Esame di avvocato. Va annullato l’elaborato con trascrizioni di un tema pubblicato in un testo editoriale – Consiglio di Stato, Sentenza 3399/2011
La disposizione dell’’art. 23 R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 ultimo comma – “la commissione, nel caso in cui accerti che il lavoro sia in tutto o in parte copiato da altro lavoro o da qualche pubblicazione, annulla la prova. Deve pure essere annullato l’esame dei candidati che comunque si siano fatti riconoscere – è di chiaro contenuto e di immediata valenza precettiva, ed è indirizzata a garantire l’originalità del prodotto intellettuale del candidato quale elemento rivelatore del grado di maturità e di preparazione richiesto per assolvere i compiti nel posto messo a concorso. Può dirsi, dunque, violata la disposizione (e quindi che ricorra un’ipotesi di “plagio”), non solo quando emerga una “riproduzione fedele del testo non ammesso a consultazione”, ma anche qualora si riscontri un’ “impostazione del tema, o di parte di esso, che costituisca un’imitazione, con carattere pedissequo e fraudolento, del testo assunto a parametro di confronto” (Cons. Stato, sez. VI, 9 dicembre 2008 n. 6102), ovvero qualora l’elaborato si presenti “pedissequamente ripetitivo del testo assunto a parametro di raffronto, così da escludere ogni autonoma rielaborazione del candidato, idonea ad esprimere il grado di preparazione e le capacità intellettive richieste” (Cons. Stato, sez. VI, n. 2440/2010 cit.).
Né è necessario che la Commissione esaminatrice evidenzi, a mezzo di appositi segni grafici, i passi dell’elaborato che risultano copiati dal testo consultato e posto a raffronto, avendo tale metodo solo una funzione ausiliaria della valutazione svolta (Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2009 n. 6943).
Inoltre, l’avvenuto accertamento che una delle prove scritte presentate dal partecipante agli esami di idoneità all’esercizio della professione di avvocato è in tutto o in parte copiata dall’elaborato di altro candidato o da qualche pubblicazione, comportando di per sé solo la non ammissione alla prova orale, esonera la commissione giudicatrice dalla valutazione e dall’attribuzione di punteggi agli altri scritti del candidato riconosciuto colpevole di plagio (Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008 n. 530).
In definitiva, l’avvenuta “copiatura” del testo oggetto della prova di esame non ricorre solo in ipotesi di diretta riproduzione (parziale o totale) di un testo, ma anche laddove il primo appaia costituire, nel suo complesso, una rielaborazione “servile” e meramente “imitativa” di altro testo.
La Commissione esaminatrice, cui è riservata la valutazione della “corrispondenza” tra il testo utilizzato e la prova scritta del candidato, non è tenuta, dunque, ad indicare i singoli “passaggi” del testo che sostengono tale valutazione (poiché ciò avrebbe senso solo laddove si riconoscesse la sussistenza della violazione dell’art. 23 nella sola limitata ipotesi di “riproduzione”, in tutto o in parte, di un altro testo).
E’, invece, sufficiente che essa, dalla complessiva lettura dell’elaborato e dall’indicazione del testo oggetto di “copia”, pervenga all’accertamento di una posizione servile dell’elaborato del candidato rispetto ad altro testo, anche se dello stesso sia ammessa la consultazione. E tale posizione “servile” o di “dipendenza” della prova di esame può desumersi sia dalla riproduzione di uno o più passi o periodi dell’altro testo, sia da una sua complessiva impostazione che, ancorché rimaneggiata nella consequenzialità dei periodi o nell’uso di singoli termini, manifesti un carattere imitativo e l’assenza di genuinità ed originalità del compito.
Nel caso di specie, la Commissione esaminatrice, facendo corretta applicazione dell’art. 23 R.D. n. 37/1934, ha accertato, indicando specificamente i testi “reperibili in commercio anteriormente alla prova”, che l’elaborato “contiene trascrizioni pressoché integrali ovvero parafrasate” di passi presenti in tali testi”, ciò comportando la mancanza di originalità della prova ed il suo conseguente annullamento.
(© Litis.it, 13 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3399 del 06/06/2011
FATTO
Con l’appello in esame, il Ministero della Giustizia impugna la sentenza 22 febbraio 2011 n. 116, con la quale il TAR Calabria, sede di Reggio Calabria, ha accolto il ricorso della signora [OMISSIS] avverso la graduatoria relativa ai soggetti che hanno superato l’esame scritto per l’abilitazione forense – sessione 2009, nonché avverso il verbale 27 aprile 2010, con il quale la III Sottocommissione abbinata preso la Corte di Appello di Genova ha annullato la sua prova (parere di diritto civile), ritenendo che “tale elaborato contiene trascrizioni pressoché integrali, ovvero ovviamente parafrasate, del tema svolto sul medesimo argomento quale pubblicato su pareri di diritto civile ed. Giuffrè 2009” e “pertanto l’elaborato non può ritenersi frutto di genuina redazione da parte del candidato”.
