Differenze retributive per mansioni superiori nel pubblico impiego – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3417/2011
Nell’assetto normativo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, lo svolgimento da parte dei dipendenti pubblici di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica di inquadramento, pur se protratte nel tempo e conferite con atto formale, non dà luogo al diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive ed è giuridicamente irrilevante, salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa e salvo in ogni caso il diritto alle differenze retributive per il periodo successivo all’entrata in vigore della richiamata disposizione (cft. Cons. Stato, IV, 30 giugno 2010, n. 4165; IV, 26 marzo 2010, n. 1775; VI, 5 febbraio 2010, n. 532).
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Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3417 del 07/06/2011
FATTO e DIRITTO
1.E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione di Salerno, 19 luglio 2005, n. 1300 che ha dichiarato improponibile il ricorso proposto dall’odierno appellante [OMISSIS] per il riconoscimento ai fini retributivi delle mansioni superiori espletate nel periodo dal 17 dicembre 1990 al 30 giugno 1998 nella qualità di dipendente del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, appartenente alla 6^ qualifica funzionale.
2.Assume l’appellante la erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto verificato l’effetto decadenziale previsto dall’art. 45, comma 17, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 98, in relazione all’asserita proposizione tardiva (cioè dopo il 15 settembre del 2000) del ricorso. Nel merito, l’appellante insiste per il riconoscimento delle differenze retributive maturate in conseguenza dell’espletamento, in virtù di ordini di servizi del dirigente di settore, delle mansioni appartenenti alla 7^ qualifica funzionale.
3.All’udienza del 6 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. L’appello è infondato e va respinto per quanto di ragione.
5. Osserva il Collegio che è anzitutto meritevole di accoglimento la prima censura d’appello, con la quale si evidenzia l’erroneità della sentenza impugnata che ha dichiarato la improponibilità del ricorso di primo grado per tardività. L’assunto del Tribunale amministrativo, posto a base della decisione impugnata, è che nel giudizio amministrativo il rapporto processuale si instaura soltanto dopo il deposito del ricorso presso il giudice competente e non già soltanto con la notifica dello stesso alla amministrazione intimata ed agli eventuali controinteressati. Di tal che, sempre in base al ragionamento del primo giudice, il ricorso di primo è improponibile ai sensi del citato art. 45, comma 17, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, in quanto depositato nella Segreteria del Tribunale amministrativo ben oltre il termine decadenziale del 15 settembre 2000.
6. La soluzione della questione processuale nei termini appena esposti non appare tuttavia meritevole di condivisione.
Come più volte ribadito dalla Corte Costituzionale (v. in particolare Corte cost., ord. 7 ottobre 2005, n. 382) intervenendo sulla questione afferente la demarcazione temporale della giurisdizione residuale del giudice amministrativo nell’ambito dei rapporti di lavoro “privatizzato” dei dipendenti pubblici, l’incombente del deposito del ricorso, successivo alla notifica ai contraddittori processuali, ha valenza soltanto endoprocessuale, nel senso che è attività di parte essenziale ad evitare che il ricorso sia dichiarato improcedibile dinanzi al giudice procedente, ma non è essenziale al fine di evitare l’effetto decadenziale della domanda previsto dalla richiamata disposizione normativa, a tal uopo essendo sufficiente la notifica del ricorso in data anteriore al termine di legge per la proposizione della domanda dinanzi al giudice amministrativo.
Il Collegio non ha motivo di discostarsi da tale orientamento e ritiene che, nel caso di specie, in cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio è avvenuta nel rispetto del citato termine decadenziale, il ricorso vada ritenuto pienamente proponibile sul piano processuale.
7. L’accoglimento del profilo processuale della censura tuttavia non impedisce al Collegio di rilevare la infondatezza nel merito dell’appello e, per l’effetto, del ricorso di primo grado.
Secondo un consolidato orientamento, da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, nell’assetto normativo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, lo svolgimento da parte dei dipendenti pubblici di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica di inquadramento, pur se protratte nel tempo e conferite con atto formale, non dà luogo al diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive ed è giuridicamente irrilevante, salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa e salvo in ogni caso il diritto alle differenze retributive per il periodo successivo all’entrata in vigore della richiamata disposizione (Cons. Stato, IV, 30 giugno 2010, n. 4165; IV, 26 marzo 2010, n. 1775; VI, 5 febbraio 2010, n. 532).
7.1 Tale essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il ricorso in questione non può trovare accoglimento, se solo si consideri che: a) non sussiste alcuna disposizione normativa di rango primario o subprimario che riconosca eccezionalmente la rilevanza dell’esercizio delle mansioni superiori ai fini retributivi afferente il lavoro prestato alle dipendenze dell’appellato ministero; b) non sussistono, a tutto concedere, neppure atti formali di nomina dell’odierno appellante all’ufficio cui si ricollegano le dedotte mansioni superiori espletate.
7.2 Non vi sono ragioni pertanto per non aderire, anche nel caso in esame, alla consolidata valutazione giurisprudenziale ( di recente, in questi sensi, Cons. Stato, VI, 24 gennaio 2011 n. 467) secondo cui gli interessi sottostanti al rapporto tra amministrazione e dipendente pubblico, anche se di natura economica, sono indisponibili e derivano da disposizioni di rango primario, per loro natura non derogabili dalla mera volontà delle parti, e dunque caratterizzate da una stringente corrispondenza tra qualifica del dipendente, assetto organizzativo in cui le mansioni vanno svolte e retribuzione (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 18 novembre 1999, n. 22, che ha ribadito l’irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, salvo che per espressa previsione normativa; e che il principio di corrispondenza di retribuzione a qualità e quantità del lavoro prestato, di cui all’art. 36 Cost., concorre con altri principi di pari rilevanza, come quello dell’art. 98 Cost., che esclude nel pubblico impiego la riduzione alla logica di scambio, e soprattutto quello dell’art. 97 Cost., vale a dire con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione e – in combinato con l’art. 28 Cost. – di rigida determinazione di competenze, attribuzioni e responsabilità dei funzionari; nonché di esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica).
8. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
9.Il Collegio ritiene nondimeno che sussistano giusti motivi di ordine equitativo per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello ( r.g. n. 5836 del 2006), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 07/06/2011