Monetizzazione dei buoni pasto non fruibili dal dipendente – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3386/2011
Non può non riconoscersi il diritto sostitutivo al buono pasto al dipendente al quale sia impedito, per turno di lavoro, di poter usufruire della mensa apprestata dalla propria Amministrazione, sempre che detto turno di lavoro ricada interamente in orario in cui il servizio mensa non sia operativo.
Nel caso in esame il Cds ha riconosciuto il diritto degli appellanti al buono pasto sostitutivo della mensa obbligatoria, non essendo stato contestato dalla costituita Amministrazione che il servizio mensa del Ministero della Difesa termina quotidianamente alle ore 14,00 e che gli stessi appellanti abbiano svolto turni di lavoro per intero oltre tale ora. Conseguentemente, il Cds ha statuito che, in sede di esecuzione della decisione, l’Amministrazione dovrà provvedere alla monetizzazione, al valore al tempo corrente, di ogni buono pasto spettante, ritenendo che il divieto, a tal riguardo, recato dall’art. 5 dell’Accordo sindacale di cui al Provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri 29 marzo 1996, applicabile alla fattispecie, trovi applicazione soltanto in sede amministrativa, ma non anche in sede giurisdizionale.
(© Litis.it, 12 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3386 del 06/06/2011
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso al TAR del Lazio il sig. [OMISSIS] ed gli altri operai specializzati del Ministero della Difesa indicati in epigrafe chiedevano l’accertamento del diritto all’indennità di turno ed al controvalore dei buoni pasto – con interessi e previo annullamento di tutti gli atti eventualmente ostativi – in ragione del loro impiego, a rotazione, in turni di servizio “h24” per tutti i giorni della settimana, inclusi i festivi.
Con due distinti capi di domanda chiedevano l’integrale corresponsione per l’anno 1998 dell’indennità di turnazione e per l’anno 1997 la quota parte dell’indennità in parola non computata per tutti i turni coincidenti con il normale orario di servizio, nonché, con il secondo, la monetizzazione dei buoni pasto non fruibili per un importo pari a lire 9.000 cadauno.
2. – Con sentenza n. 1865 del 16 marzo 205 il TAR adito :
– ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il capo di domanda relativo alle pretese retributive afferenti il periodo successivo al 30 giugno 1998;
– ha respinto la domanda di accertamento del diritto alla corresponsione sino al 30 giugno 1998 dell’equivalente in denaro dei buoni pasto asseritamente spettanti e non fruiti in quanto è espressamente esclusa la monetizzazione di detti buoni pasto dall’art. 5 della Accordo sindacale in materia per il personale civile del comparto Ministeri, applicabile al caso in esame;
– ha ordinato adempimenti istruttori a carico dell’Amministrazione “…in ordine al residuo capo di domanda…”, e cioè in relazione alla richiesta di accertamento del diritto alla percezione dell’indennità di turnazione per l’anno 1997 e per il primo semestre del 1998, tenuto conto del dichiarato difetto di giurisdizione relativamente alle competenze riguardanti il periodo di lavoro successivo al 30 giugno 1998.
3. – Con l’appello in epigrafe i ricorrenti chiedono la riforma della sentenza perché la motivazione con la quale è stata respinta la domanda di accertamento del diritto ai buoni pasto sarebbe stata mal intesa dal Giudicante laddove ha attribuito ad essa la valenza di domanda di monetizzazione di detti buoni pasto e l’ha respinta affermando che si opporrebbe al richiesto riconoscimento il divieto contenuto nell’art. 5 dell’Accordo sindacale in materia.
In realtà, soggiungono gli appellanti, la domanda sarebbe chiaramente rivolta ad ottenere i buoni pasto per i turni di lavoro successivi alle ore 14, di chiusura della mensa del Ministero, che andrebbero però necessariamente monetizzati perché “…il buono pasto retroattivo non ha senso dal momento che, essendo finalizzato a consentire il pasto altrimenti non fruibile, deve essere corrisposto al momento del bisogno. In questo senso ed in questi casi il buono pasto può anche essere sostituito dal suo controvalore, senza che ciò costituisca violazione della norma dell’accordo…”.
Precisano, ancora, che “… il divieto di cui all’art. 5 dell’Accordo sindacale, di tramutare in denaro il buono pasto, si riferisce sempre all’ipotesi in cui al posto di una mensa non fruibile al momento, si debba offrire la possibilità al lavoratore di fruire comunque di un pasto. In questa ipotesi il divieto ha un senso, dal momento che il buono pasto non è una retribuzione, ma ha il valore simbolico di un pasto, come è noto, e serve al fine che si è detto. Ma se il buono pasto va corrisposto dopo anni questo divieto, che opera oltretutto nei confronti della sola Amministrazione impossibilitata a prestare il servizio di mensa, non ha più motivo di essere…”.
4. – Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio soltanto formalmente non avendo depositato né documentazione né memoria difensiva.
5. – All’udienza del 22 marzo 2011 l’appello è stato introitato per la decisione.
6. – L’appello è fondato.
