La pronuncia viziata non giustifica l’intempestività dell’impugnazione – Cassazione Civile, Sentenza n. 11953/2011
Eventuali vizi di nullità della sentenza si convertono in motivi di ricorso e debbono essere fatti valere con una legittima, e tempestiva, impugnazione. Così ha deciso la Cassazione con l’ordinanza 11953 del 30 maggio, che ha ribadito la perentorietà del termine per proporre ricorso avverso una pronuncia che si assuma in qualche modo viziata, quando la parte interessata sia comunque a conoscenza della pendenza del relativo processo.
La vicenda di merito e il ricorso in Cassazione
Due contribuenti impugnavano un avviso di rettifica Iva con ricorso, che il giudice tributario di primo grado respingeva.
A seguito della pronuncia di riforma emessa in secondo grado, il giudizio veniva rimesso al collegio di prime cure.
Quest’ultimo accoglieva le doglianze degli interessati, ma la Commissione tributaria regionale della Campania, a cui si rivolgeva l’ufficio, riformava la pronuncia dei primi giudici, con sentenza 21 del 21 febbraio 2007, che la parte privata gravava di ricorso per cassazione.
L’impugnazione in sede di legittimità veniva, peraltro, notificata all’Agenzia delle Entrate soltanto il 26 giugno 2009, quindi oltre due anni dal deposito della sentenza del giudice regionale partenopeo.
Nel ricorso presentato al collegio di piazza Cavour, la parte giustificava il ritardo nell’impugnazione deducendo la nullità della sentenza impugnata, per inesistenza della notifica dell’atto d’appello e conseguente inammissibilità dell’impugnazione.
La decisione
La Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, condannando altresì la parte privata alle spese del giudizio di legittimità.
Nel caso di specie, si legge nella pronuncia, il ricorso risulta “consegnato per la notifica in data 26.06.09 avverso sentenza pubblicata il 21.02.07, e quindi proposto ben oltre il termine lungo per impugnare”.
A fronte di tale situazione, precisano i giudici, a nulla rileva che sia stata dedotta la nullità della sentenza impugnata, “potendo i motivi di nullità della sentenza essere fatti valere solo a mezzo di (valida, e perciò innanzitutto tempestiva) impugnazione, attesa la regola dell’assorbimento dei motivi di nullità della sentenza in motivi di impugnazione dettata dall’art. 161 c.p.c”.
E neppure, nella specie, potrebbe applicarsi l’ultima parte del comma 3 dell’articolo 38 del Dlgs 546/1992, ai sensi del quale, come noto, la perentorietà del termine “lungo” per la proposizione dell’impugnazione, in assenza di notifica della sentenza, non opera “se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza”.
Inoltre, precisa l’ordinanza, la riportata norma del contenzioso tributario richiama implicitamente l’articolo 327, secondo comma, del codice di procedura civile, il quale, nell’ammettere l’impugnazione, da parte del soccombente rimasto contumace, della sentenza non notificatagli anche dopo la scadenza del termine (un tempo annuale, ora semestrale), subordina l’impugnazione tardiva a un duplice presupposto, oggettivo e soggettivo, costituito rispettivamente dalla nullità della citazione o della relativa notificazione e dall’effettiva ignoranza della pendenza del processo.
Nel caso di specie, di contro, non poteva parlarsi di mancata conoscenza del processo, posto che il ricorso introduttivo del processo risultava proposto dalla parte privata, che a sua volta aveva altresì proposto appello avverso la sentenza di primo grado (che poi, come esposto in premessa, era stata annullata con rinvio al primo giudice, la cui decisione veniva ulteriormente appellata dall’ufficio).
In virtù delle esposte circostanze di fatto, rileva la Cassazione, la parte non avrebbe potuto allegare la mancata conoscenza della pendenza del “processo”, espressione con la quale deve intendersi “appunto, un processo, che inizia con l’atto introduttivo e termina con decisione non più suscettibile di impugnazione ordinaria, non il singolo grado di giudizio”.
Osservazioni
L’ordinanza 11953/2011 si inserisce in un quadro interpretativo piuttosto consolidato nella giurisprudenza di legittimità.
La Cassazione è, infatti, ferma nel ritenere che eventuali vizi che della pronuncia giurisdizionale, in nome dell’esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche, devono essere fatti valere entro un termine perentorio, attraverso l’impugnazione del decisum che si ritenga illegittimo.
Tale regola viene giustificata dal massimo Collegio di legittimità nella considerazione che, così operando, non si determina comunque una eccessiva e irragionevole compressione del principio di difesa e del contraddittorio, ben potendo la parte, che sia a conoscenza dell’esistenza di un processo (soprattutto quando, come nel caso esaminato, la stessa lo abbia addirittura introdotto), informarsi dello sviluppo del medesimo “facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis”.
A conclusioni analoghe a quelle di cui all’ordinanza 11953, la Suprema corte è pervenuta, tra le altre, con l’ordinanza 19112/2010 (vedi articolo “La Commissione tributaria “tace”? Impugnazione tardiva inammissibile” del 29 settembre 2010), anch’essa emessa nell’ambito di un giudizio tributario.
In quell’occasione venne affermato che l’omessa comunicazione, da parte della Commissione tributaria, del dispositivo della sentenza o dell’avviso di trattazione della controversia non impedisce comunque il passaggio in giudicato in caso di mancata impugnazione, entro il termine perentorio fissato dalla legge, sempre in virtù del principio per cui la parte deve adoperarsi diligentemente per conoscere le vicende del processo in cui è coinvolta.
Unica eccezione a questa regola è, per il processo tributario, quella fissata dal comma 3 dell’articolo 38 del Dlgs 546/1992, che peraltro, come anticipato, subordina la possibilità di una impugnazione tardiva a un duplice presupposto: oggettivo (costituito dalla nullità della notificazione del ricorso) e soggettivo (determinato dall’effettiva ignoranza della pendenza del processo a causa della predetta nullità).
Massimo Cancedda
nuovofiscooggi.it