Omessa elezione di domicilio e motifica della sentenza nella segreteria del Tar – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3416/2011
L’art. 35, comma 2, t.u. Cons. St., approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, nella parte in cui stabilisce che il ricorrente – che non abbia eletto nel ricorso domicilio in Roma – si intende averlo eletto, per gli atti e gli effetti del ricorso presso la segreteria del Consiglio di Stato, deve ritenersi applicabile per analogia al processo dinanzi ai Tar, nel senso che il ricorrente deve eleggere domicilio presso la sede capoluogo o in quella staccata ove si svolgerà il processo, con la conseguenza che altrimenti il domicilio si intende eletto – anche ai fini della notifica della sentenza idonea a far decorrere il termine breve per appellare, nonché ai fini della notifica dell’appello – presso la segreteria del tribunale
Mulla Osta Ambientale – Omesso inoltro dell’avvio di procedimento
Mercè la sopravvenuta disposizione del comma 2 dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241 introdotto dalla legge n. 15 del 2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale è stato introdotto nel sistema il principio per cui l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superando la censura di carattere formale relativa all’omesso inoltro dell’avviso di avvio del procedimento (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato , sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19).
Provvedimento amministrativo
A fronte di un atto amministrativo di segno negativo il quale fondi la decisione reiettiva su una pluralità di ragioni ostative (ciascuna delle quali risulterebbe di per sé idonea a supportarla), l’impugnativa svolta in sede giurisdizionale avverso tale decisione non può trovare accoglimento se anche uno solo dei motivi di doglianza resista alle censure mosse. (Cfr.Consiglio Stato , sez. VI, 26 luglio 2010 , n. 4864).
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Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3416 del 07/06/2011
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio era stato chiesto dall’odierna appellata [OMISSIS], l’annullamento del provvedimento adottato in data 8 ottobre 2004 dal Soprintendente per i B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino, con il quale era stato annullato il nulla-osta ambientale rilasciatole dal Comune di Castel San Giorgio per la realizzazione del tetto di copertura e la sistemazione esterna a riguardo dell’unità immobiliare ubicata alla frazione Lanzara, vicolo Sica.
Essa era insorta violazione lamentando la violazione dell’art. 159 del D.Lgs. 22/1/2004 n. 42, dell’art. 151 del D.Lgs. 29/10/1999 n. 490, dell’art. 3 della legge 7/8/1990 n. 241 ed il vizio di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione, dello straripamento mercè un non consentito riesame di merito, l’intempestività dell’adozione dell’atto impugnato e la mancata previa comunicazione dell’avvio del procedimento (nonché sotto il profilo della violazione della legge 29/6/1939 n. 1497 e delle leggi regionali n. 65/1981 e n. 10 e 17 del 1982) ed assumendo l’insussistenza dei presupposti per l’annullamento e la disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe.
Le censure formali e procedimentali dedotte dall’odierna appellata sono state accolte dal Tribunale amministrativo regionale con sentenza assunta in forma semplificata all’adunanza camerale fissata per la delibazione dell’istanza di sospensione della esecutività del provvedimento impugnato, sotto l’assorbente profilo della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
Ad avviso del primo giudice, infatti, l’art. 159 del d.Lgs. n. 42/2004, entrato in vigore dal 1° maggio 2004, anche in regime transitorio, disponeva espressamente, a specifico riguardo del procedimento di controllo del nulla-osta ambientale, l’obbligo (con onere dell’Amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione) dell’instaurazione del contraddittorio procedimentale.
Esso pacificamente, non era stato instaurato: da tale omissione discendeva la fondatezza del ricorso e l’annullamento del provvedimento repressivo impugnato.
Avverso la sentenza in epigrafe l’ amministrazione originaria resistente ha proposto un articolato appello evidenziando che l’obbligo dell’inoltro dell’avviso dell’avvio del procedimento si inquadrava nella disciplina precedente alla entrata in vigore del DM n. 165 del 19 giugno 2002; in ogni caso l’obbligo incombeva sull’autorità competente all’adozione dell’atto sottoposto a controllo e dalla inosservanza del medesimo non poteva inferirsene l’illegittimità del provvedimento repressivo adottato dall’autorità controllante.
