Fisco: Evasione Irpef al 13,5%. In media 2.093 euro per ogni contribuente
L’evasione media degli italiani si è attesta nel 2010 al 13,5% del reddito dichiarato. In media non sono stati dichiarati al fisco 2.093 euro a contribuente. E’ questa l’ultima stima dell’evasione fiscale contenuta nel rapporto finale stilato da uno dei quattro gruppi di lavoro della riforma fiscale. Non tutti però evadono nella stessa misura. Al centro il tax gap è di 2.936 euro, pari al 17,4%; al Nord di 2.532 euro, pari al 14,5%. Più basso al Sud: si attesta al 7,9%, pari a 950 euro di redditi Irpef evasi a testa.
Il rapporto, partendo dalle ultime valutazioni Istat sul sommerso, passa in rassegna le diverse metodologie per il calcolo dell’evasione, evidenziando in più parti che si tratta di stime. Per l’Iva, ad esempio, riporta i dati stimati dall’agenzia delle entrate che nel 2007 aveva indicato al 17,6% gli importo non versati. La novità è invece rappresentata dal dato relativo all’Istat aggiornato nel 2010 dai due esperti Zizza-Marino, seguendo metodologie di calcolo già seguite nel passato. In particolare vengono confrontati – ma utilizzando anche molti correttivi – i redditi contenuti nell’indagine campionaria effettuata sulle famiglie da parte della Banca d’Italia, considerati attendibili perché raccolti anonimamente, con i redditi dichiarati al fisco e contenuti negli archivi Sogei. La differenza è l’evasione. L’indagine divide i redditi per diverse tipologie di contribuente, anche in base all’età e al sesso. Emerge così che il tasso d’evasione maschile è al 17,3% contro il 9,9% delle donne. I giovani evadono più degli anziani: sotto ai 44 anni l’evasione è del 19,9%, in media di 3.065 euro, scende poi al 10,6% tra 44 e 64 anni (1.945 euro a testa), per poi assottigliarsi al 2,7% per gli over 64 (314 euro a testa). La ripartizione geografica vede i contribuenti del Centro in testa, con il 17,4% di reddito Irpef celato al fisco, contro il 14,8% di quelli del Nord e il 7,9% dei cittadini meridionali. Su questo dato il rapporto mette in risalto che “il risultato è in contraddizione con altre stime dell’evasione e con le stime ufficiali dell’economia sommersa, secondo le quali dovrebbero essere in media più diffusa nel Mezzogiorno”. “E’ però plausibile – viene spiegato – che, da un lato, i dati utilizzati colgano solo in parte i casi di evasione totale, la cui diffusione si ritiene essere particolarmente accentuata nel Sud; dall’altro, i risultati possono riflettere la maggiore incidenza nel sud di lavoratori dipendenti impiegati nel settore pubblico e di pensionati”. Nelle stime contenute nel rapporto, infatti, i dipendenti e i pensionati riportano in alcuni casi anche tassi di evasione negativi. In pratica versano più del dovuto. Mentre i lavoratori autonomi, gli imprenditori e coloro che posseggono solo redditi da fabbricati dimostrano di evadere maggiormente. Per i primi il reddito procapite rilevato dall’indagine della Banca d’Italia sulle famiglie è più che doppio rispetto a quello delle dichiarazioni Sogei: il tasso di “non compliance” é del 56,3%. Per i possessori di immobili dati in affitto, invece, sale all’83,7%. Rimane alta, al 44,6%, anche per il lavoratore autonomo che ha anche un lavoro dipendente o una pensione, quello in pratica con il doppio lavoro.
EVASIONE AL 56% PER AUTONOMI,ALL’83% SU IMMOBILI – E’ concentrata soprattutto su lavoratori autonomi-imprenditori e su proprietari di immobili dati in affitto l’evasione fiscale. E’ quanto emerge dall’ultima stima sui redditi non dichiarati ai fini dell’Irpef contenuta nel rapporto finale del tavolo sulla riforma fiscale dedicato all'”economia non osservata”. In particolare, rispetto ad un tasso medio di evasione del 13,5%, gli autonomi-imprenditori dichiarano il 56,3% in meno, celando al fisco ben 15.222 euro a testa, e i rentier l’83,7%, pari al 17.824 euro pro-capite. I pensionati invece versano il 7,7% in più.
SOMMERSO VALE 275 MLD, IL 37% E’ LAVORO IN NERO – L’economia sommersa in Italia vale da un minimo di 255 ad un massimo di 275 miliardi di euro ed è dovuta per il 37% a lavoro non regolare. Conferma le stime già diffuse dall’Istat sul sommerso nel 2008 il rapporto finale di uno dei gruppi di lavoro sulla riforma fiscale voluti dal ministero dell’Economia. Il voluminoso rapporto parte infatti dall’economia in nero, spiegando che però i suoi valori non possono essere direttamente riferiti come evasione fiscale perché, a seconda dell’imposta, il “tax gap”, cioé la differenza tra reddito e imponibili fiscali, tende a cambiare. I dati sul sommerso, riferiti al 2008, sono però la base di partenza per tutte le elaborazioni successive. In particolare viene calcolato che una quota del 55,6% del sommerso (153 miliardi) è riferibile alla “correzione del fatturato e dei costi intermedi”, mentre il 37,2% (102 miliardi) al lavoro non regolare. Ci sono poi 19,6 miliardi indicati sotto la voce “riconciliazione stime offerta e domanda”. Dai dati emerge che la quota di sommersa dovuta al lavoro irregolare è diminuita nel tempo: passando dal 39,5% del 2000 al 37,2% del 2008. La ripartizione del sommerso vede la quota maggiore di “nero” celarsi nel settore che assorbono 212,9 miliardi, contro i 9,2 miliardi dell’agricoltura e i 52,8 miliardi dell’industria. Ma, rispetto al “valore aggiunto” dei singoli settori, in agricoltura la quota di sommerso è pari al 32,8% del totale, mentre scende al 20,9% nei servizi e al 12,4% nell’industria.
LAVORATORI IRREGOLARI A QUOTA 2,966 MILIONI NEL 2009 – In Italia, dati del 2009, sono 2 milioni e 966mila i lavoratori irregolari. E’ la stima riportata dal rapporto finale stilato dal gruppo di lavoro della riforma fiscale dedicato all'”economia non osservata”. Il tasso di irregolarità, calcolato in rapporto al totale delle unità di lavoro, è pari al 12,2%. Il dato è in linea con gli anni immediatamente precedenti al 2009, in aumento rispetto al 2003 (2,811 milioni) e in calo rispetto al 2001 (3,280 milioni). Rispetto al dato del 2001, rileva il rapporto, “alle riduzioni delle unità di lavoro non regolari si è accompagnata, nello stesso periodo, una crescita delle unità di lavoro regolari”. Hanno inciso anche le nuove tipologie contrattuali, come il lavoro interinale.
Fonte: Ansa