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Legittima la revoca di contributi conseguente a sentenza penale di patteggiamento – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3450/2011

E’ del tutto legittima la revoca di contributi in materia di agricoltura e forestazione operata dall’Amministrazione al cospetto di una pluralità di elementi di prova di non comune gravità, desumibili dagli atti dell’indagine penale e dalla sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p.

(© Litis.it, 20 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 3450 del 08/06/2011

FATTO e DIRITTO

1. La società IVAM ha beneficiato di contributi in materia agricola per il finanziamento di progetti speciali promozionali, erogati dal Ministero odierno appellante con decreto del 1° novembre 1997, per oltre quattro miliardi di lire.

A distanza di anni, con atto del 20 settembre 2004, tali contributi sono stati revocati, a motivo delle indagini penali frattanto avviate dalla Procura della Repubblica di Salerno, per una pluralità di ipotesi di reato – tra cui associazione a delinquere e diversi episodi di corruzione e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche – e della ritenuta presenza di gravissime irregolarità commesse in occasione della concessione e della gestione dei medesimi finanziamenti.

2. Proposto ricorso, il Tar della Campania, sezione staccata di Salerno, accogliendo il terzo motivo:

– ha annullato il provvedimento di revoca sul rilievo del “contrasto tra il carattere intrinsecamente provvisorio delle ipotesi accusatorie poste a suo fondamento, siccome scaturenti da una attività investigativa non sottoposta al vaglio giurisdizionale, e la connotazione definitiva della misura adottata”, nonché in ragione del fatto che “l’amministrazione intimata non ha condotto alcuna autonoma valutazione delle risultanze investigative”;

– ha escluso che potesse rilevare, in senso contrario, la sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. dal GIP presso il Tribunale di Salerno;

– ha accertato che dall’annullamento della revoca dei contributi discendesse, quale conseguenza automatica, la caducazione dell’ordine avente ad oggetto la restituzione delle relative somme di denaro.

3. Avverso la sentenza ha presentato appello il Ministero delle Politiche agricole, deducendo quattro articolati motivi con il quali lamenta:

a) l’omessa pronuncia in ordine ad una parte essenziale dell’originario ricorso, sul presupposto che la revoca si fondasse su un duplice ordine di motivi e che per confutare entrambi i profili fosse necessario accogliere tutte le censure dedotte in primo grado;

b) l’erroneità della pronuncia quanto all’asserita inesistenza di un’autonoma valutazione dei fatti penalmente rilevanti compiuta dall’Amministrazione;

c) l’erroneità della pronuncia anche quanto alla negata rilevanza della sentenza penale di patteggiamento nell’ambito del procedimento amministrativo di revoca;

d) l’erroneità della pronuncia, infine, quanto all’accertata caducazione dell’ordine di restituzione delle somme percepite, in conseguenza dell’annullamento della revoca.

Si è costituita l’IVAM, replicando con articolate memorie difensive ed eccependo l’inammissibilità dell’appello.

4. Nella camera di consiglio del 4 febbraio 2011 è stata accolta l’istanza cautelare sospendendo l’esecutività della sentenza impugnata.

5. Giova premettere per una migliore intelligenza dei fatti di causa come, alla luce del provvedimento impugnato, la revoca dei finanziamenti sia stata disposta essenzialmente per due ragioni: da un lato perché, al momento della concessione, l’odierna appellata Ivam sarebbe subentrata alla Coop. S.Elmo, originaria presentatrice del progetto iniziale, in modo del tutto illegittimo, se non addirittura fraudolento; dall’altro, in quanto dagli atti risulterebbe, comunque, che nonostante l’ingente finanziamento nessuna opera era stata mai realizzata, con particolare riferimento ai manufatti edilizi ed alle opere di spietramento.

