DINIEGO AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO DI UNA DISCOTECA – Consiglio di Stato, sentenza n. 3480/2011
Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 3480 del 08/06/2011
FATTO e DIRITTO
La Commissione di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo del Comune di Vasto, avuto riguardo alla documentazione inviata dalla parte richiedente e all’esito del sopralluogo effettuato, con verbale del 28.5.2009 esprimeva parere negativo sulla domanda inoltrata dalla sig.ra [OMISSIS] per ottenere l’autorizzazione all’esercizio di una discoteca nel proprio stabilimento balneare “La Cucciullela”.
Il parere negativo veniva impugnato dalla [OMISSIS], nella qualità di titolare della ditta “La Cucciulella S.a.s.”, dinanzi al T.A.R. per l’Abruzzo – Sezione di Pescara, deducendo alcuni profili di violazione di legge e di eccesso di potere.
Replicava alle censure la difesa della Commissione comunale di vigilanza con la propria memoria di costituzione in giudizio.
Il Tribunale, con ordinanza n. 2392009, accoglieva la domanda cautelare proposta con il ricorso ai “fini del riesame da parte della competente Commissione di vigilanza della domanda della ricorrente in relazione all’effettivo stato dei luoghi, alle norme comunali applicabili, tenendo conto, altresì, dei gravami contenuti nel ricorso”.
In esecuzione dell’ordinanza la Commissione, nuovamente riunitasi il 21.11.2009 anche con la presenza dei tecnici e dei difensori delle parti, confermava il parere negativo in precedenza espresso, indicando nuovamente i motivi ostativi da essa ravvisati.
Anche questo secondo verbale veniva impugnato dalla [OMISSIS], con motivi aggiunti con i quali si svolgevano le seguenti critiche:
1) la Commissione ha erroneamente ritenuto che non sarebbe rispettata l’altezza di m. 3 prescritta dall’art. 53 del regolamento edilizio comunale per i locali ad uso commerciale ed industriale, in quanto tale norma precisa che l’altezza va misurata “dal pavimento al soffitto o all’intradosso delle volte a due terzi di monta”, e nel caso specifico il locale è in gran parte sormontato da una volta a botte, così che correttamente il tecnico di parte ne ha determinato l’altezza media nella misura di mt. 3,20, quindi superiore a quella richiesta;
2) altrettanto erroneamente la Commissione ha ritenuto che quattro locali adibiti a servizi igienici non avessero l’altezza richiesta: come si desume dal pro-memoria che era stato inviato alla Commissione, infatti, altri quattro servizi igienici sono a norma e già sufficienti per 1.400 utenti; quanto ai quattro che non sono a norma, la società intende trasformarli in cabine, ma, se richiesto, ben può mettere anch’essi a norma, dal momento che hanno un’altezza di m 2,35 rispetto a m 2,40 richiesti;
3) illogico è il rilievo sulla inidoneità del servizio igienico per i disabili a causa della difficoltosa apertura della porta per mancanza di adeguato spazio di manovra: tale servizio è così in funzione da tempo senza cagionare alcun problema; la società aveva inoltre già dichiarato la propria disponibilità a modificare la direzione di apertura della porta, come suggerito dalla Commissione;
4) erroneamente la Commissione ha criticato la relazione fonometrica presentata dalla società in quanto le relative prove non sarebbero state effettuate in orari adeguati, né si chiariva se le stesse fossero state compiute a porte chiuse o aperte: da un più attento esame della relazione ben poteva dedursi che i dati rilevati erano proiettati anche rispetto alle ore notturne, e che erano disponibili anche i dati rilevati nelle precedenti stagioni balneari e, quindi, in estate, quando le porte del locale erano aperte, senza che venisse ricevuta alcuna lamentela da parte dei residenti;
5) la Commissione ha ritenuto che la differenza di livello di (appena) 8 cm tra il pavimento interno al locale e quello esterno costituisca motivo di pericolo per la pubblica incolumità: si tratta di un rilievo, però, illogico, sia in relazione all’entità del dislivello, sia perché le due zone sono ben differenziate e visibili, sia perché, infine, il dislivello adempie all’evidente quanto necessaria funzione di impedire alla acque piovane di espandersi all’interno;
6) la Commissione ha ritenuto che la recinzione esterna ubicata sul lato mare costituisca un ostacolo in caso di necessità di immediato sgombero del locale, ma non ha tenuto conto che la società aveva dichiarato che la recinzione sarebbe stata rimossa in occasione delle serate danzanti, e, se richiesto dalla Commissione, anche definitivamente;
7) nel secondo parere negativo della Commissione è stato, infine, ribadito che il piano del demanio marittimo regionale non prevede la possibilità di destinare le aree demaniali marittime a discoteca: sennonché, la concessione demaniale è stata rilasciata alla società per finalità “turistico-ricreative”, ed espressamente consente di impiegarne l’area per mq. 220 come “dancing”; in ogni caso, l’art. 4 del menzionato piano indica, nella lett. d), anche gli impianti sportivi e “ricreativi”, tra i quali vanno sicuramente comprese le discoteche;
8) in definitiva, il diniego impugnato si fonda su un ingiustificato atteggiamento di ostilità da parte della Commissione, sebbene già il bar, il ristorante ed il dancing della ricorrente operino col consenso manifestato dall’ASL, senza rilievi sulla loro altezza interna né sull’idoneità del servizio igienico per disabili; di fatto, l’unico possibile motivo ostativo sarebbe quello del piano del demanio marittimo, però infondato per quanto in precedenza evidenziato.
