Composizione del Collegio giudicante su sanzioni disciplinari in materia assicurativa – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3363/2011
Il criterio più sicuro per individuare quando un organo collegiale debba ritenersi perfetto è quello che assegna tale connotazione al collegio per il quale, accanto ai componenti effettivi, sono previsti anche componenti supplenti, essendo lo scopo della supplenza proprio di garantire che il Collegio possa operare con il plenum anziché con la sola maggioranza, in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall’impedimento di taluno dei suoi componenti.
Nella fattispecie, l’organo giudicante prevedeva una composizione di due membri effettivi ed un supplente. Il ricorrente assumeva che il provvedimento adottato dal Collegio, presenti i due membri effettivi ed in assenza del supplente, non fosse valido.
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Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Sentenza n. 3363 del 06/06/2011
FATTO
Con il ricorso di primo grado, era stato chiesto dall’odierno appellante l’annullamento del provvedimento ISVAP n. 00166/PD/08 del 17 luglio 2008, recante l’irrogazione al medesimo della sanzione disciplinare della radiazione ai sensi dell’art. 18, commi 1 lett. c) e 4, della legge n. 48 del 1979, con conseguente cancellazione dal Registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi nonché della deliberazione n. 1078 dell’11 giugno 2008 del Collegio di garanzia sui procedimenti disciplinari, e del regolamento ISVAP n. 6 del 20 ottobre 2006 e successive modifiche, concernente la procedura per l’applicazione delle sanzioni disciplinari nei confronti degli intermediari assicurativi, nella parte in cui, all’art. 9, comma 2, prevedeva la possibilità per il collegio o la sezione di operare con la presenza di due componenti.
Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – ha preliminarmente disatteso l’ eccezione di intervenuta estinzione del giudizio proposta dall’Isvap; nel merito ha analiticamente preso in esame i motivi di censura proposti dal [OMISSIS] respingendoli.
Secondo il primo giudice, in particolare, era infondata la doglianza concernente la composizione del Collegio di garanzia sui procedimenti disciplinari istituito presso l’ISVAP.
Di essa si assumeva la invalida costituzione sulla base di due diverse prospettazioni: l’una inerente l’asserita illegittimità dell’art. 9, comma 2, del regolamento ISVAP n. 6 del 20 ottobre 2006 laddove stabiliva che il Collegio di garanzia poteva validamente operare con la presenza di due componenti, per contrasto con l’art. 331 del d.lgs. n. 209 del 2005, che stabiliva che il Collegio di garanzia fosse composto da un presidente e da due componenti ( demandando alla disciplina regolamentare – secondo il [OMISSIS] – la sola competenza a dettare norme sulla procedura, con preclusione della possibilità di ridurre i componenti del Collegio).
L’altra censura, proposta in via subordinata, era volta a denunciare l’erronea applicazione della norma regolamentare succitata.
Il Tribunale amministrativo ha in proposito riconosciuto che effettivamente il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della radiazione era stato adottato dal Presidente dell’ISVAP in adesione alla conforme proposta adottata dal Collegio di Garanzia sui Procedimenti Disciplinari nella seduta dell’11 giugno 2008 con la presenza di due soli componenti, avendo il terzo componente del Collegio rassegnato precedentemente le dimissioni e non essendosi ancora proceduto alla sua sostituzione.
Ciò tuttavia non integrava alcuna illegittimità.
La norma regolamentare di cui all’art. 9, comma 2, del regolamento ISVAP n. 6 del 20 ottobre 2006 aveva inteso assicurare, privilegiandola rispetto ad altri interessi, la funzionalità dell’organo disciplinare al fine di evitarne la paralisi nei casi di assenza o anche solo di sussistenza di un obbligo di astensione in capo ad uno dei componenti.
Il Collegio di garanzia, come delineato dalla norma primaria, doveva qualificarsi – contrariamente a quanto sostenutosi nel mezzo di primo grado – quale collegio imperfetto, non prevedendo il richiamato art. 331 del Codice delle assicurazioni la nomina di membri supplenti, la cui presenza costituiva l’indice per la qualificazione di un organo quale collegio perfetto.
Anche la prospettazione subordinata, secondo cui detta norma regolamentare, avrebbe consentito il funzionamento del Collegio con la presenza di due soli componenti nelle sole ipotesi di assenza o altro impedimento di carattere temporaneo (con esclusione quindi delle ipotesi di impedimento definitivo connesso alle dimissioni di uno dei componenti) meritava la reiezione.
