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Mobbing. Molteplicità dei comportamenti e prova dell’intento persecutorio – di Ugo Strappi

Secondo la ricostruzione della giurispridenza della Corte di Cassazione, per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità (cfr. Cass. n. 3785/2009). Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, sono rilevanti rilevanti:
 
a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
 
b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
 
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
 
d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
 
La Cassazione ha anche chiarito che la domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione e prova in ordine agli specifici fatti asseriti come lesivi (art. 2087 c.c. – si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato (Cfr. Cass. 12048/2011)

Ugo Strappi

(© Litis.it, 7 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

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