Valutazione comparativa per assegnazione di un posto di professore universitatio di ruolo – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3358/2011
Il parametro di valutazione del consiglio di facoltà ai fini della copertura dei posti di ruolo resisi vacanti, mediante chiamata dei vincitori di concorso per trasferimento da altra facoltà universitaria, nella logica assunta dall’art. 9 d.l. 1 ottobre 1973 n. 580, conv. in l. 30 novembre 1973 n. 766, ha sempre natura derivata (o di secondo grado), nel senso che esso deve basarsi o, quanto meno, deve essere formulato al termine dell’esame dei giudizi (individuali e collegiali) espressi dalla commissione di concorso su ciascun candidato, nonché al termine dell’esame del loro “curriculum” didattico e scientifico; pertanto, il consiglio di facoltà non è affatto tenuto a riproporre una sorta di procedura concorsuale limitatamente a coloro che chiedono di essere chiamati, previa determinazione dei criteri di massima cui deve ispirarsi il suo operato, ma è invece, tenuto soltanto ad esternare le ragioni per le quali esso intende orientarsi in un modo piuttosto che in un altro in presenza di più domande relative ad una medesima cattedra, le ragioni, cioè, per le quali viene preferito un aspirante rispetto agli altri.
(© Litis.it, 7 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3358 del 06/06/2011
FATTO
Con il ricorso di primo grado l’odierno appellante Professore [OMISSIS] aveva esposto che con decreto rettorale n. 28/2008 del 16.6.2008, pubblicato sulla G.U.R.I. dell’11.7.2008, la Libera Università di Bolzano aveva indetto una procedura di valutazione comparativa per la copertura mediante trasferimento di un posto di professore universitario di ruolo di prima fascia per la Facoltà di Scienze e Tecnologie e il settore scientifico-disciplinare MAT/07 (Fisica Matematica).
Egli era stato escluso da tale procedura posto che, alla data di presentazione della domanda di partecipazione rivestiva la posizione di “Full Professor” presso la “University of Virginia” (USA), e non ricopriva la posizione di professore ordinario o straordinario presso una sede universitaria italiana.
Il Professore [OMISSIS] era quindi insorto articolando sei motivi di censura fondati su vizi procedimentali e sull’asserito contrasto degli atti con la pertinente normativa nazionale, al riguardo prospettando, in subordine, questioni di legittimità costituzionale e di violazione del diritto comunitario.
Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile l’impugnazione previa reiezione dell’istanza per regolamento preventivo di competenza presentata dall’intimata Università (secondo cui sussisteva la competenza territoriale del TRGA di Bolzano) e dell’eccezione di irricevibilità del mezzo di primo grado.
Secondo il primo giudice in particolare, doveva essere disattesa la doglianza fondata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 10 bis legge n. 241/1990 e all’art. 11 bis L.P. Autonoma Bolzano n. 17/93: la prima disposizione citata, infatti, non poteva applicarsi, per espressa previsione legislativa, alle procedure concorsuali.
Tra queste ultime dovevano farsi rientrare anche le procedure universitarie di trasferimento mediante valutazione comparativa.
Sotto altro profilo, nel caso di specie l’atto formale di esclusione vero e proprio, (il decreto assunto, a norma del bando di indizione della procedura -art. 6-, dal Rettore della Libera Università di Bolzano in data 16.9.2008) era stato preceduto dalla comunicazione in data 8.8.2008 del responsabile del procedimento di inammissibilità della domanda del Prof. [OMISSIS].
Tra l’una e l’altra determinazione era decorso più di un mese, durante il quale l’interessato ben avrebbe potuto interloquire con l’Amministrazione o chiedere chiarimenti; la comunicazione in data 8.8.2008 non era un provvedimento dispositivo e definitivo di esclusione, ma la mera segnalazione di una causa di esclusione, non spiegandosi altrimenti perché il Rettore avrebbe poi adottato il formale decreto di esclusione sopra citato.
Ne discendeva che non vi era stata alcuna lesione di garanzie partecipative e di trasparenza.