Ciò perché la previsione in esame era volta a garantire il funzionamento dell’organo: irragionevole e forzata si appalesava un’interpretazione riduttiva della sua portata in ragione della distinzione basata sulla natura temporanea o definitiva dell’impedimento di uno dei componenti o sulla durata dello stesso; né la lettera della norma offriva sicuri indici idonei ad avallare tale distinzione.
Parimenti doveva essere affermata l’infondatezza della censura postulante l’intervenuta decadenza dall’azione disciplinare in virtù del superamento del termine per la notifica della contestazione degli addebiti e per l’avvio del procedimento stabilito dall’art. 3 del regolamento ISVAP n. 6 del 2006.
Tale regolamento disponeva che l’istruttoria doveva concludersi entro 90 giorni dal ricevimento degli atti da parte del funzionario responsabile.
Nella specie l’avvio del procedimento sarebbe dovuto intervenire, secondo il [OMISSIS], entro il 3 luglio 2007: esso era stato invece adottato in data 12 settembre 2007 e notificato il 17 settembre 2007.
Senonché in contrario senso deponeva la circostanza che l’avvio dell’istruttoria era stato stimolato dalla segnalazione del 7 novembre 2006 con cui la mandante del rapporto di agenzia con l’impresa del ricorrente, l’Aurora Assicurazioni s.p.a., aveva comunicato all’ISVAP l’avvenuta revoca per giusta causa del mandato, avvenuta in data 24 ottobre 2006, conseguente a gravi irregolarità contabili e gestionali riscontrate nel corso di una verifica amministrativa svoltasi dal 26 al 27 settembre 2006, alla quale aveva fatto seguito un ulteriore verbale di verifica in data 18 ottobre 2006 e la riconsegna dell’agenzia in data 26 gennaio 2007.
La decorrenza del termine di 90 giorni, ai sensi dell’art. 3 del regolamento, decorreva dal ricevimento degli atti indicati al comma 2, richiesti dal funzionario responsabile con le citate note.
Inoltre, rientrando, la richiesta documentazione tra quella idonea a provocare l’interruzione del termine previsto dal comma 2 dell’art. 3 del regolamento n. 6 del 2006 (il quale iniziava nuovamente a decorrere dalla ricezione della documentazione completa) ne discendeva che il dies a quo per la decorrenza dei previsti 90 giorni doveva essere individuato nella data dal 24 luglio 2007.
Il termine era stato quindi rispettato in considerazione del fatto che la comunicazione dell’avvio del procedimento datata 12 settembre 2007 era stata notificata al [OMISSIS] il successivo 17 settembre 2007: ne conseguiva la infondatezza della censura.
Meritava reiezione, ad avviso del primo giudice, anche la doglianza procedimentale con la quale – nell’evidenziarsi come l’attività di intermediazione oggetto di sanzione fosse esercitata in forma societaria e che dall’applicazione di sanzioni disciplinari alle persone fisiche potrebbe discendere la cancellazione della società – si era denunciata l’omessa comunicazione della contestazione degli addebiti alla società, di cui l’odierno appellante era legale rappresentante e successivamente liquidatore, in asserita violazione dell’art. 3 del regolamento n. 6 del 2006.
Dalla disposizione transitoria dettata dall’art. 12 del regolamento ISVAP n. 6 del 20 ottobre 2006 si ricavava che per i fatti di rilievo disciplinare consumatisi in data anteriore al 31 dicembre 2006 – quali quelli oggetto del gravato provvedimento – trovava applicazione la disciplina previgente al d.lgs. n. 209 del 2005: per l’effetto doveva escludersi l’operatività della disposizione dallo stesso dettata all’art. 330 ( il quale rivestiva inequivocamente natura sostanziale in quanto attinente non già al procedimento, sebbene all’applicabilità della sanzione).
Il mancato assoggettamento della società – tramite la quale il [OMISSIS] aveva esercitato la propria attività – al disposto di cui all’art. 330, comma 2, del codice delle assicurazioni, e quindi alla misura della cancellazione dal registro degli intermediari ivi prevista quale conseguenza della radiazione del medesimo, determinava l’estraneità della società medesima al procedimento disciplinare avverso lo stesso promosso, con la conseguenza che alla stessa non era dovuta alcuna comunicazione dell’atto di contestazione degli addebiti.
