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Condono edilizio per ristrutturazione immobile – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3379/2011

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3379 del 06/06/2011

FATTO

1.- Con ricorso al TAR Lombardia (n.4254/1996), le signore [OMISSIS], [OMISSIS] e la snc Covedil premettevano di essere proprietarie di due tettoie (insistenti in Comune di Brugherio sul mappale n.154/fg.32) facenti parte di un complesso immobiliare industriale ed artigianale, in uso alla predetta società e condonato ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47/1985. Le ricorrenti aggiungevano di aver chiesto ed ottenuto, relativamente ai predetti due manufatti, una concessione edilizia per la loro “ristrutturazione”, da realizzarsi mediante totale rifacimento in latero-cemento delle tettoie esistenti, completamente deteriorate, e risanamento dei pilastri di sostegno delle coperture. Successivamente, con verbale in data 26.7.1993, la Polizia municipale ed il tecnico comunale riferivano essere in fase di realizzazione “una tettoia in aderenza ad un fabbricato esistente” ed ipotizzavano il superamento dei limiti della concessa ristrutturazione. Il verbale di sopralluogo, dopo aver dato atto del titolo a realizzare la copertura in latero-cemento, osservava tuttavia che il titolo prevedeva il mantenimento della struttura di sostegno, salvo qualche pilastro.

In conseguenza del predetto verbale il Comune emetteva un ordine di sospensione (ord. n.81/1993) e di seguito un ordine di demolizione, (n.13/1994) delle predette tettoie.

Gli esponenti chiedevano (ex art. 39 legge n.724/1994) la sanatoria di quanto realizzato, che veniva tuttavia negata dal Comune, il quale, previa revoca della precedente ordinanza, emetteva un nuovo ordine di demolizione, con prospettiva di acquisizione. Gli interessati impugnavano quindi innanzi al TAR i due provvedimenti emessi dal Comune di Brugherio, e precisamente:

– il diniego di condono edilizio (provv. n. 29725/1996) delle tettoie in quanto realizzate “ex novo” al confine della proprietà limitrofa e ritenute limitative delle “scelte edificatorie” della proprietà finitima;

– l’ordinanza (n. 140/1996) recante conseguente ingiunzione a demolire i due interventi, con comminatoria di acquisizione dell’area di sedime.

2.- Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso, ritenendo gli interventi sanzionati conformi al concetto di ristrutturazione edilizia (ed a quanto assentito dal Comune) in quanto non introduttivi di elementi ulteriori rispetto a quelli già in origine esistenti e limitativi della proprietà confinante.

3.- Il Comune di Brugherio ha tuttavia impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

3.1- Si sono costituiti nel giudizio i ricorrenti in primo grado resistendo al gravame ed esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive, che si hanno qui per riportate. Alla pubblica udienza del 5 aprile 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello controverte di una demolizione, ingiunta ai sensi dell’art. 7 delle legge n.47/1985, di due tettoie realizzate in ritenuta difformità da concessione edilizia di ristrutturazione e per le quali è stata respinta domanda di sanatoria presentata dai ricorrenti. I predetti atti emessi dal Comune sono stati annullati dal TAR ed il gravame in trattazione avversa la sentenza impugnata mediante due gruppi di censure.

1.1- Il primo àmbito di rilievi affronta il tema centrale della controversia, contestando la sentenza del TAR ove ha accolto il motivo di erroneità del presupposto di fatto assunto dal diniego di condono, vale a dire che l’intervento realizzato costituisse una nuova costruzione; sul punto (come già in fatto specificato) il Tribunale ha ritenuto gli interventi sanzionati conformi al concetto di ristrutturazione edilizia di preesistente manufatto, in quanto demolitivi e ricostruttivi senza introdurre elementi ulteriori rispetto a quelli già in origine esistenti, limitativi della proprietà confinante.