Il provvedimento di esclusione dalla procedura di trasferimento, per difetto di requisiti era stato correttamente adottato dal Rettore: la previsione – contenuta nell’ art. 6 del bando – dell’ammissione con riserva dei candidati alla procedura non poteva comportare, come erroneamente sostenutosi, che ogni valutazione circa l’ammissibilità delle domande avrebbe dovuto essere compiuta dopo l’insediamento della Commissione.
Nel merito, il primo giudice non ha condiviso la tesi dell’originario ricorrente secondo cui la normativa di legge, interpretata in senso costituzionalmente orientato, nonché il regolamento dell’Università intimata e lo stesso avviso di indizione della procedura, non vietavano ai docenti provenienti da Università straniere di partecipare alle procedure di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 210/1998. In particolare il predetto aveva sostenuto che sarebbe stato contrario ai principi del favor partecipationis, oltre che discriminatorio e irragionevole, escludere tali docenti ( solo perché non inquadrati nei ruoli di università italiane) dalle procedure di trasferimento come quella per cui è causa.
Difformemente da tale prospettazione, il primo giudice ha ricostruito la normativa primaria regolante la fattispecie evidenziando che dall’art. 3 della legge n. 210/1998,stabiliva che i regolamenti delle Università “disciplinano i trasferimenti” per la copertura di posti vacanti di professori universitari, “assicurando la valutazione comparativa dei candidati secondo criteri generali predeterminati e adeguate forme di pubblicità della procedura, nonché l’effettuazione dei medesimi esclusivamente a domanda degli interessati e dopo tre anni accademici di loro permanenza in una sede universitaria, anche se in aspettativa ai sensi dell’articolo 13, primo comma, numeri da 1) a 9), del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382”.
Le dette procedure di trasferimento erano state fatte salve, anche in vigenza del nuovo sistema di reclutamento dei professori universitari introdotto dalla legge n. 230/2005, dal richiamo contenuto nell’ultima parte dell’art. 13 del d.lgs. n. 164/2006.
La disposizione legislativa sui trasferimenti, contenuta nell’ art. 3 della L. n. 219/98, trovava il suo antecedente storico nell’art. 8 del d.P.R. n. 382/1980 che – dopo aver fissato il principio dell’inamovibilità dei professori ordinari – stabiliva comunque che gli stessi “possono essere trasferiti, a domanda, ad altro insegnamento della stessa facoltà o di altra facoltà della stessa Università, ovvero, dopo un triennio di servizio prestato nella medesima Università, anche ad altra Università, con le procedure di cui all’art. 93 del testo unico 31 agosto 1933, n. 1592 , e dell’art. 3 del decreto legislativo 5 aprile 1945, n. 238” e che “la domanda di trasferimento può essere presentata dall’interessato anche nel corso del terzo anno di permanenza nell’Università”.
Tutte le anzidette disposizioni attenevano allo status dei professori universitari italiani, assicurando la mobilità di questi ultimi nell’ambito della stessa o di altre università. Il campo di applicazione della normativa suddetta era quindi chiaramente limitato a coloro che già rivestivano la posizione di professore di ruolo nel sistema universitario italiano; il dato risultava confermato dall’art. 4 del vigente Regolamento della Libera Università di Bolzano (di cui il decreto rettorale n. 28/2008 aveva fatto mera applicazione) di disciplina delle procedure di trasferimento dei docenti universitari (approvato nel 2001 e modificato nel 2007).
Il [OMISSIS], pertanto, in quanto proveniente da un’Università americana, non poteva concorrere alla procedura di copertura del posto mediante trasferimento.
Il trasferimento doveva avvenire infatti tra Università italiane.
Né in senso contrario poteva invocarsi l’art. 2 del d.P.R. n. 117/2000, secondo il quale “la partecipazione alle valutazioni comparative è libera, senza limitazioni in relazione alla cittadinanza a al titolo di studio posseduto dai candidati”: detta disposizione in ultimo citata era relativa alle procedure concorsuali vere e proprie di conseguimento della posizione di professore universitario e nel caso di specie neppure si poneva il problema di discriminare sotto il profilo della cittadinanza, ma di consentire il trasferimento di docenti da una sede universitaria italiana all’altra, a prescindere dalla loro cittadinanza e dal titolo di studio posseduto.