Infine il primo giudice ha preso in esame le censure di natura sostanziale volte ad avversare il provvedimento sanzionatorio: nel chiarire che l’Isvap aveva –
contrariamente a quanto asserito dal [OMISSIS] – ponderato adeguatamente i fatti di causa e valutato le argomentazioni da questi proposte, è stata ampiamente approfondita la dinamica delle condotte contestate.
Quanto a tale profilo, il Tribunale amministrativo ha rilevato che nella sua veste di amministratore di società e di delegato all’attività assicurativa, questi aveva sottratto una ingente somma alla legittima disponibilità della Compagnia ed alla destinazione funzionale dei premi nella gestione dell’impresa di assicurazione, attraverso il tentativo di dare copertura a due sinistri non assistiti dalla preventiva registrazione a cassa del premio ed attraverso la falsificazione dei titoli preordinata a celarne la riscossione.
Ciò integrava comportamento gravissimo in contrasto con i doveri incombenti su un intermediario di assicurazioni e con quelli discendenti da un rapporto di agenzia, e con i precetti deontologici che ne governano i comportamenti: l’omesso invio alla Compagnia di assicurazione di somme percepite dagli assicurati a titolo di premi, in quanto contrastante con il primario obbligo dell’agente di provvedere alla puntuale ed integrale rimessa dei premi (indispensabili per lo stesso funzionamento del sistema assicurativo) costituiva una circostanza obiettivamente lesiva del rapporto fiduciario che doveva sussistere tra compagnia assicurativa ed agente per l’intera durata del rapporto di agenzia (e grave violazione dei doveri ricadenti sull’agente).
I fatti addebitati dovevano quindi essere ritenuti senz’altro di particolare gravità e, come tali, integranti la fattispecie che legittimava l’irrogazione della sanzione disciplinare della radiazione ricorrendone i presupposti di natura soggettiva ed oggettiva.
Pertanto, a fronte delle numerose e reiterate violazioni ed irregolarità gestionali ed amministrative ed alla incontestata e comprovata responsabilità del [OMISSIS]– peraltro avallata dal contegno ammissivo dello stesso – e avuto riguardo alla rilevanza degli interessi pubblici presidiati dalle funzioni di vigilanza assegnate all’Autorità ed alla significativa gravità delle condotte, l’irrogazione della sanzione della radiazione risultava congrua e proporzionata, dovendo altresì ritenersi il gravato provvedimento sorretto da adeguata ed articolata motivazione.
L’eventuale rilievo che si sarebbe potuto attribuire al comportamento riparatorio successivo all’apertura dell’istruttoria – peraltro non supportato da alcun elemento probatorio – non avrebbe potuto incidere sul rilievo disciplinare dei fatti accertati a suo carico, i quali, come rilevato dal Collegio di garanzia, integravano comportamenti gravissimi.
L’originario ricorrente rimasto soccombente ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima.
Ha pertanto riproposto tutti i motivi di doglianza contenuti nel mezzo di primo grado e disattesi dal Tribunale amministrativo.
In particolare si è sostenuto che la sentenza era contraddittoria allorché, pur richiamando il disposto del citato art. 331 del codice assicurativo ed affermando che “sarebbe stata auspicabile una diversa previsione regolamentare che, nel dettare la disciplina di dettaglio, si fosse preoccupata di garantire comunque che tali professionalità fossero rispecchiate durante lo svolgimento delle attività dell’organo, contemperando le esigenze di continuità dell’azione amministrativa nel delicato settore disciplinare, a fronte dei termini perentori previsti, con un meccanismo diverso da quello della riduzione del quorum deliberativo” non aveva poi dichiarato la illegittimità degli artt. 5 e 9 del regolamento ISVAP n. 6 del 20 ottobre 2006 per contrasto con la norma predetta sovraordinata.
Appena un mese dopo l’inflizione della sanzione all’appellante, l’Isvap aveva peraltro costituito una ulteriore Sezione disciplinare.
La mancata partecipazione al procedimento del terzo componente del collegio aveva determinato un insanabile vizio sull’intera procedura afflittiva e sul provvedimento finale.
In ogni caso la disposizione regolamentare era destinata ad operare soltanto in ipotesi di assenza od impedimento temporaneo di uno dei tre componenti: non già in ipotesi di permanente mancanza del medesimo.