Anche l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 introdotto dalla legge n. 15 del 2005 militava in senso contrario all’accoglimento del mezzo di primo grado: il provvedimento annullato era stato reso da soggetto all’uopo non delegato dalla competente Regione Campania e senza la previa adozione del parere da parte della Commissione edilizia comunale integrata ai sensi dall’art. 1 co.I della L.r. n. 10 del 1982.
La statuizione repressiva si appalesava qual atto dovuto.
La sentenza appellata, in quanto illogica, meritava di essere annullata.
Alla camera di consiglio dell’11 luglio 2006 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione con ordinanza cautelare n. 3426/2006 ha accolto l’appello cautelare sulla scorta della considerazione per cui ad una prima e sommaria delibazione (tipica della fase cautelare), dell’appello si ravvisavano argomenti idonei a togliere fondamento all’impugnata sentenza semplificata, con conseguente previsione di un esito della vertenza non favorevole per [OMISSIS], il che imponeva l’accoglimento dell’attuale istanza cautelare.
Alla odierna pubblica udienza del 12 aprile 2011 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1.La sentenza deve essere riformata previa declaratoria di fondatezza dell’appello, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado e salvezza degli atti impugnati.
2.Deve in primo luogo rilevarsi, al fine di perimetrare il materiale cognitivo devoluto all’esame del Collegio, che l’appellata [OMISSIS] non si è costituita nell’odierno grado di giudizio e non ha pertanto riproposto i motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal primo giudice in quanto assorbiti.
Il ricorso in appello, peraltro, è stato correttamente notificato presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale della Campania –Sede di Salerno-.
Ciò perché l’appellata ed il proprio difensore, nel corso del giudizio di primo grado, avevano eletto domicilio in un paese della provincia di Salerno (Mercato San Severino): trova pertanto applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’art. 35, comma 2, t.u. Cons. St., approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, nella parte in cui stabilisce che il ricorrente – che non abbia eletto nel ricorso domicilio in Roma – si intende averlo eletto, per gli atti e gli effetti del ricorso presso la segreteria del Consiglio di Stato, deve ritenersi applicabile per analogia al processo dinanzi ai Tar, nel senso che il ricorrente deve eleggere domicilio presso la sede capoluogo o in quella staccata ove si svolgerà il processo, con la conseguenza che altrimenti il domicilio si intende eletto – anche ai fini della notifica della sentenza idonea a far decorrere il termine breve per appellare, nonché ai fini della notifica dell’appello – presso la segreteria del tribunale.”( Consiglio Stato, sez. IV, 26/07/2008, n. 3694).
3. Nel merito l’appello è fondato nei termini di seguito precisati.
3.1. Può prescindersi dall’esame del primo motivo di censura proposto dall’appellante amministrazione (secondo cui non era necessario comunicare all’appellata [OMISSIS] titolare del provvedimento autorizzatorio l’avviso dell’avvio del procedimento di controllo) posto che è certamente fondato il secondo motivo di gravame, incentrato sulla operatività del disposto dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241.
3.2. Deve in proposito rammentarsi che mercè la sopravvenuta disposizione del comma 2 dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241 introdotto dalla legge n. 15 del 2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale è stato introdotto nel sistema il principio per cui l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superando la censura di carattere formale relativa all’omesso inoltro dell’avviso di avvio del procedimento (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato , sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19).
Essa è applicabile in astratto ratione temporis anche alle controversie pendenti stante la natura processuale della norma.
Peraltro la decisione di primo grado venne emessa all’esito della camera di consiglio tenutasi innanzi al Tribunale amministrativo in data 31 marzo 2005: a quella data era già entrata in vigore la legge 11 febbraio 2005 n.15 che aveva modificato ed integrato, nel senso dianzi esposto la legge generale del procedimento amministrativo 7 agosto 1990 n. 241.