Sotto il profilo strettamente letterale, poi, il termine “trasferimento” implicava il passaggio tra due entità in qualche misura omogenee, mentre il passaggio tra università di ordinamenti statuali diversi, determinava una cesura di continuità nel rapporto tale da non potersi più parlare, nel senso comune del termine, di “trasferimento”.
Neppure in favore della tesi del [OMISSIS] poteva deporre la circostanza che l’originario ricorrente fosse stato in possesso dal 1994 della qualifica di professore universitario straordinario presso la Facoltà di Economia dell’Università della Calabria: non risultava infatti che nella domanda di partecipazione egli avesse chiesto il trasferimento da detta Università.
Sotto altro profilo, l’Amministrazione aveva documentalmente comprovato che il [OMISSIS] aveva conseguito la posizione di professore straordinario di Analisi Matematica presso la suddetta Università a far data dall’1.11.1994 ma dopo soltanto sei mesi aveva presentato le proprie dimissioni volontarie, cessando dal rapporto con il suddetto Ateneo a far data dal 30.4.1995.
Egli non possedeva pertanto il necessario triennio di servizio per la partecipazione alla procedura di trasferimento di cui trattasi.
Parimenti è stato escluso dal primo giudice ogni alcun plausibile sospetto di illegittimità costituzionale della suddetta normativa di legge come sopra letta ed interpretata (le procedure di trasferimento non potevano essere equiparate ai concorsi di accesso veri e propri alla docenza universitaria, rispondendo a mere esigenze di mobilità tra istituzioni universitarie italiane ed in essi la concorrenzialità tra candidati era necessariamente limitata a soggetti tutti già in possesso della qualifica di professore universitario di ruolo presso sedi universitarie nazionali)
o di violazione e contrasto con norme comunitarie (il [OMISSIS] non insegnava in un ateneo di un paese comunitario ma negli Usa).
In ultimo, è stata esclusa la fondatezza della censura di sviamento di potere in dipendenza della circostanza che l’Università intimata aveva indetto la procedura di cui trattasi dopo aver respinto, con nota in data 18.6.2008, un’istanza dello stesso [OMISSIS] per ottenere una chiamata diretta ai sensi dell’art. 1 comma 9 della legge n. 230/2005.
Secondo la tesi dell’originario ricorrente, infatti, l’Università aveva sostenuto, con detta nota, di non essere interessata ad acquisire la professionalità del Prof. [OMISSIS] in quanto il campo di competenze di quest’ultimo non rispondeva alle esigenze dell’Ateneo, per poi- con uso sviato del potere amministrativo- indire un concorso per il settore MAT/07 che era proprio quello in cui egli operava.
Il primo giudice ha respinto la doglianza evidenziando che la nota del 18.6.2008 non era oggetto d’impugnativa e che con la procedura selettiva per trasferimento l’Università poteva individuare, anche nell’ambito di più docenti dello stesso settore scientifico disciplinare, quello con profilo didattico operativo e tipologia di impegno scientifico più consoni alle proprie esigenze.
Stante la legittimità dell’esclusione dalla contestata procedura del [OMISSIS] quest’ultimo non aveva alcun interesse a contestare l’esito della procedura stessa, con la nomina della controinteressata, assumendo tra l’altro la superiorità dei propri titoli, né ad impugnare, quale atto presupposto, il d.m. 4.10.2000: le relative censure dovevano quindi essere dichiarate inammissibili.
L’originario ricorrente rimasto soccombente ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima riproponendo tutte le doglianze contenute nel mezzo di primo grado (ad eccezione di quella fondata sull’omesso avviso dell’avvio del procedimento di esclusione).