Sotto altro profilo, l’appellante ha sostenuto che la contestazione era tardiva ed il procedimento si era per tale ragione estinto e che erroneamente la sanzione non era stata contestata alla società di cui l’appellante era socio di maggioranza, rivestendo portata pregiudizievole sull’intera compagine societaria.
In ultimo la condotta dell’appellante era stata giudicata con sproporzionata severità: non era rinvenibile motivazione alcuna sul perché fosse stata applicata la più grave delle sanzioni; detta condotta era stata per lungo tempo tollerata dalla compagnia assicurativa; egli aveva posto in essere una condotta riparatoria della quale non si era tenuto conto; la compagnia assicurativa non aveva mai accettato le proposte transattive formulate dall’appellante.
Il [OMISSIS] ha poi depositato una memoria conclusiva facendo presente che con la recente decisione n. 419/2011 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio –Sede di Roma aveva mutato orientamento, affermando la illegittimità della composizione del Collegio di disciplina dell’Isvap laddove composto da soli due componenti .
L’amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del ricorso in appello e ribadendo la legittimità dell’azione amministrativa spiegata e la straordinaria gravità delle condotte ascritte all’appellante e da questi ammesse.
Ha altresì fatto presente che la decisione n. 419/2011 del Tar del Lazio citata dall’appellante era stata appellata dall’amministrazione e sospesa in sede cautelare dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 1515/2011.
Alla camera di consiglio del 21 gennaio 2011 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione con ordinanza n. 233/2011 ha respinto l’istanza cautelare alla stregua della considerazione per cui “l’appello non appariva assistito da sufficienti profili di fumus boni juris.”.
Alla odierna pubblica udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata posta in decisione
DIRITTO
1. L’appello è infondato e deve essere respinto.
2. Devono essere prioritariamente esaminate le doglianze di natura infraprocedimentale in quanto postulanti la radicale invalidità dell’azione amministrativa spiegata dall’Isvap.
2.1. Stabilisce l’art. 331 comma 3 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 che “il Collegio di garanzia è istituito presso l’ISVAP ed è composto da un magistrato con qualifica non inferiore a consigliere della Corte di cassazione o equiparato, anche a riposo, con funzioni di presidente ovvero da un docente universitario di ruolo, e da due componenti esperti in materia assicurativa, questi ultimi designati sentite le associazioni maggiormente rappresentative. Il mandato ha durata quadriennale ed è rinnovabile una sola volta. Il Collegio di garanzia può essere costituito in più sezioni, con corrispondente incremento del numero dei suoi componenti, qualora l’ISVAP lo ritenga necessario per garantire condizioni di efficienza e tempestività nella definizione dei procedimenti disciplinari. L’ISVAP nomina il Collegio di garanzia, stabilisce le norme sulla procedura dinnanzi al Collegio nel rispetto dei principi del giusto procedimento e determina il regime delle incompatibilità ed il compenso dei componenti, che è posto a carico dell’Istituto.”.
In ottemperanza alla prescrizione di cui all’ultimo capoverso della disposizione citata, il regolamento 20 ottobre 2006, n. 6 all’art. 9 ha stabilito che: “Il collegio delibera in seduta riservata. In caso di assenza o di altro impedimento temporaneo di un componente, il collegio o la sezione può validamente operare con la presenza di due componenti. Se l’assenza o il temporaneo impedimento riguardano il presidente del collegio o della sezione, questi è sostituito dal presidente di un’altra sezione o, in mancanza, dal componente del collegio o della sezione più anziano per età. In caso di parità prevale il voto del presidente.”.
L’art. 5 del regolamento predetto così ha disciplinato la composizione della commissione di garanzia: “Il Collegio e’ istituito presso l’ISVAP ed è composto dal presidente, magistrato con qualifica non inferiore a quella di consigliere della Corte di cassazione o equiparato, anche a riposo, ovvero da un docente universitario di ruolo, e da due componenti esperti in materia assicurativa nominati ai sensi dell’art. 331, comma 3, del decreto.
Al fine di garantire l’efficienza e la tempestività nella definizione dei procedimenti disciplinari, l’ISVAP può disporre, con provvedimenti successivi, l’articolazione del collegio nel massimo in altre due sezioni con incremento, fino a nove del numero complessivo dei suoi componenti.