6.1 – Preliminarmente ritiene il Collegio che sia opportuno dare atto che la sentenza in epigrafe, di valenza parziale, è stata impugnata limitatamente al capo di decisione del secondo profilo di domanda del ricorso di primo grado (che il Giudice di prime cure ha ritenuto “…mirato a conseguire la monetizzazione dei buoni pasto non fruibili dai ricorrenti…”) per cui, per un verso, resta ancora di pertinenza di detto Giudice la risposta al primo profilo di domanda del ricorso per il quale è stata disposta istruttoria e, per altro verso, può invece darsi atto che i ricorrenti hanno prestato acquiescenza alla declaratoria di difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo relativamente alla parte di loro pretesa concernente il periodo di lavoro successivo al 30 giugno 1998.
6.2 – Così delimitato il perimetro della decisione richiesta a questo Giudice di appello può ora darsi ingresso all’esame dell’unico ed articolato motivo di impugnazione proposto dai ricorrenti e rubricato “…erronea motivazione della sentenza impugnata; travisamento della domanda giudiziale…”.
6.2.1 – Fondata è la prima critica degli appellanti secondo la quale il Giudice di prime cure ha mal inteso la domanda giudiziale proposta in primo grado.
Ed in vero, i ricorrenti hanno effettivamente richiesto in primo grado di vedersi riconoscere il diritto al buono pasto, essendo loro impedito, in relazione ai turni di lavoro successivi alle ore 14, la possibilità di accedere alla mensa esistente presso il Ministero della Difesa, ma funzionante soltanto fino a tale ora.
Il TAR, invece, ha emesso la propria decisione in relazione ad un’asserita domanda di monetizzazione del buono pasto che i ricorrenti avrebbero formulato, ma che, a ben vedere, non è stata proposta, per cui è già erroneo avere definito il contenuto concreto di detta domanda con la locuzione “…mirato a conseguire la monetizzazione dei buoni pasto non fruibili dai ricorrenti…”.
Infatti, alla monetizzazione del buono pasto è fatto riferimento nel ricorso di prime cure soltanto per l’ipotesi di accoglimento in questa sede giurisdizionale della pretesa avanzata, non potendosi evidentemente sopperire ex post e cumulativamente all’esigenza che è alla base del buono pasto, di garantire quotidianamente il diritto di mensa al lavoratore che non ne possa usufruire per motivi connessi direttamente al servizio di istituto svolto.
6.2.2 – Nel merito, osserva il Collegio che, alla stregua di un criterio di effettività della garanzia di partecipazione degli aventi diritto alla mensa obbligatoria di servizio (cfr. sul punto, di recente, C.d.S., sez. IV^, n. 6903 e 6916 del 2010), non può non riconoscersi il diritto (sostitutivo) al buono pasto al dipendente al quale sia impedito, per turno di lavoro, di poter usufruire della mensa apprestata dalla propria Amministrazione, sempre che detto turno di lavoro ricada interamente in orario in cui il servizio mensa non sia operativo.
Consegue, nel caso in esame, che deve essere riconosciuto il diritto degli appellanti al buono pasto sostitutivo della mensa obbligatoria, non essendo stato contestato dalla costituita Amministrazione che il servizio mensa del Ministero della Difesa termina quotidianamente alle ore 14,00 e che gli stessi appellanti abbiano svolto turni di lavoro per intero oltre tale ora.
Consegue, altresì, che, in sede di esecuzione della presente decisione, l’Amministrazione dovrà provvedere alla monetizzazione, al valore al tempo corrente, di ogni buono pasto spettante, ritenendo il Collegio pienamente condivisibile la tesi dei ricorrenti che il divieto, a tal riguardo, recato dall’art. 5 dell’Accordo sindacale di cui al Provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri 29 marzo 1996, applicabile alla fattispecie, trovi logicamente applicazione soltanto in sede amministrativa, ma non anche in sede giurisdizionale.
Infatti, il divieto imposto dalla norma citata all’Amministrazione è logicamente correlato alla funzione del buono pasto – analoga a quella del servizio mensa – di dover essere erogato al momento del bisogno e non anche retroattivamente, nonché alla natura di entrambi detti strumenti di agevolazione, di carattere esclusivamente assistenziale; lo stesso divieto, invece, non può operare in sede di riconoscimento giurisdizionale del relativo diritto, pena la vanificazione sia dell’ontologica effettività che deve avere la pronunzia del Giudice, sia della stessa ragione giustificatrice di tale trattamento assistenziale, consistente all’evidenza nel garantire al lavoratore, al momento del bisogno quotidiano, il diritto al pasto.
Opinare diversamente significherebbe negare di fatto il beneficio, poiché liquidare al dipendente ex post e cumulativamente tutti i buoni pasto non goduti varrebbe metterlo in condizioni di non poterne concretamente usufruire, non essendo spendibili i relativi titoli se non per il servizio mensa quotidiano ed accedendo a punti di ristoro convenzionati ordinariamente presenti soltanto nelle vicinanze del posto di lavoro.
6.2.3 – Quanto, infine alla richiesta di liquidazione anche degli accessori di legge, ritiene il Collegio che spettino agli appellanti, dalla data di ciascun titolo e fino al soddisfo, soltanto gli interessi legali, atteso che il relativo ammontare non costituisce elemento della retribuzione, bensì, come già indicato, una agevolazione di carattere assistenziale.
7. – L’onere delle spese del doppio grado di giudizio va posto a carico dell’Amministrazione della Difesa in applicazione del principio della soccombenza di cui all’art. 91 del c.p.c., come richiamato dall’art. 26 del c.p.a.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 4494 del 2006, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in euro 4.000,00 (euro quattromila/00) in favore degli appellanti, oltre competenze di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Guido Romano, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011