Il combinato disposto degli articoli 6 ed 8 del decreto rettorale n. 28 del 2008 non consentiva di affermare che il Rettore potesse escludere dalla procedura comparativa taluno dei candidati: soltanto la Commissione istruttoria avrebbe potuto disporre in tal senso
L’interpretazione della legge n. 210 del 1998, artt. 1 e 3 (nonché dell’art. 2 e dell’art. 4 del d.P.R. 23 marzo2000 n. 117) resa dal primo giudice era palesemente incostituzionale in quanto collidente con gli articoli 3, 51, 97 e 98 della Carta Fondamentale.
Doveva affermarsi quindi che detta legge disciplinava una fattispecie di “mobilità esterna” aperta alle professionalità non operanti in Italia: la procedura comparativa indetta ai sensi della legge n. 210 del 1998 aveva natura riservata ma era precluso al legislatore ordinario di introdurre restrizioni alla partecipazione a pubblici concorsi.
Né alcun divieto poteva rinvenirsi nel sistema a che i professori operanti presso Università estere partecipassero alla procedura di trasferimento bandita ai sensi della legge n. 210 del 1998: peraltro i principi comunitari di libertà di stabilimento dovevano valere erga omnes.
Egli ha poi ribadito di vantare un curriculum di assoluta eccellenza e superiore a quello di ogni altro candidato.
Con memoria conclusionale datata 19 aprile 2011 l’appellante ha ribadito e puntualizzato le proprie doglianze ribadendo la natura concorsuale della procedura di cui alla legge n. 210 del 1998 e richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di necessità che l’accesso ai pubblici uffici avvenga per pubblico concorso .
L’Università di Bolzano si è costituita nell’odierno grado di giudizio depositando una articolata memoria confutando analiticamente i motivi del ricorso in appello proposto dal [OMISSIS] e chiedendone la reiezione alla stregua del principio per cui “trasferimento” poteva esservi soltanto in relazione ad una provenienza da realtà omogenee (e tale era da considerarsi unicamente il pregresso insegnamento presso atenei italiani).
La esattezza della interpretazione del primo giudice si rinveniva altresì nel riferimento (contenuto all’art. 3 della citata legge n. 210 del 1998) ad un istituto (quello dell’aspettativa) peculiare all’ordinamento giuridico italiano.
Alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2010 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la trattazione della causa è stata rinviata al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello deve essere respinto in quanto infondato.
2. La prima doglianza da esaminare è quella – di natura infraprocedimentale – prospettata nel primo motivo di censura in quanto postulante la radicale invalidità dell’azione amministrativa spiegata dall’Ateneo.
2.1. Ritiene il Collegio che essa sia inammissibile per difetto di interesse, e comunque infondata.
Invero, come esposto nello stesso primo motivo del ricorso in appello, essa è finalizzata ad ottenere che la Commissione istruttoria valuti i titoli posseduti dal [OMISSIS].
Avuto però riguardo alla causa di esclusione prospettata dall’amministrazione, tale evenienza sarebbe comunque stata di impossibile verificazione, ed in ogni caso priva di effetto favorevole alcuno per l’appellante.
La causa di esclusione, infatti, riposa nel supposto difetto delle condizioni soggettive per la presentazione della domanda; è agevole riscontrare che tale difetto dovesse essere dichiarato prioritariamente e non potesse in alcun modo essere condizionato dalla qualità e quantità dei titoli vantati ( e da nessuno mai posti in dubbio dall’appellante).
Egli non aveva e non ha alcun interesse a sollevare la censura.
2.2. Ad abundantiam si rileva che il mezzo è peraltro infondato, in quanto propone una lettura del tutto illogica delle previsioni, contenute negli artt. 6 ed 8 del decreto rettorale n. 28 del 2008, dell’ammissione con riserva dei candidati alla procedura.
Essa postula una ingiustificata postergazione del rilievo della eventuale carenza dei requisiti soggettivi legittimanti la partecipazione dei candidati, differendo ogni valutazione circa l’ammissibilità delle domande al momento successivo all’insediamento della Commissione.