Il mandato di ciascun componente del Collegio o sezione ha durata quadriennale e non può essere rinnovato per più di una volta”
Alla luce delle suindicate disposizioni ritiene il Collegio che entrambe le censure prospettate dall’appellante e volte a stigmatizzare la circostanza che la sanzione gli fu applicata da un collegio composto da due soli componenti (e che il terzo componente, Avv. Michele Greco, non era assente a cagione di un temporaneo impedimento ma perché precedentemente dimessosi e non ancora sostituito) meritano la reiezione.
Per pacifica giurisprudenza, infatti, nel silenzio della legge, il criterio più sicuro per individuare quando un organo collegiale debba ritenersi perfetto è quello che assegna tale connotazione al collegio per il quale, accanto ai componenti effettivi, sono previsti anche componenti supplenti, essendo lo scopo della supplenza proprio di garantire che il Collegio possa operare con il plenum anziché con la sola maggioranza, in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall’impedimento di taluno dei suoi componenti.(Cons. St., sez. V, 31 gennaio 2007, n. 400 ma anche Cons. St., sez. VI, 21 marzo 2005, n. 1112; Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2006 n. 543).
Nel caso di specie, quindi, deve concordarsi con le considerazioni espresse dal primo giudice secondo cui non ci si trovava al cospetto di un collegio perfetto, e che pertanto esso poteva operare in assenza di uno dei componenti.
In contrario, si sostiene da parte dell’appellante che un organo collegiale avente potestà disciplinare debba essere considerato, ratione naturae, un collegio perfetto.
Anche tale deduzione, assertivamente formulata, non merita positiva delibazione: contrariamente a tale assunto, infatti, si rammenta che il tradizionale insegnamento della giurisprudenza amministrativa sostiene che “Il collegio perfetto è un modello necessario soltanto per gli organi collegiali giurisdizionali, mentre per quelli amministrativi ben può essere previsto un quorum strutturale inferiore al plenum del collegio in relazione alla peculiarità della disciplina da dettare. Trattandosi, quindi, di scelta discrezionale del legislatore e in assenza di qualsiasi regola o principio costituzionale, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 61 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 e dell’art. 10 l. reg. Veneto 7 aprile 1982 n. 13 nella parte in cui configurano le commissioni di disciplina alla stregua di collegi imperfetti “(Cons. St., sez. V, 11 aprile 1991, n. 539).
Con la recente decisione n. 4644 del 2009 questa Sezione ha avuto modo di esaminare funditus la questione ed è pervenuta al condivisibile convincimento – dal quale non si ravvisano motivi per recedere – secondo cui “al riguardo, deve essere precisato che alla data della riunione del collegio di garanzia nella quale è stato assunto il provvedimento impugnato l’Istituto, che pure aveva accettato le dimissioni di uno dei tre membri, non aveva ancora provveduto a sostituirlo: pertanto, legittimamente ha trovato applicazione la regola che considera valida la deliberazione assunta con l’intervento di due soli componenti. Una interpretazione che collegasse alla presentazione delle dimissioni la conseguenza della paralisi dell’attività collegiale (conseguenza inevitabile, data l’assenza nel collegio di supplenti, non previsti né consentiti dalla legge) contrasterebbe con la rilevanza degli interessi pubblici perseguiti dalla funzione di vigilanza assegnata all’Isvap e con l’operatività di termini perentori previsti per il procedimento disciplinare, e non troverebbe conforto nella disposizione del decreto legislativo citato, che nulla dice in proposito (limitandosi ad indicare la provenienza dei tre membri del collegio). La norma regolamentare, pertanto, ha inteso ovviare ad ogni assenza di un componente del collegio che ne impedisca la formazione, stante la mancanza di membri supplenti e la conseguente natura di collegio imperfetto che deve essere riconosciuta all’organo”.
Il Collegio non ritiene di discostarsi da tale condivisibile precedente; né, d’altro canto, la possibilità per il Collegio di garanzia presso l’Isvap di costituirsi in più Sezioni contenuta nel citato art. 331 comma 3 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 può indurre ad un contrario convincimento.
Ciò perché, da un canto, la stessa fonte legislativa considera tale articolazione complessa una mera eventualità; secondariamente, perché, ove la disposizione in parola si dovesse inammissibilmente interpretare nel senso che a tale evenienza dovrebbe addivenirsi laddove la singola Sezione si trovasse privata in modo non temporaneo di un proprio componente la conseguenza sarebbe ugualmente quella della protratta paralisi dell’organo.
Le considerazioni del primo giudice in tema di opportunità di suddivisione in più sezioni del Collegio di garanzia, non implicano che l’operato dell’amministrazione procedente possa essere connotato di illegittimità.