La difesa della Commissione di vigilanza intimata replicava con una nuova memoria ai motivi aggiunti, deducendone l’infondatezza.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 742 del 2010, per un verso dichiarava improcedibile l’originario ricorso, sul rilievo che il verbale del 28.5.2009 con esso impugnato doveva intendersi superato e sostituito dal successivo verbale del 24.11.2009, emesso a seguito di rinnovata istruttoria e gravato con i motivi aggiunti; per altro verso, respingeva questi ultimi.
Il TAR, infatti, una volta premesso che le ragioni ostative addotte dalla Commissione di vigilanza erano già singolarmente idonee a giustificare e sorreggere l’impugnato parere negativo, precisava che ciò valeva in modo particolare per il motivo della mancanza del requisito dell’altezza minima di mt. 3 sull’intera superficie del locale da destinare a discoteca. Sicché il Tribunale, dopo avere accertato l’infondatezza del primo motivo aggiunto di gravame, che proprio su tale requisito verteva, dichiarava assorbito l’esame degli altri motivi aggiunti, risultando il rilievo della mancanza del requisito dell’altezza minima del locale correttamente opposto dalla Commissione, e di per sé sufficiente a fondarne il parere negativo.
Avverso tale sentenza la [OMISSIS] proponeva il presente appello, con il quale venivano riproposte le doglianze, argomentazioni e richieste già formulate in primo grado, e censurata la pronuncia del primo giudice per averle disattese.
Si costituiva in resistenza all’impugnativa anche in questo grado di giudizio l’Amministrazione intimata, che deduceva l’inammissibilità dell’appello e comunque la sua infondatezza, concludendo per la sua reiezione.
Parte appellante, dal canto suo, con due successive memorie insisteva per l’accoglimento del proprio gravame.
Alla pubblica udienza del 24 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Si può prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità opposta dalla difesa dell’Amministrazione appellata sul rilievo che l’appellante avrebbe contravvenuto all’art. 101, comma 1, C.P.A., in quanto il presente gravame è chiaramente infondato nel merito.
La posizione della richiedente si rivela effettivamente manchevole del requisito dell’altezza minima di mt. 3 prescritta dall’art. 53 del regolamento edilizio comunale per i locali ad uso commerciale ed industriale, carenza il cui carattere assorbente merita parimenti di essere confermato.
Al riguardo è opportuno ricordare subito la motivazione della decisione del primo giudice.
Non forma oggetto di contestazione in giudizio, ha rilevato il T.A.R., l’applicabilità dell’art. 53 del regolamento edilizio comunale, bensì solo le modalità con cui applicarlo.
“In particolare:
– ad avviso della Commissione, l’altezza minima di tre metri deve sussistere su tutta la superficie del locale da destinare a discoteca, mentre nel calcolo riportato nella relazione tecnica allegata alla domanda della società sono comprese anche le superfici di altezza inferiore;
– ad avviso della società ricorrente, è sufficiente che l’altezza minima di 3 m sia rispettata con il calcolo della “media” delle diverse altezze esistenti sull’intera superficie del locale, ivi includendo quelle parti con altezza inferiore e ciò perché parte del locale è coperto da una volta a botte e dovendo, in tal caso, ai sensi del menzionato art. 53, l’altezza misurarsi dal pavimento “all’intradosso delle volte a due terzi della monta” e la “media” dell’altezza minima esistente è, quindi, di m 3,20.
Ciò posto, rileva il Collegio che l’art. 53 del regolamento edilizio comunale in nessun punto stabilisce che l’altezza minima di m 3 può risultare dalla “media” delle varie altezze esistenti all’interno dei locali destinati ad attività commerciali o industriali, anzi, proprio perché menziona l’altezza di m 3 come “minima” necessaria, essa deve sussistere in ogni punto della superficie del locale: più correttamente, allorché l’art. 53 stabilisce che per le coperture a volta, quindi anche a botte, l’altezza va misurata dal pavimento a due terzi della monta, si riferisce esclusivamente alla parte così coperta, ma da ciò non si può affatto dedurre, in mancanza di una espressa e derogatoria previsione in tal senso, che l’eccedenza possa essere recuperata per sopperire alla parti di superficie del locale con altezza inferiore a 3 m non sormontata dalla copertura a volta o a botte” (così la sentenza n. 7422010 in epigrafe).