Secondo la sentenza appellata:
– “la possibilità per i candidati di consultare i codici commentati con ampi riferimenti giurisprudenziali . . . induce gli stessi candidati non solo ad adoperare formule ripetitive e di stile generalmente utilizzate dagli operatori e cristallizzate nei formulari, ma anche a fare proprie le linee argomentative individuate dalla giurisprudenza”;
– nel caso di specie, “la ricorrente ha ripetutamente e lealmente indicato la fonte giurisprudenziale (Cass. n. 8941/2009) sulla base della quale ha sviluppato le proprie argomentazioni” e “sia il parere riportato nella pubblicazione edita dalla casa editrice Giuffrè, sia il parere redatto dalla ricorrente hanno entrambi ripreso massicciamente le argomentazioni sviluppate nella sentenza citata”, di modo che “non vi è certezza in ordine all’utilizzazione, da parte della candidata, di una fonte non consentita, avendo la ricorrente potuto attingere direttamente e lecitamente al testo della decisione della Cassazione”.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) vizio di procedura; violazione e/o falsa applicazione artt. 55, 59, 60 e 74 Cpa. nullità della sentenza; poiché alla Camera di consiglio del 9 febbraio 2001, fissata per la trattazione della istanza ex art. 59 Cpa, di esecuzione della misura cautelare concessa, il TAR “non aveva il potere di pronunciare la sentenza in forma semplificata”, sia perché la stessa può essere resa soltanto in sede di decisione della domanda cautelare e non in sede di esecuzione della misura cautelare già concessa; sia in quanto era sopravvenuta l’ordinanza n. 18/2011, con la quale il Consiglio di Stato ha accolto l’appello avverso l’ordinanza di concessione della misura cautelare;
b) violazione e/o falsa applicazione art. 23, u.c., R.D. n. 37/1934; ciò in quanto “l’ipotesi normativa fa riferimento sia al caso in cui il compito sia stato copiato da quello di altro soggetto, sia al caso in cui sia il frutto della riproduzione di testi giuridici o di testi normativi commentati, pubblicazioni tutte escluse dalla consultazione in sede di esami”.
L’appellata non si è costituita in giudizio e, all’odierna udienza in Camera di Consiglio, il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 60 Cpa, ha riservato la causa in decisione per il merito.
DIRITTO
L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, in relazione al secondo motivo di impugnazione proposto.
L’art. 23 R.D. 22 gennaio 1934 n. 37, prevede (ultimo comma) che “la commissione, nel caso in cui accerti che il lavoro sia in tutto o in parte copiato da altro lavoro o da qualche pubblicazione, annulla la prova. Deve pure essere annullato l’esame dei candidati che comunque si siano fatti riconoscere.”.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato – con argomentazioni che in questa sede si confermano – ha già avuto modo di affermare che la disposizione in esame (ed anche l’altra, generale in tema di concorsi pubblici e di analogo contenuto, di cui all’art. 13 DPR 9 maggio 1994 n. 487) è “di chiaro contenuto e di immediata valenza precettiva”, ed è “indirizzata a garantire l’originalità del prodotto intellettuale del candidato quale elemento rivelatore del grado di maturità e di preparazione richiesto per assolvere i compiti nel posto messo a concorso.” (Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 2010 n. 2440).
Può dirsi, dunque, violata la disposizione (e quindi che ricorra un’ipotesi di “plagio”), non solo quando emerga una “riproduzione fedele del testo non ammesso a consultazione”, ma anche qualora si riscontri un’ “impostazione del tema, o di parte di esso, che costituisca un’imitazione, con carattere pedissequo e fraudolento, del testo assunto a parametro di confronto” (Cons. Stato, sez. VI, 9 dicembre 2008 n. 6102), ovvero qualora l’elaborato si presenti “pedissequamente ripetitivo del testo assunto a parametro di raffronto, così da escludere ogni autonoma rielaborazione del candidato, idonea ad esprimere il grado di preparazione e le capacità intellettive richieste” (Cons. Stato, sez. VI, n. 2440/2010 cit.).