Ed a fortiori tale conseguenza è radicalmente esclusa dalla circostanza (che costituisce un post-factum e che rientra nelle prerogative discrezionali dell’Ente) che un mese dopo che venne irrogata la sanzione disciplinare per cui è causa l’Isvap istituì una seconda sezione con deliberazione n. 2613 del 3 luglio 2008.
2.2. Neppure le argomentazioni in ultimo rappresentate dall’appellante nella propria memoria contengono –ad avviso del Collegio- elementi di novità tali da indurre ad una rivisitazione critica di tale orientamento.
In particolare, deve essere tenuto in considerazione che la legge ha demandato alla normazione secondaria dell’Isvap il compito di determinare la composizione dell’organo collegiale di garanzia e che, soprattutto, ha soltanto facultizzato l’Istituto a prevedere una articolazione in più sezioni.
A fronte di tale previsione generale (che si accompagna alla omessa previsione legislativa della figura dei supplenti) ne discende di necessità che la norma di legge citata non era certo intesa ad ovviare all’ipotesi di assenza di taluno dei componenti del Collegio, ma rimetteva alla discrezionalità dell’Isvap la (meramente eventuale) possibilità di articolare il Collegio in più Sezioni, ancorandola ad una condizione di necessità all’evidenza discendente (unicamente) dalla mole del contenzioso ad esso devoluto (non ad altro parametro può riferirsi il richiamo alla “efficienza e tempestività” della “definizione” dei procedimenti disciplinari).
D’altro canto laddove la norma primaria avesse voluto per tal via ovviare a problematiche di composizione dell’Organo avrebbe imposto la pluralità di articolazioni o la avrebbe direttamente prevista.
L’unico limite regolamentare imposto all’Isvap dalla norma primaria era quello del rispetto del “giusto procedimento”: nessuna lesione a tale principio può ravvisarsi in ipotesi di incompleta composizione dell’organo disciplinare e pertanto la doglianza deve essere disattesa.
3 .Con il secondo motivo di censura l’appellante ripropone la doglianza relativa all’avvenuta decadenza dall’azione disciplinare per omesso rispetto dei termini stabiliti per la notifica della contestazione e l’avvio del procedimento.
3.1. Anche tale doglianza è infondata, al limite della inammissibilità.
Va rammentato che il comma 1 dell’art. 331 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 così dispone sul punto: “Ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari l’ISVAP, nel termine di centoventi giorni dall’accertamento dell’infrazione, ovvero nel termine di centottanta per i soggetti residenti all’estero, provvede alla contestazione degli addebiti nei confronti dei possibili responsabili della violazione e trasmette i relativi atti al Collegio di garanzia sui procedimenti disciplinari.”
L’art. 3 commi 2 e 3 del regolamento 20 ottobre 2006, n. 6 stabilisce che “Il funzionario responsabile istruisce il procedimento sulla base degli atti e della documentazione inviati dagli altri Servizi dell’Autorità inerenti alla ricorrenza di possibili illeciti disciplinari. Se necessario richiede, direttamente o attraverso il Servizio che effettua la segnalazione, atti e documenti alle imprese di assicurazione mandanti ed ai soggetti nei confronti dei quali si svolge l’istruttoria.
L’istruttoria si conclude entro il termine di novanta giorni dal ricevimento degli atti di cui al comma 2; il termine può essere interrotto una sola volta per la richiesta di atti e documenti di cui al comma 2 e decorre nuovamente dal pervenimento della documentazione completa.”
Come già rilevato dal primo giudice, successivamente alla ricezione da parte dell’Isvap della documentazione trasmessagli dall’Aurora Assicurazioni (14 novembre 2006) e successivamente all’inoltro della segnalazione da parte dell’Ufficio Albi Isvap alla Sezione consulenza legale Ufficio procedimenti disciplinari, venne richiesta all’Aurora assicurazioni una integrazione della documentazione inviata (nota del 3 gennaio 2007 e sollecito conforme del 13 marzo 2007).
A tali note la compagnia assicurativa dall’Aurora Assicurazioni diede riscontro (in due tempi) unicamente con nota in data 27 aprile 2007 e poi con nota in data 24 luglio 2007.
Tenuto conto del chiaro disposto del comma 3 dell’articolo 3 del regolamento 20 ottobre 2006, n. 6 appare evidente che proprio alla data del 24 luglio 2007 dovesse farsi riferimento per il computo del relativo segmento infraprocedimentale (e, di converso, che muovendo da tale presupposto nessuna illegittima dilazione temporale fosse ravvisabile).