3.3. Ritiene il Collegio che l’amministrazione abbia appunto dimostrato che il provvedimento annullato in primo grado non avrebbe potuto avere contenuto diverso.
Invero i profili di illegittimità dell’atto autorizzatorio in base ai quali fu emesso il provvedimento repressivo censurato in primo grado erano molteplici ed assai gravi.
Era stato infatti rilevato dalla Soprintendenza che:
a) l’ autorizzazione oggetto dell’intervento repressivo era stata emessa in carenza del parere della Commissione Edilizia Integrata(organismo, quest’ultimo previsto ai sensi dell’allegato 1 alla Legge Regionale Campania 23/02/1982 n. 10 : “Tenuto conto che il parere della Commissione Edilizia Comunale integrata come sopra stabilito è requisito indispensabile per l’ emissione dei provvedimenti sub – delegati, essa va costituita a tal fine entro il termine massimo di giorni 60 dalla data di entrata in vigore delle presenti direttive.”);
b) essa era stata emessa da soggetto non delegato dalla Regione Campania;
c) l’autorizzazione medesima era del tutto carente di qualsivoglia motivazione specifica in ordine alla rilevanza del vincolo paesaggistico;
d) il progetto era identico – o quantomento molto simile- ad altro progetto avanzato dall’appellata in passato e parimenti annullato dalla Soprintendenza. La istante neppure si era conformata alle indicazioni contenute nel predetto precedente provvedimento repressivo del 18 settembre 2003.
3.4.Nessuna contestazione in punto di fatto era stata avanzata dall’appellata, già nel ricorso di primo grado, sui punti A) e B) sopraelencati ( a parte una generica critica, formulata in termini assertivi contenuta nell’ultimo capoverso del sesto motivo del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado).
Ciò induce a fondatamente dubitare dell’ammissibilità del ricorso originario alla stregua della pacifica giurisprudenza per cui “a fronte di un atto amministrativo di segno negativo il quale fondi la decisione reiettiva su una pluralità di ragioni ostative (ciascuna delle quali risulterebbe di per sé idonea a supportarla), l’impugnativa svolta in sede giurisdizionale avverso tale decisione non può trovare accoglimento se anche uno solo dei motivi di doglianza resista alle censure mosse.”(Consiglio Stato , sez. VI, 26 luglio 2010 , n. 4864).
3.5 Ma anche a non volere considerare dirimente tale circostanza, il Collegio non può che prendere atto della effettiva omessa acquisizione in sede autorizzato ria dell’indispensabile parere della CEI; dell’assenza assoluta, in seno all’autorizzazione annullata, di una motivazione, anche embrionale, in ordine ai profili coinvolgenti il vincolo paesaggistico; dell’assenza di contestazione relativamente alla carenza di delega in capo all’organo emanante.
3.6. E’ noto in proposito il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui l’autorizzazione paesistica può essere annullata per qualsiasi vizio di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere -per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta- (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria, 14 dicembre 2001, n. 9)
E deve affermarsi che era viziato, indubbiamente, l’operato dell’amministrazione comunale allorchè espresse la propria determinazione autorizzatoria (comprensiva del giudizio di compatibilità paesaggistica) in carenza di motivazione ed omettendo di acquisire il parere della Commissione edilizia integrata.
Tali irrimediabili vizi sono stati correttamente rilevati dalla Soprintendenza, e la eventuale partecipazione dell’appellata al procedimento non avrebbe potuto fornire alcuno spunto od argomento utile a superare le ravvisate lacune (e prova di ciò si rinviene ex post nella circostanza che neppure il ricorso di primo grado ha argomentato su tali aspetti).
4. Ne consegue che l’appello deve essere accolto e per l’effetto, annullata la decisione di primo grado deve essere respinto il ricorso in primo grado proposto, con salvezza degli atti impugnati.
Devono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti ricorrendo le condizioni di legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, ricorso numero di registro generale 5468 del 2006,come in epigrafe proposto,
lo accoglie e per l’effetto annulla la decisione impugnata e respinge il ricorso in primo grado, con conseguente salvezza degli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli, Presidente FF
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 07/06/2011