L’appellante contrasta questo orientamento ribadendo anche in questa sede la tesi che le due tettoie, pur essendo autorizzate da un premesso di ristrutturazione rilasciato ai sensi dell’art. 31 della legge n.457/1978, sono state integralmente demolite e ricostruite in violazione dell’art. 32 delle NTA, che permette la costruzione in aderenza solo in presenza di preesistente parete non finestrata o di accordo tra i proprietari confinanti. L’affermazione del giudice di prime cure per cui gli interventi “de quibus” si sono limitati ad una ristrutturazione rispettosa delle caratteristiche preesistenti (disposizioni, dimensioni, materiali) sarebbe apodittica. In contrario sussisterebbero elementi fattuali a conferma che l’intervento realizzato è consistito in una integrale demolizione e ricostruzione di un edificio diverso per dimensioni, sagoma, volumi, materiali e distanze dai fondi limitrofi.

Le censure testé riassunte non possono essere accolte, in quanto non supportate dagli stessi atti comunali impugnati e non sono perciò in grado di ribaltare le valutazioni compiute dal TAR. Ed invero, dall’esame dei contestati provvedimenti comunali emerge che:

a- il verbale di sopralluogo, dopo aver richiamato la concessione edilizia di ristrutturazione (e che essa prevedeva il rifacimento del tetto e di alcuni pilastri delle tettoie,con parziale mantenimento di alcuni pilastri di legno) si limita a concludere testualmente che “è possibile ipotizzare che l’intervento possa essere andato oltre la concessa autorizzazione, venendosi a qualificare come demolizione con ricostruzione”;

b- il diniego di condono è motivato col rilievo che, su due fronti “l’opera” limita le “scelte edificatorie” delle proprietà confinanti (su questo punto v. infra, n.2.2.);

c- l’ordinanza di demolizione n. 140/1996 dispone la demolizione delle tettoie sulla base del verbale di sopralluogo e del diniego di condono.

Da quanto appena rilevato il Collegio non può che ricavare come gli atti Comunali non abbiano indicato alcun elemento a supporto del fatto che l’intervento sia in effetti andato oltre le caratteristiche iniziali del manufatto (per esempio realizzando a perimetro della tettoia perimetrali originariamente inesistenti), rimanendo ben lontani dal verificare con un adeguato grado di attendibilità quanto del resto meramente ipotizzato dal verbale di sopralluogo, vale a dire che “l’intervento possa essere andato oltre la concessa autorizzazione, venendosi a qualificare come demolizione con ricostruzione”. In tale situazione, la motivazione degli atti impugnati presenta un aspetto sostanzialmente ellittico, mentre a conforto della tesi accolta dal TAR opera pienamente l’art. 31 della legge n.457/1978, nel testo vigente all’epoca dei fatti, il quale annovera infatti tra gli interventi di ristrutturazione edilizia persino quelli che possono portare alla realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso. Questa osservazione, che rende a maggior ragione inapplicabile al caso l’invocato art. 3 del DPR n. 380/2001 (che richiede invece la ricostruzione fedele, poi eliminata dal d.l. n.3001/2002), palesa che la collocazione più appropriata dell’intervento doveva probabilmente avvenire nell’ambito dell’art. 31, lett.b, il quale, nel disciplinare le manutenzioni straordinarie assentibili, indica gli elementi da tenere fermi; ma comunque anche nel caso della ristrutturazione edilizia (regolata dalla lett. “d” e nella quale sia il permesso del Comune che gli atti impugnati hanno collocato l’intervento), consolidata giurisprudenza in materia ha precisato i limiti della ristrutturazione con demolizione integrale e ricostruzione, individuandoli nella conservazione delle caratteristiche essenziali originarie del manufatto originario (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, n.476/2004).

Ma a carico delle tettoie in argomento, come si è già osservato, non sono emersi elementi di superamento di tali limiti. Anche l’ipotesi di costruzione di muri perimetrali originariamente inesistenti è smentita dallo stesso appellante che conferma (p. 7 del ricorso) quanto attestato dal rilievo del tecnico comunale, e cioè che ai lati esterni della tettoia vi è soltanto una mera recinzione e che quindi nell’intervento non è stata realizzata alcuna opera muraria.