Parte appellante si è limitata a riproporre la critica contenuta nel mezzo di primo grado, senza farsi carico di contestare la ricostruzione della scansione temporale evidenziata dal primo giudice, né chiarire, semmai, perché di tale richiesta di integrazione non si dovesse tenere conto.
La doglianza è palesemente infondata.
4. La terza censura deve essere dichiarata inammissibile, in armonia con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “è inammissibile il motivo di appello costituente mera riproposizione del motivo di primo grado, senza alcuna critica alla sentenza gravata”( Cons. St., ad. plen., 22 gennaio 1997 n. 3, che comporta implicito superamento di Cons. St., ad. plen., 21 ottobre 1980 n. 37, 20 maggio 1980 n. 18, 17 novembre 1995 n. 30; in termini Cons. St., sez. V, 19 febbraio 2004 n. 674; Cons. St., sez. IV, 21 giugno 2005 n. 3250; Cons. St., sez. IV, 5 agosto 2005 n. 4191; Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2006 n. 1271; Cons. St., sez. VI, 22 agosto 2006 n. 4929; Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2010 n. 2178; v. ora art. 101, co. 1, c.p.a., avente valenza ricognitiva della precedente elaborazione giurisprudenziale).
Il primo giudice, infatti, ha escluso che l’omessa comunicazione della contestazione degli addebiti alla società di cui l’appellante era legale rappresentante e successivamente liquidatore implicasse violazione dell’art. 3 comma 7 del regolamento n. 6 del 2006 (ciò sul presupposto, sostenuto dall’odierno appellante, che l’attività di intermediazione oggetto di sanzione era esercitata in forma societaria e che dall’applicazione di sanzioni disciplinari alle persone fisiche sarebbe potuta discendere la cancellazione della società).
La fondatezza della censura è stata esclusa in ragione della circostanza che la condotta oggetto di sanzione, in quanto consumata in data anteriore al 31 dicembre 2006, non ricadeva nell’ambito applicativo dell’art. 330 del d.lgs. n. 209 del 2005 (“Le sanzioni disciplinari sono applicate nei confronti delle persone fisiche iscritte nel registro degli intermediari, compresi i collaboratori e gli altri soggetti ausiliari dell’intermediario di assicurazione o di riassicurazione, o nel ruolo dei periti di assicurazione responsabili della violazione. 2. Nel caso di esercizio dell’attività in forma societaria la radiazione comporta altresì la cancellazione della società nei casi di particolare gravità o di sistematica reiterazione dell’illecito disciplinare.”.)
Ne discendeva, quindi, l’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 3 comma 7 del regolamento n. 6 del 2006 (“Nel caso in cui l’attività di intermediazione sia esercitata in forma societaria, la contestazione degli addebiti deve essere comunicata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento anche alla società, accompagnata dall’avvertenza delle possibili conseguenze in capo ad essa, nell’eventualità che ricorrano le condizioni previste dall’art. 330, comma 2, del decreto….”).
Ciò perché, ai sensi della disposizione transitoria dettata dall’art. 12 del regolamento ISVAP n. 6 del 20 ottobre 2006 (“i procedimenti disciplinari per illeciti commessi entro il 31 dicembre 2006 si applicano le norme sostanziali di cui alla legge 7 febbraio 1979, n. 48, alla legge 28 novembre 1984, n. 792 e alla legge 17 febbraio 1992 n. 166. A tali procedimenti si applica a partire dal 1° gennaio 2007 la procedura stabilita dal presente regolamento ed essi vengono valutati dal Collegio nominato ai sensi dell’art. 5”) per i fatti di rilievo disciplinare consumatisi in data anteriore al 31 dicembre 2006 – quali quelli oggetto del gravato provvedimento – trovava applicazione la disciplina previgente al d.lgs. n. 209 del 2005.
Doveva quindi escludersi l’operatività della disposizione dallo stesso dettata all’art. 330 citato.
La condivibisibile ricostruzione del primo giudice non è stata oggetto di alcuna specifica critica da parte dell’odierno appellante, che l’ha integralmente obliata, limitandosi a riproporre il tema per cui le conseguenze dell’art. 330 del d.lgs. n. 209 del 2005 (del quale, come rilevato, il Tar ha escluso l’applicazione) si sarebbero riverberate sulla società, e gli altri soci della compagine societaria non erano stati posti in grado di difendersi.
