Demolizione opere abusive – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3584/2011
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3584 del 13/06/2011
I signori [OMISSIS] e [OMISSIS] e la società Gold Service S.r.l. hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto ha respinto il ricorso dagli stessi proposto avverso l’ordine di rimessa in pristino emesso nei loro confronti dal Comune di Zevio in relazione a opere edili ritenute abusive.
A sostegno dell’impugnazione, gli appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza:
1) nella parte in cui ha ritenuto sussistente una modifica della destinazione d’uso del manufatto rispetto a quanto precedentemente autorizzato agli istanti;
2) nella parte in cui ha ritenuto che gli interventi eseguiti integrassero una variazione essenziale in base alla legislazione vigente;
3) nella parte in cui ha ritenuto che fossero state realizzate opere in difformità da quanto autorizzato.
Resiste il Comune di Zevio, opponendosi con diffuse argomentazioni ai motivi d’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.
Alla camera di consiglio del 16 maggio 2006, questa Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensiva.
All’udienza del 10 maggio 2010, all’esito della discussione orale della causa, questa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Gli odierni appellanti, signori [OMISSIS] e [OMISSIS] e società Gold Service S.r.l., impugnano la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto ha respinto il ricorso da essi proposto avverso l’ordine di ripristino emesso nei loro confronti dal Comune di Zevio, in relazione a opere edilizie realizzate in ritenuta difformità dalla concessione edilizia con la quale era stato autorizzata la realizzazione di un capannone a uso agricolo.
2. L’appello è infondato e va conseguentemente respinto.
3. Preliminarmente, occorre sgombrare il campo dalle questioni, evocate dalla difesa di parte appellante nel corso della discussione orale, a proposito dell’istanza di concessione in sanatoria che sarebbe stata presentata in ordine alle opere per cui è causa (e della quale, in ogni caso, il Comune ha documentato la reiezione).
Infatti, a prescindere dalla non piena comprensibilità delle argomentazioni di parte istante – la quale è parsa “eccepire” l’improcedibilità del ricorso da essa stessa proposto –, la censura secondo cui l’impugnato provvedimento repressivo non avrebbe potuto conservare efficacia in quanto travolto dalla ridetta istanza di condono non rientra fra i motivi del ricorso di primo grado e risulta articolata per la prima volta in sede di discussione orale, in chiara violazione del divieto di nova in appello di cui all’art. 104 cod. proc. amm.
4. Ciò premesso, può essere esaminato l’unico articolato motivo di ricorso col quale gli appellanti assumono l’erroneità delle statuizioni del primo giudice: al riguardo, può fin d’ora anticiparsi che la Sezione non condivide l’approccio “atomistico” col quale la parte istante, esaminando separatamente ciascun singolo elemento della fattispecie sanzionata dall’Amministrazione comunale, giunge alla conclusione che questa non integrerebbe un’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso né di variazione essenziale secondo la vigente normativa.
Ed invero, occorre premettere che a suo tempo gli istanti erano stati autorizzati alla realizzazione di un “annesso rustico” in zona agricola, per il quale la normativa regionale del Veneto (art. 6 della legge regionale 5 marzo 1985, nr. 24) disponeva che il beneficiario del titolo edilizio costituisse un vincolo di destinazione d’uso da trascriversi sui registri immobiliari: ciò a cui risulta abbiano proceduto gli odierni appellanti all’atto del rilascio della concessione.
Con tale vincolo, si assumeva l’impegno al mantenimento della destinazione d’uso cui il titolo era stato finalizzato (nella specie, trattavasi di un capannone destinato a ospitare le derrate prodotte dall’azienda agricola degli stessi istanti).
Da successivi accertamenti dell’Amministrazione – sostanzialmente non contestati ex adverso– è emerso, invece, che il capannone in oggetto, previa realizzazione abusiva di una piazzola e di una rampa d’accesso, era stato adibito a deposito di materiale ivi trasportato da automezzi per conto di altre imprese agricole.
Alla luce di tale quadro di fatto e di diritto, non appare affatto illegittima né irragionevole la valutazione del Comune, che ha ritenuto la suddetta modifica in corso d’opera intervenuta riconducibile alla nozione di “variazione essenziale” di cui all’art. 92 della legge regionale 27 giugno 1985, nr. 61 (secondo cui sono tali gli interventi che “comportino, con o senza opere a ciò preordinate e in contrasto con le destinazioni d’uso espressamente stabilite per singoli edifici o per le diverse zone territoriali omogenee, un mutamento sostanziale fra destinazione residenziale, commerciale-direzionale, produttiva, agricola”), tenuto conto soprattutto del rilevante incremento del carico urbanistico derivante dall’adibizione del capannone a deposito “per conto terzi”.
A fronte di ciò:
– risultano inidonei e insufficienti i reiterati richiami degli appellanti alle sole nozioni di variazione essenziale e di mutamento di destinazione d’uso ricavabili dalla legislazione statale (art. 32 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380; d.m. 2 aprile 1968, nr. 1444), dovendo aversi riguardo – come si è visto – alla normativa regionale e allo specifico vincolo costituito all’atto del rilascio del titolo abilitativo;
– appaiono contraddittori i rilievi in fatto svolti nell’appello, laddove per un verso si nega che nella specie si tratti di mutamento di destinazione d’uso “con opere”, e per altro verso si ammette l’abusività della realizzazione della piazzola e della rampa d’accesso, assumendosene però la scarsa entità e rilevanza (obliterando però che questa non va apprezzata in astratto, ma tenendo conto della funzionalizzazione delle opere al ravvisato mutamento di destinazione dell’immobile).
5. Alla luce dei rilievi che precedono, s’impone una decisione di reiezione dell’appello, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti al pagamento, in favore del Comune di Zevio, delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in euro 5000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 13/06/2011