“Nulla quaestio” può sorgere poi sulla considerazione, qui condivisa, che la sostituzione di materiali deteriorati (quali pali di legno o componenti il tetto) non contraddice il concetto di fedele ricostruzione e rientra quindi pienamente in quello di ristrutturazione edilizia, intervento per il quale è del tutto pacifico possano essere utilizzati materiali diversi da quelli originari (ovviamente nel rispetto di tutte le altre normative eventualmente rilevanti). Giova in proposito notare, con riferimento alla sostituzione integrale dei pali di legno con pilastri in cemento, che nemmeno questa tipologia di intervento (sul cui motivo peraltro il tecnico dei ricorrenti aveva relazionato) ha indotto il Comune all’esatta qualificazione di quanto realizzato.

In sostanza, in base alla lettura degli atti, può affermarsi che l’amministrazione comunale, non indicando nei predetti provvedimenti alcun elemento tecnico a prova delle ipotizzate difformità ristrutturative, ha ignorato il contenuto meramente ipotetico del sopralluogo tecnico, illegittimamente sanzionando l’opera come se fosse stata realizzata “ex novo” in assenza di titolo edilizio; e del resto che in tal senso intendesse procedere il Comune si ricava chiaramente, se non dagli atti impugnati, dalla delibera di Giunta n. 53/2004, la quale (pur occupandosi della diversa funzione di esprimere il parere sulla proposta di appellare la sentenza del TAR) qualifica la fattispecie come “realizzazione di opere in assenza di concessione edilizia”, tant’è che vi applica la misura acquisitiva (ex art. 7 l. n.47/1985), peraltro difficilmente configurabile per gli abusi di natura non volumetrica.

Contrastando quanto ritenuto dal TAR, i motivi in esame procedono nel tentativo di colmare le evidenziate lacune, ma riproducono pur noti concetti normativi e giurisprudenziali in materia di demolizione e fedele ricostruzione, i quali risultano inapplicabili all’intervento di demolizione e ricostruzione sanzionato, del quale non è stata dimostrata la ricostruzione infedele sotto nessuno dei profili a ciò rilevanti (dimensioni, sagoma e distanze da confini ed edifici limitrofi secondo le norme vigenti all’epoca della realizzazione originaria).

1.2.- Anche il secondo ordine di censure, che attiene specificamente all’annullamento del diniego di condono, non può essere accolto.

Detto atto negativo è stato motivato col rilievo che, su due fronti, “l’opera” limita le scelte edificatorie delle proprietà confinanti, ed è stato annullato per difetto di motivazione dal TAR, il quale, accogliendo le argomentazioni dei ricorrenti, ha ritenuto generico il cennato riferimento poiché tale da evocare tutti i possibili casi di applicazione dell’art.39 della legge n. 724/1994. Il Comune avversa questa motivazione riproponendo la tesi della nuova costruzione ed evidenziando comunque che il diniego fa riferimento alla legge ostativa al rilascio del condono ed in particolare al fatto che la costruzione è stata realizzata sul confine con la proprietà limitrofa.

Essendo tuttavia comprovato trattarsi non di nuova costruzione ma di legittima ristrutturazione di preesistente (come già illustrato al punto 2.1.), e già condonato immobile, il Collegio non può che osservare come la tesi del Comune si pone in pieno contrasto logico con la necessità di un procedimento di condono, atteso che l’intervento realizzato non risulta aver esorbitato dalle caratteristiche imposte dal permesso di ristrutturazione.

Il Collegio osserva peraltro che il mero richiamo alle scelte edificatorie delle proprietà limitrofe non permette in effetti di comprendere come dalla riedificazione di una legittima tettoia sull’area di originaria insistenza possa derivare una limitazione della capacità edificatoria del fondo vicino.

La questione del difetto di motivazione del diniego di condono rimane comunque assorbita da quanto sopra osservato sulle contestazioni svolte dal Comune.

2.- Conclusivamente l’appello deve essere respinto, meritando conferma la sentenza impugnata.

3.-In ordine alle spese del presente giudizio sussistono giuste ragioni per disporne la compensazione, attesa la sufficiente complessità delle questioni sollevate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011

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