5.1. In particolare, quanto al primo profilo (da solo sufficiente a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo), anche sulla scorta dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione nel corso del giudizio di primo grado ( v. Relazione depositata in vista dell’udienza pubblica del 4 marzo 2010), sarebbe emersa la radicale diversità tra il progetto in origine presentato dalla Coop. S.Elmo nel lontano 1986 e quello finanziato in favore della Ivam, più di dieci anni dopo, con il decreto del 1997. Circostanza, questa, assai rilevante sia perché il finanziamento in questione era fruibile solamente da coloro che avessero presentato domanda anteriormente alla delibera del CIPE n. 157/1987; sia perché la Ivam, non avendo tale requisito temporale, poteva beneficiare dei contributi solamente subentrando al progetto presentato a suo tempo da altri che ne fossero provvisti.

5.2. Quanto al secondo profilo, l’assunto in merito alla mancata realizzazione del progetto, ad onta del finanziamento ricevuto, ed alla falsità del collaudo a suo tempo effettuato troverebbe il suo fondamento nel procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, con specifico riferimento ai capi di imputazione 9, 10 ed 11 di cui alla sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. pronunciata dal GUP all’udienza del 20 ottobre 2003 nei confronti, tra gli altri, di colui che era stato, all’epoca del decreto n. 93 del 1997, Commissario ad acta presso il Ministero delle Politiche agricole.

5.3. Ciò posto, come già ricordato, con la sentenza impugnata il Tar – accogliendo il terzo motivo del ricorso introduttivo ed assorbendo tutte le restanti censure – ha ritenuto che le risultanze del procedimento penale non fossero sufficienti a giustificare la revoca del provvedimento di concessione.

6. Reputa il Collegio che tale conclusione, contestata specificamente dalla difesa erariale con il terzo motivo di appello (da qui l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Ivam), non sia condivisibile.

7. In primo luogo non sembra corretta la decisione di assorbire le censure dedotte con il primo motivo del ricorso originario, al cospetto di un provvedimento di revoca fondato, come già si è osservato, su di una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali idonea a giustificarne l’adozione.

8. Anche prescindendo da tale aspetto processuale (che comunque non comporterebbe il rinvio del processo al Giudice di primo grado) nel merito delle questioni in contestazione osserva il Collegio come, al cospetto di una pluralità di elementi di prova di non comune gravità, desumibili dagli atti dell’indagine penale e dalla sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la revoca disposta dall’Amministrazione sia stata del tutto giustificata, oltre che sufficientemente motivata.

8.1. Già gli atti investigativi prodotti nel presente giudizio – in specie i verbali di sopralluogo della P.S. del 21 gennaio 2003, corredati da numerosa documentazione fotografica – dimostrano chiaramente la circostanza che i manufatti edili da realizzarsi secondo il progetto di finanziamento in questione non furono mai eseguiti, il che già rappresenta di per sé solo, quanto meno, un grave ed ingiustificato inadempimento tale da comportare legittimamente la revoca (ovvero la decadenza) della concessione.

8.2. Tali risultanze di indagine hanno trovato, inoltre, ampio e motivato riscontro nella sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. pronunciata dal GUP presso il Tribunale di Salerno, dove si afferma l’esistenza di un sodalizio criminale preordinato all’approvazione, in ambito locale, di progetti di riforestazione risultati spesso lacunosi e privi di qualsivoglia analisi e rilievo dello stato di fatto, nonché caratterizzati da false procedure di collaudo. E dove, con particolare riferimento all’odierna appellata ed alle altre società di capitali del gruppo Liguori, si legge che è emerso che le stesse, ottenevano contra legem e dietro corresponsione di somme di denaro a funzionari ministeriali l’ammissione ai finanziamenti e la collocazione dei relativi progetti nei primi posti della graduatoria, senza che poi i lavori fossero effettuati, come nel caso dell’Ivam (cfr. a p. 8 e 9 della sentenza).

8.3. Quanto alla rilevanza di tale pronuncia, se è vero che essa non contiene un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile o in quello amministrativo, è pur tuttavia riconosciuto in giurisprudenza che la stessa costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito e, a maggior ragione (deve ritenersi), anche per l’Amministrazione in sede di autotutela (v. già Tar Puglia, Lecce, I, 4 giugno 2009, n. 1370).