Senonché lo stesso appellante è poi costretto a riconoscere la possibilità per il Rettore di disporre l’esclusione, in caso di accertamento del difetto dei requisiti, non pertenendo tale potere alla Commissione.
Se così è, non si vede qual rilievo condizionante – e preclusivo alla declaratoria immediata del difetto soggettivo del requisito di partecipazione – dovesse rivestire l’insediamento della Commissione: al contrario di quanto affermatosi nel ricorso in appello, invece, appare chiaro che le disposizioni in parola hanno il fine di rimarcare la possibilità per il Rettore di disporre in ogni momento ( prima ed anche dopo l’inizio della procedura valutativa vera e propria) l’esclusione di taluno dei soggetti che avevano presentato domanda di partecipazione in caso di accertamento del difetto dei requisiti.
3. Passando ad esaminare il merito, la questione centrale devoluta all’esame del Collegio riposa nella interpretazione del disposto di cui all’art. 1 ed all’art. 3 della legge 3 luglio 1998 n. 210.
In particolare, occorre chiedersi se la procedura ivi delineata riguardi unicamente docenti che – svolgendo attività accademica in Italia – chiedano di trasferirsi presso altro Ateneo ubicato in Italia, ovvero se le disposizioni in parola possano riguardare anche la posizione di un docente che, insegnando presso ateneo non ubicato in Italia né in ambito comunitario intenda trasferirsi in un Ateneo italiano.
Nel rilevare che in ordine alla permanente vigenza delle suddette disposizioni che regolamentano le procedure di trasferimento anche a seguito del nuovo sistema di reclutamento dei professori universitari introdotto dalla legge n. 230/2005 (a cagione del richiamo contenuto nell’ultima parte dell’art. 13 del d.lgs. n. 164/2006) non v’è contestazione, pare utile al Collegio rammentare che il comma sesto dell’art. 1 della citata legge 3 luglio 1998 n. 210 così dispone: “Le nomine in ruolo e i trasferimenti di cui alla presente legge sono disposti con decreto rettorale e decorrono di norma dal 1° novembre successivo, ovvero da una data anteriore, in caso di attività didattiche da svolgere nella parte residua dell’anno accademico. Nel caso in cui l’interessato provenga dai ruoli di altre università, l’anticipo della decorrenza può essere disposto solo sulla base di un accordo tra le università interessate, approvato dagli organi accademici competenti, previo nulla osta della facoltà di provenienza”.
L’art. 3 della citata legge, a propria volta, disciplinando direttamente la fattispecie dei trasferimenti, dispone che “I regolamenti di cui all’articolo 1, comma 2, disciplinano i trasferimenti, assicurando la valutazione comparativa dei candidati secondo criteri generali predeterminati e adeguate forme di pubblicità della procedura, nonché l’effettuazione dei medesimi esclusivamente a domanda degli interessati e dopo tre anni accademici di loro permanenza in una sede universitaria, anche se in aspettativa ai sensi dell’articolo 13, primo comma, numeri da 1) a 9) , del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382”.
Il dato letterale ricavabile da tali disposizioni è inequivocabile: il termine “trasferimento” è ben distinto dal concetto di reclutamento; si fa riferimento alla permanenza triennale in una sede universitaria che non può che essere italiana; del pari la circostanza che nel citato art. 3 si fa richiamo ad un concetto (quello di “aspettativa”) chiaramente riferibile al solo territorio italiano integrano tutti elementi che pacificamente escludono la fondatezza della tesi dell’appellante.
3.1.Quest’ultimo contesta le considerazioni esposte proponendo una interpretazione “costituzionalmente e comunitariamente orientata” che non ha riscontro normativo alcuno e che non appare punto condivisibile.
In primo luogo si rileva che è del tutto incongrua l’invocazione della disciplina comunitaria (volta a postulare una incompatibilità con quest’ultima della legislazione italiana nei termini interpretati dal primo giudice e confermati da questo Collegio) posto che l’appellante non prestava – né presta- servizio presso un Ateneo ubicato nel territorio dell’Unione Europea.