L’assenza di alcuna seppur embrionale critica all’iter motivo contenuto nella impugnata decisione implica la inammissibilità della doglianza (peraltro palesemente infondata avuto riguardo al tempus commissi delicti ed alla chiarissima prescrizione contenuta nel regolamento dell’Isvap citato).
Per completezza si rileva che detta doglianza è comunque palesemente infondata in quanto collide frontalmente con la disposizione contenuta nel citato art. 12 del regolamento Isvap a propria volta espressiva del canone di irretroattività delle disposizioni sfavorevoli al reo che permea di se l’intero sistema degli illeciti disciplinari.
5. Con l’ultimo, articolato, motivo di doglianza si sottolinea l’assenza di ponderazione accurata sui fatti oggetto di valutazione sanzionatoria, e si richiama la circostanza che di tutte le condotte contestate all’appellante erano a conoscenza i mandatari della compagnia assicurativa dall’Aurora Assicurazioni, e che egli si era fattivamente adoperato per ridurre le conseguenze degli illeciti commessi, ed aveva manifestato una volontà transattiva cui la predetta compagnia assicurativa non aveva dato seguito.
Anche tale profilo critico, volto a sostenere la sproporzione della sanzione applicata a fronte delle condotte commesse non merita positiva delibazione.
Il primo giudice ha dedicato le ultime cinque pagine dell’appellata decisione alla descrizione delle condotte poste in essere dall’odierno appellante ed alla valutazione di tali fattispecie comportamentali contenuta nella delibera del Collegio di garanzia.
Alla ricostruzione ivi contenuta vi è ben poco da aggiungere.
Semmai è utile rammentare il consolidato orientamento – dal quale la Sezione non intende discostarsi- secondo cui “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento.” (ex multis, si veda Cons.St., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2830).
La Sezione, in particolare, ha di recente affermato che “le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (l’amministrazione dispone, infatti, di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo)”(Cons. St., sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1350).
Nel caso in oggetto la assoluta gravità delle condotte poste in essere da parte appellante costituisce dato agevolmente percepibile: egli infatti aveva sottratto una ingente somma alla legittima disponibilità della compagnia ed alla destinazione funzionale dei premi nella gestione dell’impresa di assicurazione, e realizzato condotte integranti falsità materiale ed ideologica attraverso (anche) il tentativo di dare copertura a due sinistri non assistiti dalla preventiva registrazione a cassa del premio ed attraverso la falsificazione dei titoli preordinata a celarne la riscossione.
La analitica indicazione delle condotte da questi perpetrate (si vedano per una esauriente sintesi le pagg. 1 e 2 della memoria conclusionale depositata dall’Isvap) chiarisce con precisione che non trattavasi di condotta episodica ed isolata (tra l’altro in ben 273 occasioni le quietanze di premio delle polizze furono incassate senza previa registrazione in cassa) ma di sistematica ed abituale violazione di elementari regole di correttezza tale da comportare non soltanto danni evidenti alla compagnia assicuratrice ma di minare alla radice la generale esigenza di certezza che deve accompagnare detti rapporti giuridici in quanto di rilievo pubblicistico e legislativamente regolamentati in ossequio ad esigenze protettive relative a tutti i cittadini.
La valutazione dell’amministrazione non appare né abnorme né sproporzionata; la valutazione di gravità delle condotte non appare punto distonica rispetto alle risultanze probatorie acquisite, ed è evidente che su tale valutazione di gravità non possano influire, in senso favorevole all’appellante, generiche affermazioni circa la buona volontà manifestata per elidere integralmente il danno e perfezionare un accordo transattivo con la compagnia assicurativa e neppure la labiale affermazione secondo cui detta compagnia era a conoscenza del modus operandi del [OMISSIS].
E’ evidente infine, che la asserita circostanza che non sia stato avviato alcun procedimento penale nei confronti del medesimo non può condizionare in alcun senso il distinto procedimento disciplinare avviato.
6. Conclusivamente, l’appello è infondato e merita di essere respinto.
7. La condanna al pagamento delle spese degli onorari del giudizio segue la soccombenza e l’appellante deve essere pertanto condannato al pagamento, in favore di parte appellata, di euro mille (€ 1000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 9827 del 2010 come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio, nella misura di euro mille (€ 1000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente FF
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011