Contro le argomentazioni del Tribunale vengono in particolare sollevate, con il presente appello, le seguenti osservazioni critiche:
– nel caso di un locale come quello sub judice, in parte con volta a cupola ed in parte con soffitto parallelo al pavimento, l’altezza interna, in applicazione dell’art. 53 cit., andrebbe misurata unicamente dal pavimento all’intradosso della volta a due terzi della monta, operazione che condurrebbe ad un risultato finale di mt. 3,05;
– una valutazione basata su una media tra altezze diverse è in ogni caso connaturata, nella logica della regola dettata dall’art. 53 cit., alla presenza di un soffitto a volta, giacché ogni locale in regola con l’altezza misurata a norma della relativa disposizione (dal pavimento ai due terzi della monta) farebbe comunque registrare, all’esterno delle perpendicolari partenti dai due terzi della monta, delle altezze inferiori ai tre metri;
– lo stesso art. 53 del regolamento comunale governa anche l’uso del locale come bar-ristorante, uso che però è stato autorizzato dall’Amministrazione senza difficoltà.
Osserva la Sezione che le critiche esposte non valgono a scalfire il solido argomento del Tribunale per cui l’art. 53 del regolamento edilizio comunale non stabilisce affatto che l’altezza minima di mt. 3 possa risultare anche da una “media” delle varie altezze esistenti all’interno del locale, ché, anzi, proprio perché il testo normativo definisce l’altezza di mt. 3 come “minima” necessaria, esso depone nel senso esattamente opposto.
Né la possibilità di soddisfare il requisito della prescritta altezza minima attraverso una mera media delle altezze interne può essere inferita dalla regola dettata, in seno all’art. 53, per la misurazione dell’altezza in presenza di un soffitto a volta. La relativa prescrizione (che impone di avere riguardo, come è già emerso, all’ “intradosso delle volte a due terzi della monta”) serve, difatti, al solo scopo di stabilire in quale modo debba misurarsi l’altezza interna in presenza di una copertura non orizzontale, ed in ciò essa risolve il proprio contenuto e la propria valenza prescrittiva, senza quindi fornire alcun supporto alle tesi dell’appellante.
Anche a tutto voler ipoteticamente concedere, però, e quindi a ritenere per un attimo praticabile un’interpretazione basata sulla media delle altezze interne, essa potrebbe, al limite, valere a far considerare non impeditivo un deficit di altezza confinato entro una quota ristretta della superficie complessivamente interessata. Ma sicuramente una simile interpretazione non sarebbe invece proponibile in un caso come quello corrente, in cui la parte del locale avente il soffitto normalmente orizzontale, che è quella deficitaria, corrisponde, come ha fatto notare la difesa dell’Amministrazione, alla porzione più estesa dell’esercizio, pari a mq. 233, mentre la parte con il soffitto a volta curva misura mq. 169 (secondo i dati forniti dalla relazione tecnica presentata dalla stessa ditta ricorrente).
Sotto altro profilo, si osserva che la porzione di locale più estesa, quella avente appunto un normale soffitto orizzontale, ha un’altezza media pari a mt. 2,45, secondo verifiche della Commissione che non sono mai state confutate (anzi: nell’atto di appello si ammette per tale area, alla pag. 13, un’altezza variabile da metri 2,15 a 2,45). Ora, è fin troppo evidente come un tale dato, ai fini della verifica dell’altezza complessiva del locale, non possa in alcun modo essere ignorato, per concentrare invece l’attenzione in modo esclusivo -come vorrebbe una delle prospettazioni dell’appellante- sulla misurazione della sola parte di locale avente il soffitto a volta.
Va inoltre rimarcato che il conteggio cui parte appellante ha inteso affidare il compito di dimostrare il soddisfacimento del requisito di cui si tratta è, per giunta, anche intrinsecamente incongruo. Un computo diretto ad ottenere una corretta media avrebbe dovuto, infatti, “pesare” le diverse altezze interne riscontrate nell’immobile, a seconda della diversità di estensione delle superfici degli spazi che tali altezze presentavano. Per converso, come ha prontamente evidenziato l’appellata, il conteggio seguito dalla ricorrente (planimetria prodotta in primo grado come All. n. 33) si è esaurito nel riportare in sequenza tutte le varie altezze rinvenibili all’interno del locale in questione, e nel dividerne poi la somma per il numero delle misurazioni effettuate, trattando così tutte le altezze alla stessa stregua.
Neppure giova addurre che l’uso dello stesso locale come bar-ristorante, benché soggetto in via di principio alla medesima disciplina, sia stato autorizzato dall’Amministrazione senza difficoltà, dal momento che il procedimento oggetto di controversia, sul quale deve focalizzarsi l’attenzione della Sezione, riguarda un’utilizzazione del locale ben diversa da quella del mero ristoro, la quale, per le sue implicazioni particolarmente intense di tutela dell’incolumità e salute pubblica, non permette di discostarsi da un’interpretazione men che rigorosa della norma di cui si tratta.
Risulta infine inammissibile, in quanto formulato per la prima volta solo in grado di appello, il rilievo per cui la Commissione avrebbe dovuto esprimere comunque nella vicenda un parere positivo, pur con prescrizioni finalizzate all’eliminazione dei vizi accertati.
In conclusione, per quanto esposto l’appello deve essere respinto, siccome infondato.
Le spese processuali possono essere tuttavia equitativamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 24 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Roberto Chieppa, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 08/06/2011