Secondariamente, se il fine della disciplina in materia di reclutamento del personale è senza dubbio quello di selezionare quello munito di titoli di maggiore spessore (pag 39 del ricorso in appello), non si vede come tale constatazione (con la quale si concorda senz’altro, in via di principio) possa spiegare effetti favorevole all’appellante allorché ciò che viene in rilievo ed è disciplinato dalla legge non è un “nuovo” reclutamento, ma un “trasferimento” di chi già è in servizio.
Il vero è, semmai, che proprio tale ultima affermazione rende palese la contraddizione endemica della posizione dell’appellante, che pretenderebbe di utilizzare una procedura di “trasferimento” per conseguire quella che sarebbe a tutti gli effetti ( per la posizione dell’appellante medesimo) un “reclutamento” vero e proprio.
Ciò in contrasto con le affermazioni della giurisprudenza amministrativa di primo grado, rese già in costanze dell’antevigente disciplina e che conservano permanente attualità, secondo cui Il parametro di valutazione del consiglio di facoltà ai fini della copertura dei posti di ruolo resisi vacanti, mediante chiamata dei vincitori di concorso per trasferimento da altra facoltà universitaria, nella logica assunta dall’art. 9 d.l. 1 ottobre 1973 n. 580, conv. in l. 30 novembre 1973 n. 766, ha sempre natura derivata (o di secondo grado), nel senso che esso deve basarsi o, quanto meno, deve essere formulato al termine dell’esame dei giudizi (individuali e collegiali) espressi dalla commissione di concorso su ciascun candidato, nonché al termine dell’esame del loro “curriculum” didattico e scientifico; pertanto, il consiglio di facoltà non è affatto tenuto a riproporre una sorta di procedura concorsuale limitatamente a coloro che chiedono di essere chiamati, previa determinazione dei criteri di massima cui deve ispirarsi il suo operato, ma è invece, tenuto soltanto ad esternare le ragioni per le quali esso intende orientarsi in un modo piuttosto che in un altro in presenza di più domande relative ad una medesima cattedra, le ragioni, cioè, per le quali viene preferito un aspirante rispetto agli altri. (si veda T.A.R. Lazio, sez. I, 28 marzo 1979, n. 323).
Né maggior pregio possiedono le argomentazioni volte a dimostrare che, aderendo alla tesi dell’appellante, e considerando dette procedure di trasferimento quali forme di “mobilità esterna” si perseguirebbe il risultato di ampliare la platea degli aspiranti, conformemente al principio del “favor partecipationis”.
Tale circostanza è in punto di fatto senz’altro vera, non foss’altro sotto il profilo strettamente aritmetico: senonché ciò non può condurre ad obliare la circostanza che per fruire della disciplina sui trasferimenti è prescritto il possesso di un fondamentale requisito legittimante (insegnamento triennale presso un Ateneo italiano) congruente con la complessiva ratio del sistema.
La enfatizzata circostanza che nella legge 3 luglio 1998 n. 210 non si rinviene un espresso divieto alla partecipazione alla procedura di trasferimento del docente che presta servizio presso un Ateneo straniero appare in realtà al Collegio elemento del tutto neutro, posto che una espressa comminatoria impeditiva in tale senso sarebbe stata superflua a fronte della prescrizione normativa del possesso di requisiti legittimanti la partecipazione alle procedura incompatibili con l’insegnamento presso atenei esteri.
3.2. Non migliore sorte, merita, ad avviso del Collegio, la articolata censura fondata sulla pregressa reiezione da parte dell’Ateneo (con nota in data 18.6.2008)di un’istanza dello stesso ricorrente per ottenere una chiamata diretta ai sensi dell’art. 1 comma 9 della legge n. 230/2005.
A quanto osservato dal primo giudice in ordine alla circostanza che la predetta nota non era stata oggetto di impugnativa e che con la procedura selettiva per trasferimento l’Università può individuare, anche nell’ambito di più docenti dello stesso settore scientifico disciplinare, quello con profilo didattico operativo e tipologia di impegno scientifico più consoni alle proprie esigenze deve aggiungersi che neppure l’appellante supporta con indicazione alcuna -anche fondata su elementi di consistenza indiziaria, o presuntivi- di natura logica l’ asserita avversione dell’appellato Ateneo al proprio trasferimento in detta sede.