8.4. La circostanza che la revoca richiami in motivazione gli atti di indagine, ma non espressamente anche la sentenza di patteggiamento n. 559/2003, non assume importanza decisiva, sul rilievo che la sentenza ex art. 444 c.p.p. è, come noto, pronunciata proprio “sulla base degli atti” e che, quindi, gli atti ed i verbali di indagine ne costituiscono il fondamento probatorio. Per tacere del fatto che la sentenza è stata comunque prodotta in giudizio, anche davanti al Tar, e ad essa ha fatto ampio richiamo l’Avvocatura nelle proprie difese, senza che ciò costituisca un’integrazione postuma della motivazione ma solamente la mera indicazione di una fonte prima non esplicitata ma che avrebbe potuto e dovuto essere già nota alla controparte (ovvero alla sua legale rappresentanza), siccome coinvolta nelle stesse vicende giudiziarie (cfr. Cons. St., VI, 3 marzo 2010, n. 1241).

8.5. Né infine può rilevare, in senso contrario, ad onta di quanto sostenuto dall’odierna appellata, la successiva sentenza del Tribunale di Salerno n. 103/2008 di proscioglimento nei confronti di Raffaele Liguori (all’epoca dei fatti amministratore dell’Ivam) e di Romano Prisco (collaudatore).

E’ sufficiente considerare infatti come il primo proscioglimento sia stato pronunciato per morte dell’imputato ed il secondo per intervenuta prescrizione (in entrambi i casi, quindi, per estinzione del reato), senza che sia emersa – si legge nella sentenza a p. 96 – “l’evidenza probatoria di insussistenza della responsabilità penale, sulla quale si fondano le cause di proscioglimento di merito”.

Reputa il Collegio più rilevante, semmai, il pressoché coevo sequestro preventivo disposto dal GIP presso il medesimo Tribunale nei confronti di Luigi Liguori, figlio di Raffaele Liguori, motivato in ragione del sistema corruttivo che ha permesso ad entrambi, padre e figlio, di ottenere nel tempo l’erogazione di numerosi e consistenti finanziamenti illeciti attraverso le società di capitali Ivam, Monteverde ed attraverso la fittizia cooperativa Agrifor.

9. A fronte di tali risultanze di fatto – passate già al vaglio del giudice penale e mai oggetto di specifica contestazione da parte di Ivam – l’Amministrazione ministeriale ha, quindi, fatto doveroso e legittimo esercizio del proprio potere di autotutela, dopo avere sentito la controparte e dopo avere accertato, all’esito del procedimento amministrativo, la presenza di gravissime irregolarità commesse nelle diverse fasi della concessione, erogazione e gestione dei contributi pubblici.

E’ evidente, infatti, come sussistesse un preminente interesse pubblico alla revoca dell’illegittimo finanziamento, in considerazione della misura degli importi erogati, delle modalità fraudolente attraverso le quali erano stati assegnati, della gravità degli inadempimenti accertati.

Né, per le stesse ragioni, poteva ricevere alcuna tutela l’affidamento ingenerato nel beneficiario di tali importi, trattandosi di affidamento illegittimo poiché formatosi in mala fede, come l’intera vicenda in esame ha dimostrato.

10. In conclusione, quindi, l’appello è fondato e va accolto. Con la conseguenza che, in riforma della sentenza, deve essere respinto l’originario ricorso in primo grado, al pari dei motivi aggiunti, privi peraltro di una reale autonomia in quanto aventi ad oggetto l’impugnazione, per invalidità derivata, di un atto meramente consequenziale a quello di revoca.

11. Le spese di lite, poste a carico della società appellata secondo la regola generale della soccombenza, sono liquidate con il dispositivo, tenuto conto del valore della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado.

Condanna Ivam S.r.l. a rifondere al Ministero appellante le spese di lite liquidate complessivamente per i due gradi in misura pari ad euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 08/06/2011

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