere e l’adozione di un determinato provvedimento, assolve di per sé all’obbligo di motivazione del provvedimento medesimo, riducendosi appunto quest’ultima alla evidenziazione della corrispondenza tra il caso concreto oggetto del provvedimento ed il tipo normativo, astrattamente e previamente considerato dal legislatore.

Come già affermato anche dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, sussistendo una delle ipotesi contemplate dall’art. 4 d. lgs. n. 286/1998, l’amministrazione ben può limitarsi a richiamarne l’esistenza, senza necessità di ulteriori valutazioni (Cons,. St., sez. VI, 21 aprile 2008 n. 1803), così come, nel caso specifico di esistenza di segnalazione al S.I.S., essa non è tenuta a valutare le ragioni della segnalazione ovvero la correttezza dell’inserimento, esulando ciò dalle sue competenze e prevedendo l’Accordo di Schengen idonee procedure di verifica e, eventualmente, rettifica dei dati (Cons. St. sez. IV, 9 giugno 2009 n. 3559).

Quanto sin qui esposto, consente l’accoglimento del primo motivo di appello, avendo l’amministrazione degli Esteri legittimamente rifiutato il visto di ingresso all’appellato, in quanto segnalato ai fini della non ammissione.

Altrettanto fondato è il secondo motivo di appello.

In disparte ogni considerazione in ordine al potere del giudice amministrativo di disapplicazione di un atto non proveniente da organo amministrativo interno ed adottato nell’ambito di procedure previste da un accordo internazionale, occorre rilevare che appare del tutto ragionevole che – una volta deliberato l’ingresso di uno Stato nell’area Schengen – gli adempimenti previsti dall’accordo e necessari alla corretta applicazione delle garanzie, anche per gli altri Stati membri, da questo previste, intervengano prima dell’operatività della partecipazione medesima.

Ed infatti, se ciò non fosse, per un tempo più o meno lungo si otterrebbe il risultato della operatività dell’Accordo, ma senza le garanzie (come quella del non ingresso in area Schengen degli indesiderati) da tale accordo previste.

Ciò che rileva – come condivisibilmente rappresentato dall’appellante amministrazione – è che tutti gli adempimenti previamente effettuati (come, nel caso di specie, la segnalazione dei soggetti indesiderati) divengano operativi, e possano dunque produrre gli effetti che loro tipicamente si ricollegano, alla data fissata per il formale ingresso dello Stato nell’area Schengen.

Nel caso di specie, non vi è dubbio che, al momento di presentazione della domanda da parte dell’appellato, l’Estonia fosse pienamente in detta area e, quindi, non potevano che trovare legittima applicazione anche le segnalazioni da essa previamente effettuate, perché potessero essere operative contestualmente al suo formale ingresso in area Schengen.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

Stante la natura e complessità della questione trattata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero degli Affari Esteri (n. 7573/2009 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 08/06/2011

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