Al contrario, vengono tra loro messi in connessione differenti atti amministrativi, arbitrariamente stabilendo tra i medesimi un legame in realtà insussistente e che oblia il dato normativo rappresentato dalla circostanza che questi, in quanto non proveniente da una Università Italiana non avrebbe potuto trasferirsi nel predetto Ateneo.
4. Le considerazioni sinora svolte sarebbero sufficienti alla reiezione del ricorso in appello.
A quanto sinora esposto, devono però per completezza espositiva aggiungersi ulteriori brevi notazioni.
In primo luogo, il Regolamento dell’Ateneo di Bolzano non reca alcuna disposizione innovativa rispetto ai principi sinora affermati, in quanto si limita a riproporre le disposizioni del dettato legislativo.
Secondariamente, il d.P.R. 23 marzo 2000 n. 117 all’art. 2 comma 8 (“La partecipazione alle valutazioni comparative è libera, senza limitazioni in relazione alla cittadinanza e al titolo di studio posseduti dai candidati.”) fa riferimento alla (comma 1 dell’art. 2 medesimo) “copertura dei posti di professore ordinario, di professore associato e di ricercatore”, ed il riferimento alle procedure comparative ivi contenuto non può essere ampliato alla diversa ipotesi del trasferimento.
Sotto altro profilo, il dubbio di costituzionalità sollevato dall’appellante non ha ragione d’essere, in quanto espresso con riferimento ad una situazione tutt’affatto diversa.
Non si dubita, infatti, che secondo gli autorevoli insegnamenti della Corte costituzionale il pubblico concorso costituisca lo strumento principe per la selezione del personale e per gli avanzamenti di carriera del medesimo: nel caso in esame, però, il “trasferimento” regolato normativamente dalle citate disposizioni non realizza alcuna “nuova” immissione in servizio, né implica che il prescelto consegua un avanzamento di carriera.
Ne consegue che la invocazione dei principi in materia di doverosità della selezione concorsuale (e della conseguente “apertura esterna” della medesima) al caso di specie appare del tutto distonico dalla realtà e che i dubbi di costituzionalità manifestati dall’appellante siano palesemente infondati.
In ultimo, con riferimento al dubbio di compatibilità comunitaria, la questione dell’asserito contrasto della legislazione italiana con le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento non è pertinente, trattandosi di soggetto che prestava servizio presso una Università americana e, pertanto, di situazione priva di alcun collegamento con il Diritto dell’Unione.
Ciò elimina ogni dubbio sulla compatibilità con il diritto comunitario della disciplina in esame ed esclude la necessità di un invio, quale giudice di ultima istanza, degli atti alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE (già art. 234 del Trattato CE).
Si ricorda in proposito che anche i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se questa non è pertinente (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite), se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso, o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (Corte giust. CE, 6-10-82, C 283/81, Cilfit).
5. Tutte le altre censure non espressamente esaminate dal Collegio sono state ritenute irrilevanti e comunque non influenti ai fini del decidere, con particolare riferimento alle doglianze (anche postulanti una valutazione comparativa) incentrate sul curriculum accademico dell’appellante, in quanto riferibili ad un soggetto non legittimato a trasferirsi presso l’Ateneo italiano appellato.
6. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
7. La condanna al pagamento delle spese degli onorari del giudizio segue la soccombenza e l’appellante deve essere pertanto condannato al pagamento, in favore dell’appellato Ateneo di euro mille (€ 1000/00), oltre accessori di legge, se dovuti, mentre possono essere compensate le spese relativamente alla posizione dell’appellato Ministero.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 7617 del 2010,come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio, nella misura di euro mille (€ 1000/00), oltre accessori di legge, se dovuti, in favore dell’ appellato Ateneo e le compensa nei confronti dell’appellato Ministero.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente FF
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011