CONCESSIONE EDILIZIA – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3482/2011
Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 3482 del 08/06/2011
FATTO e DIRITTO
L’Impresa [OMISSIS] con ricorso giurisdizionale notificato il 1371992 impugnava dinanzi al TAR per le Marche la delibera della Giunta comunale di Folignano n. 93 del 1992, con la quale era stato dichiarato inammissibile il convenzionamento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 10 del 1977, relativamente alla concessione edilizia n. 48/89 (e successiva variante n. 11/90), che era stata rilasciata alla medesima ricorrente per la costruzione di un complesso edilizio ad uso commerciale e residenziale composto da dodici appartamenti.
Dopo che il ricorrente aveva da tempo presentato un atto formale d’obbligo ai fini del suddetto convenzionamento, il Comune, a distanza di quasi due anni, aveva emesso la delibera impugnata, sul rilievo che l’atto d’obbligo doveva reputarsi nullo in quanto difforme dalla convenzione-tipo approvata dalla Regione Marche con il decreto presidenziale n. 14 del 1983, a causa delle caratteristiche tipologiche della costruzione.
Il ricorrente, oltre a contestare che l’immobile mancasse delle caratteristiche tipologiche previste dalla convenzione-tipo, lamentava una lesione del proprio legittimo affidamento, deducendo che la delibera era intervenuta quando ormai gli appartamenti erano stati già venduti al prezzo fissato nell’atto d’obbligo.
Resisteva all’impugnativa il Comune di Folignano.
Il T.A.R. adito, dopo avere disposto una verificazione intesa ad accertare il rapporto tra superficie utile e superficie non residenziale del complesso edilizio, con la sentenza n. 6831999 respingeva il ricorso, essendo appunto emerso che l’edificio, nella parte in cui destinato alla residenza, non possedeva le caratteristiche tipologiche per il convenzionamento, in quanto la superficie non residenziale, esclusi i garages, assommando a mq. 628,5, superava di gran lunga il limite del 40 % (mq. 428,4) della superficie utile di mq 1071; risultava altresì superato il limite di mq. 18 di superficie adibita a garage per ogni unità abitativa.
Avverso tale decisione la parte soccombente proponeva il presente appello, affidato a due motivi.
Anche in questo grado di giudizio il Comune di Folignano resisteva al gravame, eccependo la novità di alcune delle sue censure e deducendo comunque la sua completa infondatezza nel merito.
Il ricorrente con successiva memoria replicava alle obiezioni avversarie, approfondendo le proprie tesi, ed insisteva per l’accoglimento dell’impugnativa.
Alla pubblica udienza del 24 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
1 Con il primo mezzo l’appellante insiste sul punto che la superficie non residenziale del manufatto sarebbe stata in realtà solo di mq. 392,30, conformemente alle previsioni dell’atto d’obbligo. Le risultanze emerse in sede di verificazione, pedissequamente adesive alle valutazioni dell’Ufficio tecnico del Comune resistente, sarebbero perciò errate.
In contrario è tuttavia agevole osservare che, dinanzi ad una verificazione disposta dal Tribunale proprio per fare luce sui rapporti tra superficie utile e superficie non residenziale, e culminata in una relazione nitida e ben articolata (sfociata nel perentorio giudizio per cui doveva ritenersi “esclusa la possibilità di convenzionamento in base all’art. 7 della legge n. 101977”), tanto più incombeva sull’appellante l’onere di fornire una dimostrazione inequivocabile del proprio difforme asserto. Tale onere non è stato però assolto nemmeno in parte.
Il funzionario tecnico incaricato della verificazione ha osservato (pag. 5 della relazione) che, giusta il regolamento regionale, tutte le superfici di pertinenza della residenza dovevano essere computate, e tra queste dovevano includersi anche i quattro sottotetti, in quanto nella concessione risultavano legati con scala ai sottostanti appartamenti.
A fronte di tale puntuale posizione, che ragionevolmente il T.A.R. ha ritenuto di poter seguire, l’impresa ricorrente si limita a contestare che i sottotetti potessero tutti essere contemplati ai fini della misurazione della s.n.r., adducendo che “parte di essi sono stati abbinati alle unità immobiliari della parte commerciale dell’edificio (…) esclusa dal convenzionamento.”. Tale generico assunto critico non viene tuttavia dimostrato. Per contro, la posizione espressa dalla verificazione è corroborata dalla relazione depositata dallo stesso ricorrente in primo grado in allegato alla sua memoria del 6-741999, dove viene appunto confermato che i sottotetti erano accessori ai sottostanti appartamenti.
2 Parte ricorrente invoca, inoltre, la deliberazione di Giunta regionale n. 379 del 1986, assumendo che in forza di essa il predetto limite del 40 % , il cui superamento viene addebitato, non avrebbe l’effetto di invalidare l’atto d’obbligo che lo superi, ma semplicemente quello di escludere la superficie eccedente dal computo del costo di intervento e di costruzione.
Come ha eccepito la difesa comunale, tuttavia, questa doglianza è inammissibile, trattandosi di un motivo non dedotto in occasione dell’originaria impugnativa.
Si tratta peraltro di un motivo anche infondato nel merito, atteso che la delibera richiamata riguarda unicamente i mutui agevolati ex lege n. 4571978, e non l’edilizia convenzionata.