Né è necessario che la Commissione esaminatrice evidenzi, a mezzo di appositi segni grafici, i passi dell’elaborato che risultano copiati dal testo consultato e posto a raffronto, avendo tale metodo solo una funzione ausiliaria della valutazione svolta (Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2009 n. 6943).
Inoltre, l’avvenuto accertamento che una delle prove scritte presentate dal partecipante agli esami di idoneità all’esercizio della professione di avvocato è in tutto o in parte copiata dall’elaborato di altro candidato o da qualche pubblicazione, comportando di per sé solo la non ammissione alla prova orale, esonera la commissione giudicatrice dalla valutazione e dall’attribuzione di punteggi agli altri scritti del candidato riconosciuto colpevole di plagio (Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008 n. 530).
In definitiva, l’avvenuta “copiatura” del testo oggetto della prova di esame non ricorre solo in ipotesi di diretta riproduzione (parziale o totale) di un testo, ma anche laddove il primo appaia costituire, nel suo complesso, una rielaborazione “servile” e meramente “imitativa” di altro testo.
La Commissione esaminatrice, cui è riservata la valutazione della “corrispondenza” tra il testo utilizzato e la prova scritta del candidato, non è tenuta, dunque, ad indicare i singoli “passaggi” del testo che sostengono tale valutazione (poiché ciò avrebbe senso solo laddove si riconoscesse la sussistenza della violazione dell’art. 23 nella sola limitata ipotesi di “riproduzione”, in tutto o in parte, di un altro testo).
E’, invece, sufficiente che essa, dalla complessiva lettura dell’elaborato e dall’indicazione del testo oggetto di “copia”, pervenga all’accertamento di una posizione servile dell’elaborato del candidato rispetto ad altro testo, anche se dello stesso sia ammessa la consultazione. E tale posizione “servile” o di “dipendenza” della prova di esame può desumersi sia dalla riproduzione di uno o più passi o periodi dell’altro testo, sia da una sua complessiva impostazione che, ancorché rimaneggiata nella consequenzialità dei periodi o nell’uso di singoli termini, manifesti un carattere imitativo e l’assenza di genuinità ed originalità del compito.
Alla luce di quanto esposto, appare del tutto fondato il motivo di appello proposto (riportato sub b) dell’esposizione in fatto), con il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 R.D. n. 37/1934.
Nel caso di specie, la Commissione esaminatrice, facendo corretta applicazione dell’art. 23 R.D. n. 37/1934, ha accertato, indicando specificamente i testi “reperibili in commercio anteriormente alla prova”, che l’elaborato “contiene trascrizioni pressoché integrali ovvero parafrasate” di passi presenti in tali testi”, ciò comportando la mancanza di originalità della prova ed il suo conseguente annullamento.
D’altra parte, non può essere condivisa la sentenza appellata, anche laddove, in particolare, afferma che, avendo i “temari” indicati dalla Commissione anch’essi “ripreso massicciamente le argomentazioni sviluppate dalla sentenza” n. 8941/2009 della Cassazione, non è possibile stabilire se la candidata abbia potuto attingere “direttamente e lecitamente” alla decisione della Cassazione.
Giova ribadire, sul punto, che l’art. 23 R.D. n. 37/1934 prescrive l’annullamento della prova laddove la stessa risulti “copiata da altro lavoro o da qualche pubblicazione”. La generalità del riferimento normativo e la finalità perseguita dalla legge (tutelare la originalità e genuinità dell’elaborato) comportano che ogni testo di prova di esame, che risulti essere riproduzione pedissequa o servile rielaborazione di altro testo, non può dirsi prodotto originale del candidato, e ciò anche laddove il testo oggetto della copiatura sia ammesso tra quelli consultabili dal candidato.
Ed infatti, la finalità di consultazione di taluni testi, laddove prevista, deve svolgere la funzione di ausilio alla originale elaborazione del candidato, non già costituire un mero materiale cui attingere. Se ciò fosse, la stessa prova di esame si risolverebbe in una mera apparenza, venendo meno alla finalità che le è propria, con l’aggravante che l’esito della medesima dipenderebbe dalla casuale (pur lecita) detenzione di materiale da cui attingere senza particolari limiti.
Per le ragioni sin qui esposte, l’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.
L’accoglimento del ricorso per il secondo motivo di appello dispensa il Collegio dall’esame del primo motivo e, a differenza dell’eventuale accoglimento di questo (cui conseguirebbe l’applicazione dell’art. 105 Cpa), consente di definire il giudizio, con ciò attuando principi di effettività della tutela giurisdizionale.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero della Giustizia ed altri, come in epigrafe precisati (n. 1707/2011 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata.
Condanna l’appellata [OMISSIS] al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011