3 L’appellante si duole poi che il primo giudice abbia ritenuto non applicabile il D.M. 941990, le cui previsioni erano più ampie, tali da consentire una superficie non residenziale ed una superficie per parcheggi fino alla soglia, ciascuna, del 45 % della superficie utile.
Tale decreto ministeriale risulta però effettivamente inapplicabile alla controversia. Questa verte, infatti, sulle previsioni degli artt. 7 ed 8 della legge n. 10 del 1977, che si richiamano alla convenzione-tipo approvata dalla Regione e ai parametri da questa stabiliti. Per contro, il decreto ministeriale appena menzionato riguarda l’edilizia agevolata ex lege n. 4571978, e non già quella convenzionata (e analogamente inapplicabile alla vicenda è il coevo decreto dello stesso Ministero dei Lavori Pubblici riguardante l’edilizia sovvenzionata).
4 Con il secondo motivo di appello viene sollevata la problematica della lesione dell’affidamento.
Schematicamente, da tale angolazione l’appellante deduce: che non è esatto che ai fini dell’efficacia dell’atto d’obbligo occorresse la sua trascrizione; che comunque tale atto era stato recepito dall’Amministrazione senza riserve già in occasione della comunicazione sindacale del 10 luglio 1990; che una eventuale irregolarità avrebbe dovuto essere riscontrata subito, e non oltre un anno dopo; che nelle more le unità costruite erano state ormai vendute al prezzo calmierato, e l’impresa non aveva più la possibilità di rivalersi per il maggior contributo che le veniva richiesto.
In contrario vanno però opposte le seguenti considerazioni.
Per dimostrare l’immediata efficacia dell’atto d’obbligo non ha pregio invocare il disposto dell’art. 1334 cod.civ., in quanto ciò di cui si controverte non è l’efficacia propria del negozio unilaterale d’obbligo jure civili, bensì il conseguimento da parte del suo autore, in dipendenza dell’impegno da lui assunto, del correlativo effetto favorevole della riduzione del carico dei contributi concessori, beneficio che naturalmente non dipende dalla mera volontà del privato (che del beneficio non può disporre), ma richiede una conforme espressione di volontà –o quantomeno di giudizio- imputabile all’Amministrazione comunale.
A conferma di tanto, si può ricordare il testo dell’art. 7, comma 4, della legge n. 101977 : “Può tener luogo della convenzione un atto unilaterale d’obbligo con il quale il concessionario si impegna ad osservare le condizioni stabilite nella convenzione-tipo ed a corrispondere nel termine stabilito la quota relativa alle opere di urbanizzazione ovvero ad eseguire direttamente le opere stesse”. Il ricorso allo strumento dell’atto unilaterale d’obbligo, pur se ammesso in alternativa alla convenzione, lascia difatti residuare la necessità di una successiva forma di concorso del Comune nella realizzazione della fattispecie legale.
D’altro canto, l’ultimo comma dell’art. 7 della legge n. 10 cit. è chiaro nel disporre che “La convenzione o l’atto d’obbligo unilaterale sono trascritti nei registri immobiliari a cura del comune”. Ed è ragionevole individuare nel relativo adempimento formale dell’Amministrazione l’atto che racchiude la verifica della conformità dell’iniziativa del privato alle regole dell’edilizia convenzionata, onde la singola applicazione dell’istituto viene avviata al proprio definitivo perfezionamento solo una volta accertato tale indefettibile presupposto.
E’ infine pacifico che, in concreto, la trascrizione dell’atto da parte del Comune non sia mai stata compiuta.
Giustamente il T.A.R. ha poi ritenuto che l’omissione della trascrizione (e dell’istruttoria tecnica di cui tale operazione presuppone il compimento) non potesse essere supplita dalla mera menzione riportata in calce alla nota sindacale del 10 luglio 1990, che richiamava appunto l’atto d’obbligo della ricorrente.
D’altra parte, non poteva certo sorgere affidamento meritevole di tutela sol perché “nell’immediato nulla era stato rilevato”. E la stessa nota sindacale del 10 luglio 1990, essendo stata emessa ancor prima che venisse svolta la debita istruttoria sulla pratica dell’atto d’obbligo, recava dunque una implicita riserva di esame della medesima.
Occorre inoltre ricordare che, come si desume dalla memoria del ricorrente per il giudizio di primo grado del 741999 (pag. 5), il Comune aveva reso nota all’interessato la difformità dalla convenzione-tipo emersa, e richiesto i maggiori contributi conseguentemente dovuti, già prima di un anno dopo la comunicazione sindacale del 1990. Sicché non si vede la ragione per cui il decorso di un simile lasso di tempo, cospicuo, sì, ma non certo abnorme, avrebbe dovuto inibire al Comune di condurre la debita verifica della regolarità dell’atto d’obbligo.
Infine, il ricorrente non ha affatto provato che tutte le sue unità fossero davvero state ormai vendute al prezzo convenzionato, onde per lui non sarebbe stato più possibile rivalersi. Ed egli non può lamentare una lesione del principio dell’affidamento anche perché, in definitiva, come ha esattamente osservato il T.A.R., “le lamentate conseguenze negative sono state causate dalla sola attività da lui posta in essere”.
5 Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto, siccome infondato.
Le spese processuali sono liquidate, secondo soccombenza, dal seguente dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Condanna l’appellante al rimborso delle spese processuali del secondo grado di giudizio a favore del Comune appellato, liquidandole nella somma di tre mila euro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 24 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Roberto Chieppa, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 08/06/2011